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Sul tetto del mondo: l’ultima performance dei Beatles (30 gennaio 1969)

Immaginiamo di trovarci a Londra nel freddo gennaio del 1969, esattamente cinquant’anni fa: una metropoli mondiale, a lungo capitale di un vastissimo impero e, nel decennio che volge alla fine, cuore pulsante di svariate attività, soprattutto moda e musica.

Stiamo camminando lungo Savile Row, importante arteria stradale nel rinomatissimo quartiere di Mayfair, nel centro di Londra, zona abitata da gente davvero benestante e dove è possibile farsi confezionare un pregiatissimo abito dai sarti più rinomati.

Il nostro vagare, anche con i pensieri, all’improvviso viene interrotto da musica suonata non si sa dove: chi è che ha deciso di rompere il freddo e serio inverno della Capitale con accordi grintosi e melodie che non passano certamente inosservate? Cerchiamo di guardarci in giro, guardiamo verso l’alto, ma non si nota nessuno.

I Beatles sul tetto della Apple

Sul tetto del palazzo al n.3, sede della Apple Corps – nata appena l’anno precedente – ci sono nientemeno che i Beatles! I passanti, il più dei quali sono spettatori involontari di un evento tutt’altro che pubblicizzato, inizialmente stentano a riconoscere il gruppo. Dal vivo, come ben sappiamo, non si esibivano da quasi due anni e mezzo, avendo chiuso con le tournée al Candlestick Park di San Francisco. Nel 1967 e 1968 la gente li aveva visti, ma in televisione, dato che si erano esibiti nelle memorabili performances di “All You Need Is Love” (per la trasmissione in mondovisione Our World) e di “Hey Jude” (per la trasmissione Frost on Sunday, condotta dal celebre presentatore David Frost).

Quindi, da dove saltavano fuori i Beatles quel 30 Gennaio di mezzo secolo fa?

La faccenda trovava la sua origine all’inizio dell’anno, quando il gruppo si era ritrovato nei freddi e scomodi ambienti dei Twickenham Studios, per discutere di un eventuale ritorno sulle scene o – per dirla con le parole di McCartney – di un ritorno alle origini, intendendo con ciò il ritorno ad un tipo di musica che fosse suonata senza fronzoli e sovraincisioni che ne complicavano la realizzazione e la fruizione.

Il ritorno sul palcoscenico era anche la soluzione pensata come rimedio urgente al problema di una coesione che iniziava a mostrare crepe. Qualche momento di tensione si era verificato durante la realizzazione del White Album (vedi la momentanea secessione di Ringo), ma la solidità del gruppo fortunatamente non ne aveva risentito. Nel 1969 le tensioni, nonostante alla base del tutto vi fosse una reale e sincera volontà di creare musica insieme, mineranno sempre di più il legame dei quattro.

Riguardo all’ultima performance dei Beatles, ben presto divenuta storica anche per il fatto di essere l’ultima, ci sono due cose da dire.

La paternità dell’idea non è ben chiara: parrebbe essere stata opera di Paul, ma le testimonianze non sono concordi. Riguardo al luogo dell’esibizione, tra le varie opzioni contemplate, si era pensato ad un concerto nel Sahara, a bordo della Queen Elizabeth II, oppure in un anfiteatro romano in Tunisia (i Pink Floyd nel 1971 avrebbero realizzato questa idea a Pompei). La difficoltà di trasporto di tutta l’attrezzatura in luoghi inusuali – per non dire estremi – era stato l’ostacolo che aveva spinto i Beatles a scegliere l’ambientazione più a portata di mano: il tetto della loro società.

Il filmato dell’esibizione

L’esibizione sarebbe stata filmata come parte integrante di un progetto che, in quel momento, veniva portato avanti con il titolo di Get Back (titolo anche di una delle nuove composizioni da inserire al suo interno). Il gruppo, riprendendo la collaborazione conMichael Lindsay-Hogg – iniziata con la realizzazione del filmato di “Hey Jude” – aveva concepito l’idea di sfornare un nuovo disco al quale si sarebbe accompagnato un film in cui si mostravano i meccanismi che regolavano la vita all’interno del mondo Beatles.

