Musica

Calcutta Palalottomatica: la nostra recensione dell’antiSanremo

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Ok, non sono la persona più adatta da mandare a un concerto simile, se decidi di farlo è per gustare l’acre sapore dell’unico Paracetamolo che dovrai prendere, quello per sentire meno forte il bruciore della stroncatura…

No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno” recita un celeberrimo incipit di una delle fiabe più note dello stivale. Bene, cosa c’entra questo con Calcutta direte? Diciamo che la citazione mi serve per dare un sapore (in parte) simile anche a questa recensione. È la seconda volta che su queste pagine – in meno di un mese – faccio menzione di Edoardo D’Erme, noto ai più come Calcutta, e la cosa non credo sia casuale.

Come si sarà capito a me piacciono altri suoni, non necessariamente più raffinati,  e altre atmosfere, non necessariamente meno melense di quelle che si respirano ascoltando la musica di uno come il suddetto. Tuttavia, per evitare di essere eccessivamente aprioristici nei giudizi (o semplicemente per non parlare di Sanremo) e analizzare uno dei fenomeni musicali (piaccia o no) più interessanti del momento, assistere a un suo concerto rappresenta un passaggio obbligato per comprendere la sua eventuale portata artistica.  Ed è così che qualche giorno fa (6 febbraio 2019) noi di Onda Musicale siamo stati al Palalottomatica di Roma per assistere a una delle numerose date indoor del cantante pontino per questo tour.

Questa non sarà una recensione di merito, non un’analisi concettuale e musicologica su cosa voglia dire oggi assistere a un concerto di Calcutta, piuttosto si cercherà di trasmettere qualcosa che dai dischi non potrebbe essere percepito, filtrato (“per fortuna o purtroppo”) dal giudizio personale di chi scrive.

Arrivato sul posto, mi aspettavo già un numero consistente di persone, del resto le date romane erano sold out da mesi e, in virtù di ciò, non mi ha stupito più di tanto la mole del pubblico e il suo calore. Stando a quanto ho potuto constatare origliando qui e lì, per molte persone questo avrebbe rappresentato il primo concerto di Calcutta. Le motivazioni erano molteplici: in parte perché nel 2018 le sue apparizioni dal vivo sono state estremamente limitate (due sole date, Latina e Verona, non eccessivamente capienti); in parte per il fatto che buona parte del pubblico “mainstream” abbia iniziato ad ascoltare la sua musica solo di recente; in parte per l’età media dello stesso pubblico, in generale under 30. La sensazione quindi era per me inedita, cioè quella di trovarmi per la prima volta in un concerto in cui una buona fetta degli spettatori conosceva benissimo tutti i testi e le canzoni dell’artista ma non sapeva cosa aspettarsi dal vivo.  

Beh, diciamo che per essere il primo concerto di un artista mai ascoltato live, avere la (s)fortuna di trovarsi in un palazzetto come quello in questione, non è propriamente una delle premesse migliori.  Senza iniziare polemiche ormai sterili, i nostri palazzetti (se non per qualche eccezione) non sono minimamente adatti a ospitare eventi simili. O meglio, se da un lato certamente la predisposizione ad accogliere un gran numero di persone può essere un vantaggio per la comodità del pubblico (in particolare per chi, come me, aveva un settore numerato), la pessima acustica può rappresentare un vero e proprio dramma per chi la musica vuole sentirla (almeno) più forte del tale che ti canta a due passi dall’orecchio: “e scuuuusaaa io non voglio fare maleee!”, pensa te se avesse voluto, ho pensato! Del resto, mi è parso – stando ai primissimi minuti di concerto – che lo stesso Calcutta fosse un po’ nervosetto, complice anche qualche problema tecnico di troppo scaturito dalla serata precedente, sempre al Palalottomatica.

