Cultura ed eventi

“La coscienza di Zeno spiegata al popolo” al teatro di Pergine

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La coscienza di Zeno spiegata al popolo, per la regia di Paolo Rossi, arriva al Teatro di Pergine sabato 20 febbraio alle 20.45.

Agli inizi del secolo scorso un pugno di uomini si ritrovò a scrivere la letteratura più moderna del loro tempo da Trieste. E proprio da Trieste parte l’ardita operazione di rilettura da parte di Paolo Rossi e del Pupkin Kabarett delle vite e delle opere di Svevo, Saba, Joyce e di molti altri scrittori e poeti irregolari e “ai confini di ogni Impero”.

Paolo Rossi è stato naturalmente attratto dalla sfida di un viaggio pop nella mitteleuropa di Svevo & Joyce, “crogiuolo di razze ma soprattutto di loschi traffici, di psicoanalisi e avanguardie artistiche, di sedute spiritiche e di irripetibili flussi di coscienza in osterie e bordelli del porto” (sic!).

Solo Rossi e i Pupkin Kabarett potevano cimentarsi nella spericolata impresa di mescolare il vecchio e il nuovo e di unire il jazz e il blues alla letteratura e al cabaret. Preparatevi a un entusiasmante viaggio nelle scandalose pagine di Joyce, nella poesia e nel cinico umorismo di Saba e in quell’irresistibile vademecum delle nevrosi dell’uomo moderno che è La Coscienza di Zeno di Italo Svevo.

Attori e musicisti sul palco e Paolino “Little King” Rossi in cabina di regia saranno agli occhi del pubblico, le guide in un elettrizzante e provocatorio itinerario tra cultura alta e cultura bassa, tra mito e realtà e in cui sarà sempre consigliabile perdere la rotta con scanzonata spregiudicatezza. Protagonisti della “spericolata impresa” saranno quelli del Pupkin Kabarett – Laura Bussani, Stefano Dongetti, Alessandro Mizzi – diretti in questa occasione da Paolo Rossi, che da sempre li apprezza: «Quelli del Pupkin – commenta infatti – fanno il cabaret come lo intendo io: un luogo che, più che una trovata seriale di tre minuti con battute-tormentone, è una palestra di originalità e di follia dal gusto mitteleuropeo».

Lo spettacolo è scritto e ideato da Stefano Dongetti, Alessandro Mizzi e dallo stesso Rossi e si avvarrà del prepotente contributo musicale – una vera e propria colonna sonora – suonata e composta dal Pupkin Kabarett Blues Jazz Explosion Band.

Una coproduzione Bonawentura/Teatro Miela – Il Rossetti/Teatro Stabile FVG, in collaborazione con La Corte Ospitale e il Museo Sveviano del Comune di Trieste, scritto da Stefano Dongetti con la collaborazione di Riccardo Cepach, Alessandro Mizzi e Paolo Rossi, con Laura Bussani, Stefano Dongetti, Alessandro Mizzi, Riccardo Morpurgo – piano, Franco Trisciuzzi – chitarra, scene e attrezzeria di Fabrizio Comel, regia di Paolo Rossi.

«La vita non è né brutta né bella, ma è originale!» (Italo Svevo).

Intevista a Paolo Rossi, di Paolo Crespi, Io Donna

"Più che regista in questo caso mi sento una specie di allenatore: lo spettacolo è un happening, con un alto tasso di improvvisazione e due musicisti in scena (Riccardo Morpurgo e Franco Trisciuzzi) che passano dal blues al folk triestino in una frazione di secondo. Ma è anche un gioco di forza su un testo letterario, un modo come un altro per invogliare la gente (e anche le scuole) ad andarselo a leggere, o a rileggere. Un’esperienza che ho già vissuto, a suo tempo, con Rabelais".

Come sei capitato nello "spogliatoio" del Pupkin?

"A Trieste sono di casa e ho provato lì i miei due ultimi spettacoli. Pupkin Kabarett è una formazione anomala che mi piace molto, perché fa un cabaret non televisivo, molto di sostanza. E’ un gruppo molto particolare, perché i triestini, ahimè, sono gli unici che hanno paura di uscire da Trieste, luogo molto bello ma che proprio per questo rischia a volte di trasformarsi in un ghetto. Mentre ovviamente possono andare benissimo ovunque… Questa “prima” milanese è anche una prova del nove. Certo, quando li vedo arrivare qui (parlo da conterraneo), mi sembrano un po’ Totò e Peppino… al contrario".

Che lavoro hai fatto con loro?

"Diciamo che gli ho imbastito una situazione e li ho aiutati a destrutturare il testo per far nascere nuovi stimoli. L’atmosfera è esplosiva, si salta da una parte all’altra, si improvvisa molto e ci si diverte a citare e contaminare (James Joyce, tanto per gradire…)".

Mai stato tentato di saltarci dentro anche tu?

"Quello mi capita sempre, ma con gli anni ho imparato a starmene anche in disparte e a fare solo da trainer. Ciò non toglie che quando invece sono regista a pieno titolo, un piedino sul palco finisca col mettercelo. Quest’anno mi è successo a Spoleto, con la regia di un’opera lirica (“Gianni Schicchi” di Puccini), in cui stavo anche in scena facendo il mimo… una specie di Kantor dei poveri. Ma in fondo così ho fatto più regia che stando seduto in platea…"

Cosa ti piace della tua terra d’origine?

"La cosa davvero intrigante è il fortissimo rapporto tra musici, teatranti, autori a vario titolo, e la cultura balcanica, dell’Est. A Trieste torno spesso e volentieri, senza contare che lì ho ancora tutti i parenti e molti amici, vecchi e nuovi".

Lo spettacolo su Svevo batte il chiodo dove il dente duole, la fatidica ultima sigaretta. Può essere terapeutico?

"Purtroppo no, non per me… Tutte le mattine mi sveglio e mi dico “oggi smetto”, poi verso le undici, mezzogiorno, non c’è verso. E parlarne, mannaggia, mi fa venire ancora voglia di fumare…"

— Onda Musicale

Tags: Teatro/Paolo Rossi
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