L’entusiasmo e le tensioni interne al gruppo

faranno accantonare il progetto, che verrà riesumato tra la fine del 1969 e l’inizio del 1970 e pubblicato – con criticate modifiche, soprattutto del disco – con il titolo di Let It Be. Al posto dell’ipotetico LP Get Back, i Beatles decideranno di concentrare i loro sforzi nella realizzazione di quello che sarà il capolavoro di Abbey Road (che uscirà in UK il 26 Settembre del 1969).

tirava anche un vento gelido

Quel giorno che decisero di salire sui tetti di Londra i Beatles, oltre ad essere vestiti con pellicce e impermeabili in prestito dalle rispettive consorti (vedi John e Ringo) – tirava anche un vento gelido, ragion per cui era chiaramente meglio evitare una bronchite – erano accompagnati da un quinto elemento, conosciuto nel lontano 1962 ad Amburgo: il tastierista Billy Preston. Harrison l’aveva coinvolto nel progetto Get Back pensando che qualcuno di esterno al gruppo, avrebbe aiutato a stemperare la tensione che ne minacciava l’esistenza (e che alla fine avrà il sopravvento). Preston sarà anche l’unica persona ad avere l’onore di comparire sulla copertina di un singolo dei quattro.

L’esibizione durò 42 minuti.

Delle riprese, la metà sarebbe divenuta la scena finale del film. Delle canzoni, le takes migliori sarebbero state utilizzate per il disco (tralasciamo quindi la complessa selva dei bootlegs). La registrazione fu effettuata da un ragazzo appena ventenne che negli anni successivi avrebbe fatto strada: Alan Parsons! Nel compito era coadiuvato da Glyn Johns. Eccetto “God Save The Queen”, che non fu registrata perché Parsons era indaffarato a cambiare la bobina del nastro, i brani eseguiti furono questi: “Get Back” (take one, take two e take three alla fine) / “Don’t Let Me Down” (take one) / “I’ve Got a Feeling” (take one) / “One After 909” (reinterpretazione di un pezzo del 1963, che troviamo nell’Anthology 1) / “Dig a Pony” / “I’ve Got a Feeling” (take two) / “Don’t Let Me Down” (take two).

Mano a mano che i Beatles suonavano, la folla si radunava in strada o sui tetti dei palazzi circostanti per assistere al prodigioso evento.

Il fatto che la polizia li lasciasse suonare così a lungo era un segno del fatto che non se la sentiva – in tutta franchezza – di fermare la band più famosa al mondo impegnata in uno spettacolo più unico che raro. Stando ai resoconti, i bobbies furono costretti ad intervenire solo dopo aver ricevuto qualche lamentela da parte del vicinato (i soliti guastafeste…). I dipendenti Apple inizialmente si rifiutarono di far entrare la polizia nell’edificio, salvo poi, sotto minaccia di arresto, cambiare idea. L’arrivo degli agenti sul tetto non fece terminare immediatamente l’esibizione; e vi fu chi sostenne che si trattasse di comparse ingaggiate per l’occasione.

La fine del concerto e la frase di Lennon

L’anomalo concerto terminò con Lennon che pronunciò queste parole: “”I’d like to say thank you on behalf of the group and ourselves and I hope we’ve passed the audition”. Il sipario si chiudeva; l’evento, seppur breve, era già diventato Storia, e nel corso dei decenni seguenti sarebbe diventato – insieme allo scatto per la copertina di Abbey Road – uno dei quadri più omaggiati ed imitati della storia della musica moderna: tra le parodie più geniali spicca quella dei Rutles, impegnati a cantare “Get Up And Go”.

— Onda Musicale

Tags: The Beatles, Apple, Let It Be, Get back, Abbey Road
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