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Alan Parsons: il grande musicista e ingegnere del suono si racconta al nostro giornale

Alan Parsons nasce a Londra il 20 dicembre 1948. Proviene da una famiglia dagli importanti trascorsi nel campo dell’intrattenimento. Suo bisnonno fu il celebre attore Sir Herbert Beerbohm Tree. Sua madre, oltre ad essere attrice, fù anche un’arpista ed una cantante folk professionista.

Suo padre, Denys Parsons, fu pianista e flautista, nonché autore di molti libri. Il defunto attore cinematografico Oliver Reed era un suo cugino e lo stimato David Tree, attore sia di teatro che cinematografico, un suo zio. Alla fine degli anni 60, nella tarda adolescenza, Alan si diletta ad esibirsi in pubblico, a Londra – la sua città natale – suonando musica folk/blues in acustico, o come prima chitarra in una band di blues. Ma all’età di 19 anni, non appena ottenuto un lavoro presso i famosi Abbey Road Studios, diviene immediatamente chiaro che sarà nel mondo della registrazione del suono che realizzerà la sua professione.

Alan ha la fortuna di lavorare come assistente tecnico negli ultimi due album dei Beatles prima di qualificarsi come vero e proprio ingegnere del suono e proseguire la sua carriera lavorando con Paul McCartney e molti altri tra i quali gli Hollies. Ma è il suo contributo come ingegnere del suono di The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd che porta su di lui l’attenzione del mondo. Ben presto Alan Parsons conquista una notorietà straordinaria come produttore ed in particolare con Magic dei PilotHighfly di John Miles(Come Up And See Me) Make Me Smile di Steve Harley. E’ ancora lui il produttore di Year Of The Cat album di grandissimo successo con Al Stewart, e di due album della band americana di rock- progressive Ambrosia.

Nel 1975 incontra Eric Woolfson, che non soltanto diviene suo manager, ma anche coautore e voce dei lavori di Alan, dando così vita ciò che divenne poi noto col nome di “The Alan Parsons Project” (APP). L’album di debutto è Tales Of Mystery And Imagination basato sulle opere di Edgar Allan Poe e che apre la porta alla scritturazione con l’etichetta “Artista” di Clive Davis e ad una serie di album di successo quali I Robot (1977), Pyramid (1978), The Turn of a Friendly Card (1980), Eye in the Sky (1982), Ammonia Avenue (1984), Vulture Culture (1985), Stereotomy (1986) and Gaudi (1987).

Nel 1990 si concedono una breve escursione nel mondo del musical teatrale con Freudiana. Lo show si tiene per oltre un anno nello storico Teatro An Der Wien di Vienna. Poi le strade di Eric ed Alan si separarono. Eric sceglie di votare la sua carriera al musical teatrale, mentre Parsons sente il bisogno di esibirsi dal vivo e di continuare a realizzare ambiziosi progetti nel rock sinfonico. Con alcuni dei suoi collaboratori di lunga data Alan Parsons realizza Try Anything Once (1994), On Air (1996) e The Time Machine (1999).

L’album A Valid Path del 2004 è un’ incursione nella musica elettronica e  vede la partecipazione di David Gilmour (Pink Floyd), The Crystal Method, Shpongle, Uberzone, di  P.J. Olsson e del figlio Jeremy. Nel 2008 vengono ristampati tutti gli album realizzati al tempo del “Project” in forma estesa, con materiale inedito ed una compilation in due CD intitolata The Essential Collection.

Nell’intero arco della sua magnifica carriera Alan Parsons riceve un gran numero di premi e riconoscimenti, fra i quali 11 nomination ai Grammy Award, Il premio “The Les Paul” nel 1995 e, più recentemente, il premio “The Diva Of Fame Lifetime Achievement” a Monaco di Baviera, in Germania nel giugno 2012. 

Lo abbiamo contattato telefonicamente per fargli alcune domande, alle quali lui ha risposto con grande disponibilità.

