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The Zombies – Odessey and Oracle (1968)

Nel precedente articolo dedicato agli Zombies già avevo sottolineato come negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione di Begin Here (1965) il meritato successo fosse loro arrivato in maniera assai avara e centellinata, per non parlare di quando era stato completamente assente.

Nel 1967, in un momento in cui le classifiche paradossalmente dimostravano la loro ininfluenza, il gruppo cercò di risolvere lo stallo firmando un contratto con la CBS (precorritrice della Columbia Records). Le sessioni di quel disco che sarebbe stato conosciuto come “Odessey and Oracle” presero avvio il 1º Giugno 1967 presso gli studi di Abbey Road: lo stesso giorno i Beatles pubblicavano il loro capolavoro Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band.

Tra i Beatles e gli Zombies qualche elemento in comune c’è, dal momento che gli Zombies – a detta di Rod Argent – utilizzarono il mellotron suonato da John Lennon, tennero le loro sedute principalmente presso gli studi di Abbey Road e fecero produrre l’album dal grandissimo e compianto tecnico del suono Geoff Emerick. Non da ultimo, un ulteriore elemento che connette in qualche modo gli Zombies ai Beatles è il fatto che Sgt. Pepper’s e Odessey siano figli del 1967, e quindi si caratterizzino principalmente per avere una copertina dai colori sgargianti e luminosi, talmente potenti che quasi frastornano l’occhio.

Riguardo al caleidoscopico disegno di Odessey, dove spiccano i motivi diffusissimi del cachemire, c’è da dire che all’autore della copertina – Terry Quirk, artista e amico del bassista Chris White – scappò un vistoso errore di spelling: scrisse ODESSEY al posto del corretto ODYSSEY, ma la svista fu notata troppo tardi e si cercò di giustificarla come intenzionale. Nonostante questo, divenne una grafia distintiva e leggendaria, esattamente come la musica contenuta al suo interno. Terry Quirk è anche l’autore della copertina dell’ultimo lavoro a firma Zombies, Still Got That Hunger (2015).

Riguardo alle canzoni, c’è da dire come il clima dominante dell’album sia un ensemble di note gioiose e solari, ma la serenità di questo cielo è squarciata qua e là da nuvole più o meno cupe, dove sono racchiuse sfumature di malinconia o di tristezza.

Le sedute di realizzazione del disco partirono con la meravigliosa “Friends of Mine”, dove il felice saliscendi degli accordi – culminante nel potente e ben marcato riff di pianoforte (che conquista definitivamente l’ascoltatore) – passa in rassegna una serie di coppie nel momento più bello e gratificante del loro amore.

Il secondo pezzo che venne realizzato (1º Giugno e 10 Luglio) fu “A Rose for Emily”: in un’atmosfera gotico-vittoriana, sottolineata da un pianoforte dal tono aristocratico, una donna conduce un’esistenza solitaria e chiusa in se stessa come reazione alle ferite di un amore che ha conosciuto il fallimento. La solitudine vedrà Emily invecchiare e morire, e questo destino è simboleggiato dalla rosa che – come lei – conoscerà la stessa sorte. L’Emiliy degli Zombies è una vicenda analoga a quella dell’Eleanor Rigby dei Beatles, nonostante vi siano delle differenze.

Terzo pezzo ad essere realizzato fu “This Will Be Our Year”: la melodia è impreziosita da un corno (sovraincisione presente solo nel mixaggio mono, dato che in quello stereo essa si rivelava problematica da trattare) e per questo motivo sembra imparentata con Penny Lane”. La canzone è un inno alla gioia della vita e della speranza a lungo attese dopo un lungo periodo di sofferenza (“Now darkness has gone […] This will be our year / Took a long time to come […] You gave me the faith to go on […] all your worried days are gone).

Quarto pezzo ad essere realizzato fu “Hung Up On A Dream” (10-11 Luglio): l’atmosfera del sogno rende la sensazione del protagonista di ritrovarsi in un mondo dove tra le persone regna realmente l’amore. La sospensione tra dimensione onirica e realtà gli lascia la sensazione di desiderare realmente quel mondo.

Quinto pezzo ad essere realizzato fu “Butcher’s Tale (Western Front 1914)”: la tragedia della guerra (“the slaughter that I see”), combattuta da soldati che vi partecipano perché esortati da preti che dormono tranquilli la notte, ha un impatto devastante sulla psiche del narratore, che sembra essere affetto da quello che chiameremmo disturbo post traumatico da stress (“My hands won’t stop shaking / My arms won’t stop shaking / My mind won’t stop shaking”).

The Zombies, 1964 – Rod Argent, Colin Blunstone, Hugh Grundy, Paul Atkinson and Chris White (seated) ? Chris Walter (Photo by Chris Walter/WireImage)

Sesto, settimo e ottavo pezzo furono realizzati a fine Luglio agli Olympic Studios, dal momento che Abbey Road non era disponibile:“Beechwood Park” è una meravigliosa composizione in cui Chris White rievoca con nostalgia un luogo del proprio passato e i ricordi ad esso legati; “Maybe After He’s Gone” è la storia di un amore finito, della sofferenza che provoca il riverbero dei ricordi, mitigata però dalla speranza che quella storia possa un giorno essere ricostruita; “I Want Her, She Wants Me” è una ventata di positività dopo tante esperienze così negative, la descrizione della felicità che si respira e si vede dovunque quando si è innamorati e tutto va per il meglio (stesso piglio di pezzi beatlesiani come “Good Day Sunshine”).

Nono, decimo e undicesimo pezzo furono realizzati nel corso di sedute durante il mese di Agosto. “Care of Cell 44”, dal meraviglioso clavicembalo a sostegno della melodia, è la lettera che un uomo scrive alla sua donna detenuta in prigione (o forse il contrario?); le parole esprimono positiva impazienza per il ritorno a casa del partner perché i suoi luoghi abituali (le stanze della casa) sono lì ad attenderne il ritorno.

“Brief Candles” è la storia di una coppia le cui metà scelgono di intraprendere strade separate dopo aver vissuto una relazione probabilmente carica di tensione (forse perché non erano fatti uno per l’altro). Agosto si chiuse con l’incisione della seducente “Time of The Season”, perfetto inno della Summer of Love e divenuto singolo di successo nel Marzo 1969. Dodicesimo e ultimo pezzo ad essere inciso, il 7 Novembre, fu “Changes”, meravigliosa ode a celebrazione di una donna agghindata ed impreziosita dalle stagioni.

Gli Zombies non videro il successo conquistato nell’immediato da “Odessey and Oracle: il loro morale si era affossato perché i singoli e gli album – a maggior ragione quest’ultimo – non avevano ottenuto il riconoscimento che meritavano. Nulla era perduto, perché il successo dell’album sarebbe cresciuto negli anni, sino ad arrivare alla strepitosa, trionfale e freschissima esecuzione live dell’opera allo Shepherd’s Bush Empire di Londra nel Marzo 2008.

Allora non si celebravano solamente i 40 anni di un Grande Disco, ma anche la sua capacità di far sentire la sua influenza e il suo fascino attraverso i decenni e nell’ispirazione di numerosi artisti.

— Onda Musicale

Tags: The Beatles, Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, The Zombies
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