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The Beatles 1966 World Tour (parte terza)

Con questa terza e ultima puntata si conclude il lungo e complesso racconto dell’ultimo e memorabile Tour mondiale dei Beatles.

Come avevamo visto, la tranche di spettacoli in Estremo Oriente era stata caratterizzata dalle accese proteste dei nazionalisti nipponici, elemento di costante tensione che aveva influito sulle performances, e dalla rocambolesca esperienza dei Marcos di Manila, Filippine.

Trascorsa una permanenza sul suolo inglese di circa un mese, verso la metà di Agosto era nuovamente giunta l’ora di imbarcarsi su un aereo per ottemperare al dovere di un nuovo tour americano (ottemperare, sì, perché la stanchezza ormai concedeva solo lo spazio per il senso del dovere).

Tour che, nella coscienza dei Beatles sarebbe stato il quarto d’oltreoceano (dopo i due del 1964 e l’unico del 1965) e l’ultimo della loro carriera (a meno che un giorno non avessero cambiato idea, ma per il momento la cosa non era contemplata). L’esperienza di quell’Agosto 1966 avrebbe rafforzato la convinzione di chiudere con le esibizioni dal vivo.

L’esperienza statunitense fu contraddistinta sin dall’inizio dalla tensione provocata da una causa tutto sommato innocua, che aveva avuto origine a Marzo di quell’anno. Lennon, intervistato dalla giornalista Maureen Cleave del London Evening Standard, si chiedeva chi sarebbe finito prima tra il rock’n’roll e il Cristianesimo e commentava la situazione a lui contemporanea dicendo che i Beatles erano più famosi di Gesù. Tali parole, in sé nulla di grave (se non erro, fu lo stesso Vaticano ad inquadrarle successivamente come una semplice spacconata giovanile, per dire!), grazie al mensile per adolescenti Datebook ebbero risonanza negli Stati Uniti, un paese fortemente bigotto (lo è ancor oggi) dove la difesa del Cristianesimo diveniva ottusa se confrontata con la contemporanea discriminazione della popolazione nera. Dare la caccia al nero con il costume del Ku Klux Klan era tollerato, fare una semplice constatazione sul Cristianesimo e l’attualità era sacrilegio! Assurdo!

Epstein, già preoccupato per le minacce di morte ricevute in Giappone, contemplò l’eventualità di cancellare il tour, ma ci ripensò, e il tour ebbe inizio.

Cercare di spegnere l’incendio era la preoccupazione principale dell’entourage, sicché a Chicago il 12 Agosto – prima dello spettacolo pomeridiano – si tenne una conferenza stampa in cui Lennon stesso cercò di spiegare che le sue parole erano state fraintese: lui ammetteva di aver sbagliato a fare il paragone tra i seguaci di Gesù e quelli dei Beatles, ma il declino nella frequentazione delle chiese era un dato di fatto. Non era sua intenzione attaccare la religione.

Il tentativo non ebbe l’effetto sperato, dal momento che la polemica li accompagnò fino alla fine del tour, logorando i loro nervi, ma più nell’immediato perché si verificarono roghi di dischi dei Beatles: folli raduni in cui predicatori radicali obbligavano ragazzini dal sorriso forse forzato a gettare i vinili nel fuoco. Pazzia pura!

Gli spettacoli del gruppo, pur continuando sulla falsariga di quelli giapponesi (solito copione con urla del pubblico a coprire esecuzioni di qualità terribile), si segnalarono per alcuni episodi: il 19 Agosto, a Memphis, durante uno dei due classici spettacoli in cartellone, un petardo volò sul palco. Fortunatamente non colpì nessun membro del gruppo, ma il botto fece comunque temere si fosse trattato di un colpo sparato da un cecchino verso Lennon. A guardarlo col senno di poi, tale episodio appare come un sinistro presagio della sua morte a New York quattrordici anni più tardi. Il 21 Agosto i Beatles invece si esibirono al Busch Stadium di St. Louis, sopra un palco che – a vedere dalle foto – era chiaramente bagnato di pioggia. Con tutta quell’acqua, sopra il palco e fuori, c’era il serio pericolo di restarci fulminati.

