Musica

Sirius: la band che si ispira al sound di David Gilmour e Alan Parsons

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Una voce gotica, una melodia rock sognante e molto intensa, un video cupo in grado di catturare la curiosità: torna una felice realtà musicale italiana, Sirius Music Art Vision, progetto nato dalla voce e la chitarra di Joe Peduto e dalle tastiere e la voce Josh Di Pasca.

Abbiamo ascoltato il loro nuovo singolo “Don’t believe in love”. Un brano dall’atmosfera magica, con una musicalità affascinante che prende ispirazione dalle sonorità di Alan Parsons (del cui brano la band deve il nome), ma anche dai più noti pezzi dei Pink Floyd e dalla chitarra di Steve Hackett. Vi consigliamo di ascoltare il brano, anche se non vi consigliamo di smettere di credere nell’amore!

Onda Musicale vi ripropone l’intervista a Sirius pubblicata su Music Map.

Come nasce questa idea e quali sono i vostri trascorsi?

”Salve a tutti i lettori, sono Joe Peduto e dal giugno del 2018 ho preso le redini del progetto Sirius, dopo l’uscita di Josh. L’inizio del progetto nasce alla fine del 2015 in quanto volevamo affiancare al concetto di sviluppo musicale delle immagini, che rappresentassero i testi e la musica. Come per ”Revenge”, l’Artwork (by Silvia Sperduta Illustration), la realizzazione di un comic (2020’ by Simona Simone), il booklet in “Revenge” e la copertina di ”Don’t Believe in Love”.

Due anni fa esce il primo lavoro “Revenge”, un concept-album in cui il nucleo tematico trae ispirazione da un adagio dello scrittore Goethe: “La vendetta più crudele è il disprezzo di ogni vendetta possibile”. Similarmente a quanto cantato al festival da Moro e Meta (“Non mi avete fatto niente”), credete che la non-reazione sia sempre l’azione più efficace da cavalcare?

”Credo che la non reazione sia spesso l’azione più efficace come risposta a tematiche come la violenza, poiché imporre una punizione provoca solo la crescita interna di altro odio; invece rispondere con una reazione diversa, come dare la possibilità di poter cambiare le cose, diventa in sé una possibilità di riscatto”.

Every” è il singolo estratto, un brano d’indubbio fascino ipnotico, in cui figura la presenza prestigiosa del celeberrimo chitarrista Luca Colombo: secondo voi cosa l’ha convinto a partecipare? Qual è la forza globale di questo singolo?

”Diciamo che non prendemmo subito consapevolezza della cosa: la risposta di Luca Colombo (leggi la nostra intervista – NDR) alla mia domanda ci diede la risposta. Personalmente, e ha detta di molti, credo che la forza di questo brano sia la capacità di far incontrare le persone con sé stessi, grazie alla semplicità del suo sound ipnotico e alla voce carismatica di Adia. Quindi non si parla solo di musica ma bensì di sensazioni”.

Siamo convinti che incentrare la tracklist sul tema di un concept sia molto più impegnativo che sgranare più argomenti. Quali sono stati i maggiori ostacoli da superare?

”I primi ostacoli sono stati senz’altro capire quale fosse il tema centrale e cercare di dare un messaggio tramite il riferimento ad uno scrittore, ma che allo stesso tempo la tematica doveva essere attuale e, nel mio caso, incentrata anche alla rivalorizzazione del mio territorio, il Cilento. Il tutto è stato poi studiato e incastrato con le varie fasi del progetto, dall’artwork, ad esempio i corvi come simboli di vendetta, al colore porpora, simbolo di dualismo come bene e male, ai titoli delle tracce, che lette dal primo all’ultimo brano creano a grandi linee la frase di Goethe citata sopra. Tutti i punti del lavoro non sono stati messi a caso ma ben studiati”.

Il vostro sound, con molti delay, è caratterizzato da stilemi vari in efficace mutazione, che spaziano da strali rumorosi a placide lande sospensive ed incorporee colme di feeling. Notiamo che, oltre alla netta evocazione “Floydiana” e di Alan Parsons Project, ci siano riferimenti anche ad Eric Clapton, Steve Hackett e Santana: figurano anche questi nomi tra i vostri ispiratori?

“La musica del progetto Sirius, come indica il nome, è volutamente ispirata al sound degli Alan Parsons Project, ma essendo un chitarrista e fan dei Pink Floyd non potevo non essere influenzato dallo stile e soprattutto dallo studio del sound di David Gilmour, ma anche dalla semplicità di Eric Clapton, dall’arrangiamento di Steve Hackett dei Genesis e l’anima di Santana. E non si parla di imitazione o di copiare, ma semplicemente di avere una ispirazione da poter far ricordare un mio brano, che possa o meno somigliare al sound degli artisti già citati, ma che sia ricordato perché mio”.

Don’t believe in love” è il nuovo singolo e si avvale dell’ottima voce di Adia Bini (singer dei Synchromism). Di cosa parla? Farà da preludio ad un nuovo lavoro che proseguirà, forse, il discorso di “Revenge”, magari legato anche ad un’espressione visiva? Se sì, chi vi farà da supporto al progetto? ‘

‘“Don’t believe in love” è un singolo che si discosta dall’ultimo lavoro sia in senso sonoro e di genere sia in senso tematico. Si presenta da un lato come un percorso biografico, dove sottolineo di credere solo in me stesso, né nella famiglia, né nella punizione come percorso correttivo; e dall’altro è una forma di denuncia verso il buonismo, e al suo lato oscuro che si cela dietro. Una denuncia del quotidiano, da ciò che avviene nella Chiesa e nella Curia, agli amori violenti, a ciò che succede sulle navi di migranti, e alle guerre fatte da bambini. L’ispirazione per il testo è nata ascoltando la canzone di John Lennon, “God” . Non sarà un lavoro fine a sé stesso ma neanche la base per un nuovo concept album, ma bensì per un B-Side, una raccolto di nuovi e vecchi brani mai pubblicati con delle tracce edite ri-arrangiante, dal nome “In the Mirror”, ché ciò che guardiamo nello specchio a volte può riflettere la realtà che non vediamo nella vita reale e a volte ti fa credere in cose che non sono reali”.


 

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Intervista ad Alan Parsons

— Onda Musicale

Tags: Pink Floyd/Eric Clapton/John Lennon/David Gilmour/Genesis/Alan Parsons/Steve Hackett
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