Musicista, cantante, tecnico del suono, produttore. Come si definirebbe Alan Parsons?

“La definizione più accurata è musicista. Infatti, soprattutto dopo i miei due ultimi album mi sento più un musicista, nella sostanza. Ho anche un album in uscita imminente (leggi l’articolo)  – ci racconta Alan – e non sto più lavorando intensamente negli studi di registrazione come tecnico del suono.”

Tutti questi ruoli si sono sempre combinati fra loro o ci sono stati momenti in cui si sono trovati in conflitto d’interesse?

“No, devo dire che questi ruoli (musicista, produttore e tecnico del suono) hanno sempre convissuto insieme piuttosto in armonia e senza alcun problema.” 

Il tuo approccio alla grande musica inizia in giovanissima età quando diventi tecnico del suono presso gli Abbey Road Studios di Londra, luogo magico e ricco di storia della musica di ogni tempo, dove lavori per Beatles, Paul McCarteny e successivamente con i Pink Floyd. Cosa ricordi di quel periodo in cui, ricordiamolo, eri molto giovane?

“Quel periodo è stato davvero molto eccitante, ero giovane, e penso di essere fortunato ad essere associato a quei grandi nomi della musica.”

Nel 1973 i Pink Floyd pubblicano “The Dark Side of the Moon“, con un 25enne Alan Parsons come tecnico del suono. Il disco, forse il più bel disco di tutti i tempi, è davvero un’opera magistrale ed epica anche da un punto di vista “sonoro”, Cosa puoi dirci al riguardo?

“Dovrei davvero scrivere un libro a riguardo a quel disco – ci dice Parsons – soprattutto considerando che l’intero mondo continua a pormi questa domanda da 40 anni.”

Il tuo incrocio con i Pink Floyd è stato certamente un passaggio importante nella tua vita professionale. Che rapporto avevi con loro e sei rimasto in contatto con qualcuno della band?

“Si, sono rimasto in contatto con loro anche se, sfortunatamente, non c’è stato nessun altro album in cui abbiamo lavorato insieme dopo The Dark Side of the Moon, a parte alcune sessioni di un album che non fu mai pubblicato dal titolo “The household Objects”. Ma si, lo rimpiango che abbiamo lavorato insieme solo una volta. All’epoca – prosegue il grande musicista e ingegnere del suono – mi era stato offerta l’opportunità di continuare con l’ingaggio da tecnico del suono, ma ho declinato l’offerta perché nel frattempo stavo iniziando le mie produzioni con John Miles e sentivo che questa era la tipologia di strada che volevo davvero percorrere.”

Un’ altra tappa molto importante della tua grande carriera è stato l’incontro con Eric Woolfson, con il quale hai fondato The Alan Parsons Project. Inizi così a proporre una musica più prog con dischi meravigliosi come “I Robot“, “Pyramid“, “Eve“, “Eye in the Sky“, solo per citarne alcuni. Come è stato lavorare con Eric Woolfson che non proveniva dalla tua stessa formazione? In quale modo avete fatto convivere i talenti l’uno dell’altro?

“Il suo ruolo era principalmente di scrittura dei testi, di gestione mediatica, considerando che era un Business Manager e, sommando  le sue qualità con le mie conoscenze sul suono, abbiamo combaciato bene. Siamo stati una squadra forte.”

Come mai sono stati così rari i concerti degli Alan Parsons Project?

“Avevamo deciso di comune accordo che non saremmo stati una realtà da tour, ma che avremmo messo il nostro massimo impegno al servizio dell’incisione degli album. Solo intorno al 1995 –  continua Alan – ho deciso di assemblare una band con cui fare dei tour sotto il nome di Alan Parsons Project, tour con cui ho anche fatto promozione del mio primo vero album da solo, in cui ero Alan Parsons e basta, slegato dal “Project”.”

La tua separazione con Eric pare sia avvenuta (nel 1990) per alcune divergenze riguardo la destinazione del vostro ultimo disco “Freudiana”. E’ vero che Eric voleva farne un musical cosa che in effetti è avvenuta?