Ad ogni modo, a concerto iniziato le ritrosie iniziali del cantante pontino sono state ampiamente compensate da un pubblico numeroso, appassionato e  pronto a cantare ogni ritornello, da quelli più famosi a quelli meno noti. La scaletta (che troverete di sotto) è, tutto sommato, la stessa per tutte le serate, e offre sprazzi sparsi tratti dagli album di maggior successo, in particolare gli ultimi due Mainstream ed Evergreen.  Se la “messa in scena” del concerto non è troppo distante da quella che quei due o tre nomi in Italia, oltre che i diversi artisti internazionali, riescono a portare in tour – con tanto di schermi giganti, videoclip vari e qualche immagine presa dal palco –  se la band è costituita da musicisti professionisti a rendere quasi impeccabile l’esecuzione, è proprio la voce del cantautore pontino a mantenere propria la sua vocazione indie. Infatti, non basterebbero tutti i video para-anni novanta del mondo per restituire quella sensazione (intima) dei locali alternativi romani degli esordi, a fronte di un impianto scenico come quello portato in tour, come non basterebbe lo stadio più grande del mondo a rendere un simile artista – abituato a un certo tipo di cantato –  impeccabile e impomatato come il migliore dei Zarrillo sanremesi.

Ed è questa la cosa che ho più apprezzato e che paradossalmente meno apprezzerei in altri concerti: una voce senza dubbio vera, non trattata e mai perfetta, in una parola: indie. Non in poche occasioni, ( in particolare nei bis finali Frosinonee Pesto) ove, complice la stanchezza, la voce inizia a mancare o a non raggiungere tutte le note, c’è subito quella di un pubblico che ha sviluppato, evidentemente, un rapporto molto intimo con questa musica e che ha poco interesse in tutti i fronzoli e la perfezione stilistica che altri artisti-macchine da concerto ormai portano con sé.  

Ed è forse proprio questo rapporto ben collaudato tra artista e pubblico – sebbene per molti nuovo dal vivo –  ad aver reso meno influente quell’audio mai eccellente (a tratti fastidioso, in verità) e a coinvolgere l’intero uditorio (me compreso) fino a farmi accennare qualche ritornello delle canzoni, come fossi un altro o un’altra. Mi sono deciso ad abbandonare il piglio critico da rocker incallito proprio a fronte dell’atmosfera pacifica ed entusiastica che si respirava, quando qualcuno accanto a me ha detto “mi fa pensare alla spensieratezza”, frase che ha in sé un ossimoro di fondo ma che può comunque aver senso in un simile contesto.

Ad ogni modo, musicalmente parlando, ho apprezzato  particolarmente quei momenti che riportavano alla memoria alcune sonorità a me certamente più congeniali. Ricordi delle prime sperimentazioni “calcuttiane” infatti trapelano dall’intimo e straniato chitarra e voce di Amarena,come dallo strumentale para-psichedelico Dal verme. I soliti ritornelli più noti (Pesto, Gaetano, Frosinone, Paracetamolo), la loro energia enfatizzata dal coinvolgimento di chi non vedeva l’ora di cantarli, hanno rappresentato ovviamente i momenti più interessanti della serata. A molti deve essere piaciuto anche quel feature con Cosmo, comparso sul palco per cantare Oroscopo. Non ne sono rimasto particolarmente entusiasta, per dirla tutta. Non nego però una certa soddisfazione di fondo a concerto concluso, dopo circa un’ora e mezza di performance, in cui si è ascoltato del buon pop colorato a tinte indie, senza quell’odiosa autocelebrazione di rito che quel germe dell’italico provincialismo sembra imporre a tutti gli artisti nostrani a successo ottenuto (dal Coez di turno alle “demolizioni di zebedei” offerte dalle sacre celebrazioni pausiniane).

A mio avviso, prescindendo da analisi musicali nel merito, quello che vince in un simile contesto è sempre e soltanto la capacità comunicativa, e parliamo in questo caso di atmosfere e stati emotivi che uno come Calcutta –  nella sua semplicità, timida (stra)ordinarietà e un non divismo congenito – ha sempre saputo trasmettere.

 

La scaletta del 6/02/2019

Briciole

Kiwi

Orgasmo

Cane

Fari

Milano

Limonata

Paracetamolo

Rai

Amarena

Pomezia

Dal verme (strumentale)

Nuda nudissima

Cosa mi manchi a fare

Oroscopo

Del verde

Albero

Natalios

Abre magique

Hubner

Le barche

 

BIS

Gaetano

Frosinone

Pesto

P.S. (indie) a fine concerto ho ricevuto un messaggio da una ragazza che conosco che non sapeva fossi lì: “è bravissimo in concerto mi ha sorpresa”. Beh, io qualcosa da ridire l’avrei trovata, non lo nego, ma chi sono in fondo per dire il contrario?

 

Matteo Palombi – Onda Musicale

— Onda Musicale

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