Il 23 Agosto si esibirono allo Shea Stadium di New York. Era trascorso poco più di un anno dalla gloriosa e memorabile performance del Ferragosto dell’anno precedente, quando il gruppo aveva suonato davanti al pubblico più consistente della loro storia: 56.000 spettatori (!), record assoluto nella loro carriera (di contro, il record in negativo fu l’esibizione del 9 Dicembre 1961 ad Aldershot – Regno Unito: il loro pubblico fu di sole 18 persone! Ma erano ancora agli inizi…). Il concerto del 1966 allo Shea Stadium ebbe 45.000 spettatori, dato che 11.000 biglietti rimasero invenduti. Una differenza non da poco.

Con il 29 Agosto invece giunse la fine della carriera dal vivo, un momento che sarebbe passato alla storia: dopo aver percorso gli Stati Uniti in lungo e in largo, non avendo Epstein il senso delle distanze geografiche, giunsero a San Francisco. Il loro ultimo concerto si sarebbe tenuto nel campo da baseball del Candlestick Park. Consci di ciò, i quattro pensarono bene di immortalare il momento piazzando in determinati punti del palco le loro macchine fotografiche. Quanto all’audio dello spettacolo, McCartney chiese all’addetto stampa Tony Barrow di registrare l’esecuzione su nastro. La qualità sonora del documento non fu eccelsa, ma contribuì a fissarlo definitivamente nella memoria.

Su un palco che – a giudicare dalle foto – sembrava minuscolo se confrontato con le gradinate dello stadio, i Beatles iniziarono il concerto alle 21.30. In una canonica mezz’ora vennero eseguiti pezzi ormai famosissimi:“Rock and Roll Music” / “She’s a Woman” / “If I Needed Someone” / “Day Tripper” / “Baby’s in Black” / “I Feel Fine”/ “Yesterday” / “I Wanna Be Your Man” / “Nowhere Man” / “Paperback Writer” / “Long Tall Sally”.

Le canzoni in assoluto più recenti erano “If I Needed Someone” e “Nowhere Man” [da Rubber Soul], “Day Tripper” (singolo) e soprattutto “Paperback Writer”, singolo che era uscito negli USA il precedente 30 Maggio. Da notare la totale assenza di brani del loro ultimo LP, Revolver, uscito il 5 Agosto.

Alle 22, concluso lo spettacolo, i Beatles vennero condotti fuori dallo stadio a bordo di una camionetta blindata che li trasportò in un lampo all’aeroporto. Il viaggio di ritorno li portò da San Francisco a Los Angeles, da cui fecero poi ritorno in Inghilterra. Harrison, il più stressato dall’esperienza dell’ultima tournée, dichiarò che da quel momento non sarebbe più stato un Beatle, intendendo con ciò l’essere un automa che eseguiva canzoni fino allo sfinimento e che conduceva una vita impossibile, divisa tra aerei e camere d’albergo. McCartney non era dello stesso parere, ma gli altri membri del gruppo riuscirono ben presto a farlo persuaso che era il caso di prendersi una pausa per riflettere sulle proprie vite e carriere.

Dopo una vacanza di tre mesi, in cui i quattro musicisti meditarono a lungo sul da farsi nell’immediato e nei prossimi tempi, si ritrovarono ad Abbey Road sul finire di Novembre. Iniziava la nuova vita di artisti in studio con la messa in cantiere di un progetto che, l’anno successivo, avrebbe sconvolto per sempre il mondo e la storia della musica. Ma questo è un altro capitolo della straordinaria avventura chiamata Beatles.

— Onda Musicale

Tags: Abbey Road, The Beatles, Paperback Writer
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