“Freudiana era nata come una creazione degli Alan Parsons Project, ma poi un produttore di musical fu coinvolto nel progetto e quindi, di fatto, divenne un Musical a Vienna. Ma a quel punto non era più considerato come un progetto degli Alan Parsons Project e sfortunatamente il produttore di Musical ed Eric si scontrarono in una lite che dovette risolversi in tribunale, a Londra, dalla quale Eric uscì malamente sconfitto.”

Hai vissuto in prima persona la magica era del Prog britannico, dove molte grandi band iniziavano a proporre concept album. Come hai vissuto quel periodo della tua vita?

“Credo che l’Alan Parsons Project fosse per definizione musica Progr e credo che ci fossimo immedesimati perfettamente nel mood come Genesis, Yes, Peter Gabriel e Pink Floyd. Cosa interessante, il mio lavoro di produzione aveva invece a che fare con una fetta largamente pop.”

Il 22 marzo scorso è  uscito un videoclip del tuo nuovo brano “I can’t get there from here” , con un featuring interessante: Jared Mahone.

“E’ un cantante pieno di talento, è anche coautore del testo. Questo è anche il primo video che abbiamo fatto per il mio ultimo album, e le località che vengono filmate  sono tutte in luoghi a me familiari, perché vicini a dove vivo, in Santa Barbara (California). L’altro singolo, che è uscito due settimane fa, “Miracle”, ha invece un featuring con Jason Mraz e lui appartiene sicuramente ad una generazione completamente diversa dalla mia, ma sono entusiata di mettermi alla prova con la comfort zone di ciò che mi sembra uno stile musicale familiare. Il terzo singolo, prima del lancio dell’album, uscirà invece il 26 aprile prossimo e vede la collaborazione con il chitarrista Dan Tracey. Ci sarà un videoclip anche per questo, anche se è tuttora in produzione.”

Come mai ci sono voluti 15 anni per un tuo nuovo disco?

“Era un po’ per mancanza di motivazione, poi c’era un regista napoletano, Serafino Perugino, della Frontiers Records, che mi stava dando la caccia da un po’ per poter fare dei video sui miei nuovi pezzi. Alla fine mi fece una buona offerta e ho potuto crearmi il mio studio di registrazioni a Santa Barbara, assemblare una band per scrivere canzoni. Ovviamente quindici anni possono sembrare un’eternità ma sono stati assorbiti da concerti, tournée, oltre che l’impegnativo lavoro di produzione per artisti come Steven Wilson, Jake Shimabukoro, il virtuosista di Ukulele, che ha prodotto l’album “The Grand Ukulele”, quindi non è stata una perdita di tempo.”

Che progetti hai per il futuro? Cosa puoi dire ai moltissimi fans italiani che aspettano il tuo arrivo in Italia?

“Io amo l’Italia, d’altronde ho un cavallo di nome Dante. Verrò a suonare per Frontiers ad Assago il 27 aprile, che è proprio il giorno dopo l’uscita del terzo brano.”

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

“Tour, tour, tour: Partiremo dalla costa Ovest dell’America, poi Canada, Germania, Olanda, Colorado , Istanbul e Tel Aviv, con tappa anche in Italia. Fino al 29 giugno saremo completi.”

Pensi che Roger Waters sarà contento di sapere che suonerai a Tel Aviv?

“Credo che Roger Waters noin sarà affatto contento di saper che suonerò in Israele. Ma sai, non sono coinvolto in questioni politiche, non dirò mai no alla musica per ragioni politiche.”

— Onda Musicale

Tags: Roger Waters, The Dark Side of the Moon, The Beatles, Genesis, Alan Parsons, Peter Gabriel, Paul McCartney, Alan Parsons Project, Abbey Road Studios, Pink Floyd, The Alan Parsons Project, David Gilmour, Eric Woolfson
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