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Un disco per il week end: “Let It Bleed” dei Rolling Stones (1969)

Inghilterra, fine anni ’60. Sì, la parola “fine” sembra essere la più gettonata del periodo visto il conflitto in Vietnam, le sette in America, la follia dilagante nel mondo e così via, ma anche tra due gruppi di ragazzi si sta già parlando di “conclusione”.

Da una parte i Beatles, ormai prossimi allo scioglimento, e dall’altra i Rolling Stones che hanno dovuto lasciare indietro il polistrumentista Brian Jones a causa dei suoi guai con la legge e la conseguente impossibilità di essere con loro durante il tour americano. Distrutto dalla notizia, dalle droghe e dall’alcool, Jones morirà annegato nella sua piscina il 3 luglio del 1969, ma la morte non sembra lasciar proprio perdere la mitica band inglese.

A dicembre dello stesso anno, la band verrà infatti colpita dalla tragedia di quel maledetto concerto all’autodromo di Altamont dove gli Hell’s Angels, incaricati della “sicurezza”, uccisero un giovane fan afroamericano perché dissero di averlo visto estrarre una pistola e puntarla su Jagger.

L’evento si verificò praticamente il giorno dopo la pubblicazione di questo album, “Let It Bleed”:

Gimme Shelter: avete presente quando ascoltate un disco e, già dalla prima canzone, capite come mai quel determinato brano di quella band è entrato così a gamba tesa nella storia del rock? Bene, “Gimme Shelter” è proprio uno di quei casi! La voce di Mick Jagger duetta con quella del soprano Merry Clayton implorando per un “riparo” dall’Apocalisse di quei giorni.

La violenza, la guerra del Vietnam, la follia, tutto questo viene spremuto e concentrato in quattro minuti e mezzo mentre la chitarre di Richards macina un riff dietro l’altro sul tappeto sonoro creato dal piano di Nicky Hopkins e dalle percussioni forsennate di Jimmy Miller.

Jagger dichiarò infatti che la canzone parlava di omicidio, stupro e guerra perché quello era il clima che si respirava nel mondo verso la fine degli anni Sessanta quando le risate dei figli dei fiori venivano sommerse dallo scoppio delle bombe e dalle urla degli innocenti.

Coverizzata praticamente dal mondo intero, “Gimme Shelter” è stata usata anche in alcuni film del famosissimo regista Martin Scorsese. Scusate se è poco.

Love in Vain: il blues è una componente essenziale del rock, basta “chiedere” a band come Cream e Led Zeppelin, e lo stesso vale per gli Stones per questa loro versione del classico di Robert Johnson.

Il brano si mantiene sull’acustico, in netto contrasto con l’elettricità del pezzo precedente, con incursioni di chitarra slide assieme al mandolino di Ry Cooder che fa subito respirare all’ascoltatore quell’atmosfera tipicamente americana del Mississippi ai tempi dei treni e dei battelli a vapore.

Country Honk: dal blues si passa al country, grazie al lavoro di Mick Taylor, con tanto di violini e cori per coverizzare uno stesso brano delle mitiche Pietre Rotolanti. Ovviamente sto parlando di “Honky Tonk Women” come è facilmente intuibile!

Live With Me: il ritmato basso di Wymann apre le danze a questo brano di puro rock stonesiano, arricchito dal trascinante sassofono di Bobby Keys, che parla praticamente della vita della rock star media.

Tra abitudini alimentari curiose, per un inglese “bere il tè alle tre” è abbastanza strano, e personaggi altrettanto fuori dagli schemi, da gente che spara ai topi di fogna a dei bambini rinchiusi in una nursery, e proposte vagamente allusive, beh, praticamente gli Stones stanno parlando di loro stessi e dei loro “colleghi”.

Let It Bleed: title track, dalla “vaghissima” con “Let It Be” dei Beatles, che ci trasporta subito nell’atmosfera lasciva e fuori dal tempo dei vecchi saloon western grazie al piano di Ian Stewart e la chitarra slide di Cooder.

Blues e allusioni sessuali accolgono l’ascoltatore come un erotico abbraccio e, al tempo stesso, colpiscono la società benpensante di allora con l’ironia tipica degli Stones. “Sanguina, sanguina, sanguina, puoi venirmi addosso, dappertutto”.

Midnight Rambler: blues al massimo, in pieno stile Muddy Waters e Little Walter con tanto di armonica a bocca, dove si sente per la prima volta nel disco Brian Jones alle congas.

Il brano, inizialmente nato sulla chitarra acustica durante una vacanza di Jagger e Richards a Positano, è praticamente stato riadattato in “maniera elettrica” al ritorno dei due perché era già stato scritto. Ritmo, accordi, parole, tutto!

Questa volta “l’orrore” diventa ancora più vicino alla popolazione visto che il testo parla di Albert DeSalvo, meglio noto come “lo strangolatore di Boston”, che terrorizzò gli Stati Uniti tra il 1962 ed il 1964.

You Got the Silver: per la prima volta in un disco degli Stones si può udire la voce, oltre che la chitarra, di un ispiratissimo Richards che dedica dolcissime strofe blueseggianti alla bella Anita Pallenberg (1942 – 2017) che è stata la sua fiamma dal 1967 al 1977.

Il brano inoltre, che si discosta dalle sonorità precedenti, vede inoltre il secondo ed ultimo intervento strumentale di Brian Jones all’autoharp. Da ricordare che la Pallenberg prima stava anche con lui.

Monkey Man: ritorna il primo piano di Hopkins, assieme al vibrafono ed al basso suonati da Wyman, mentre la voce di Jagger “impazzisce” letteralmente sul blues suonato dalla band.

Il pezzo, che potrebbe far ricordare alcuni stralci del futuro Sticky Fingers, parla nuovamente di un personaggio che potrebbe essere uno qualunque degli Stones.

Uno sputo di nocciolina americana” con “i miei amici sono drogati” che ha visto ben più di un letto ed una ragazza. Questo “uomo scimmia”, felice di aver incontrato una “donna scimmia”, afferma di amare suonare il blues, le droghe ed ironizza sulle presunte accuse di satanismo, una piccola autobiografia ironica di una band al top della forma!

You Can’t Always Get What You Want: da che parte cominciare per descrivere questa lunga, si sfiorano gli 8 minuti, traccia corale? Non credo che sia possibile, va solo ascoltata a tutto volume ancora e ancora!

Però dai, cercherò di dare una piccola notizia per farvela gradire di più. Pare che, ovviamente si tratta di una leggenda metropolitana, il titolo derivi da una risposta che un esterefatto Jagger si sentì dire quando protestò perché in un pub non potevano preparargli una cherry soda. Pensateci la prossima volta che non vi danno il vostro drink preferito al bar.

Giudizio sintetico:

un disco che definire imperdibile è poco! Puro blues graffiante firmato Rolling Stones intervallato da momenti più delicati e corali, una vera perla della discografia mondiale.

Copertina:

la band è in versione omini di marzapane sopra una torta la quale, a sua volta, sta sopra un disco. La torta, che devo dire sembra molto buona, è stata realizzata dalla cuoca televisiva Delia Smith.

Etichetta

Decca Records

Formazione:

Mick Jagger (voce, chitarra e armonica), Keith Richards (chitarre e voce), Mick Taylor (chitarre), Bill Wyman (basso e vibrafono), Charlie Watts (batteria) e tutti gli altri musicisti già citati.

— Onda Musicale

Tags: Muddy Waters, Keith Richards, The Rolling Stones, The Beatles, Led Zeppelin, Mick Jagger, Brian Jones, Anita Pallenberg, Let It Be
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