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1969: l’anno in cui i Beatles divennero immortali (parte seconda)

Bentornati alla seconda e ultima puntata dedicata ad Abbey Road. Dopo aver brevemente commentato le canzoni della prima metà del disco (dalla 1 alla 6 – leggi l’articolo), vediamo ora quelle della seconda (dalla 7 alla 17).

Senza il canonico silenzio di 3 secondi da un pezzo all’altro prende avvio il Lato B del disco. La concatenazione dei brani, di differente lunghezza, è stata studiata per produrre una suite in cui il crescendo di potenza giunge sino ai fuochi d’artificio del finale. Le nuvole cupe dell’ultimo brano del Lato A si diradano per lasciare il posto alla serenità e alla dolcezza che contraddistinguono un altro dei capolavori a firma George Harrison: “Here Comes The Sun”. Ascoltiamo il pezzo e subito ci lasciamo pervadere da un senso di benessere interiore, aiutati dalla delicatezza e dalla pacata forza del ricamo di chitarra, sintetizzatore Moog, orchestra (viole, violoncelli, contrabbasso, ottavino, flauto, flauto traverso e clarinetto), che bene rendono il senso di una ritrovata serenità dopo un periodo difficile.

Nuovamente il cielo si fa scuro, dal momento che passiamo a “Because”, la cui melodia malinconica è ispirata molto probabilmente dalla Sonata al chiaro di luna di Beethoven. La base strumentale è costituita da un dominante clavicembalo elettrico e dal sintetizzatore Moog – completati da basso e chitarra – che costituiscono le fondamenta per il pregiato intreccio vocale che possiamo sentire isolatamente nell’Anthology 3 (l’impressione è differente, ma è comunque di notevole effetto).

Sfumiamo nel pianoforte con cui inizia “You Never Give Me Your Money”: la delicatezza delle prime due quartine, dove comunque si intuisce che la situazione non è delle migliori, scoppia nell’energia delle strofe centrali, dove il protagonista commenta l’assurdità della situazione affermando che la fuga – anche se priva di meta – è comunque preferibile al restare immobili nell’attimo presente (“Soon we’ll be away from here”). In questi versi i critici hanno voluto leggervi riferimenti al rischio che Lennon e lo stesso McCartney correvano di perdere il controllo della Northern Songs, la casa che tutelava i loro diritti di compositori, oppure all’ingresso dell’ingombrante presenza di Allen Klein come manager delle finanze Beatlesiane.

Il brano sfuma nuovamente nell’atmosfera crepuscolare di “Sun King”: il soffuso pattern strumentale – arricchito da versi di grilli – e un’introduzione in cui le voci creano una luce calda producono un’atmosfera irreale e magica, da sogno, sospesa nel tempo (“Everybody is laughing / Everybody is happy”). Il brevissimo testo che segue è l’esempio di come si può fare poesia inventandosi di sana pianta una lingua che sembra una specie di mix tra francese, italiano e spagnolo: “Quando para mucho mi amore de felice corazón / Mundo paparazzi mi amore chicka ferdy parasol / Cuesto obrigado tanta mucho que canite carousel”.

Un istante fulmineo di pace e la batteria di Starr – coadiuvata dal basso distorto di McCartney (fuzz bass) – apre la vignetta di “Mean Mr. Mustard” (nata a Rishikesh), in cui Lennon racconta di un avaro che era finito sul giornale perché aveva nascosto il proprio denaro anche nei posti più improbabili pur di non essere costretto a spenderlo. Mr. Mustard ha una sorella, la Pam di “Polythene Pam” (brano successivo a questo), che è una donna energica (“she never stops”), determinata a realizzarsi nella vita. La canzone che la vede protagonista esprime una grinta che con le percussioni quasi degenera nel selvaggio!

A questo momento concitato segue un momento di relax. “She Came In Through The Bathroom Window” racconta un episodio realmente accaduto a McCartney, quando una delle Apple Scruffs (soprannome delle ragazze che stazionavano nei pressi delle abitazioni dei Beatles e degli studi EMI) approfittò dell’assenza di Paul per introdursi in casa sua e arraffare qualche fotografia e alcuni vestiti.

Dal furto domestico ci si sposta alla citazione letteraria colta, dato che “Golden Slumbers” (traducibile con “Sogni d’oro”) ci troviamo al cospetto di una ninna nanna presa in prestito (con lievi modifiche) dal Patient Grissel, opera teatrale di Thomas Dekker del 1603. McCartney, dotato di un vigore espressivo non indifferente, conferisce alla ninna nanna una potenza inaudita, pur conservandone tutta la dolcezza.

Transizione consueta – d’altronde siamo nella suite – verso il nuovo pezzo, con un secondo ritorno alla cosiddetta attualità, stavolta di maggior peso se confrontata con la vicenda del furto domestico a Casa McCartney. In “Carry That Weight” il peso che tutti e quattro i Beatles cantano con piena potenza di polmoni nel verso ricorrente non è riferito né a un matrimonio (come si potrebbe pensare) né alla loro eredità di artisti mondiali – eredità inarrivabile dal punto di vista solistico, come ha sostenuto un critico musicale quale Ian McDonald, ma al peso della situazione economico-finanziaria della Apple in quel tormentato frangente del 1969. Il brano – che nella parte centrale è caratterizzato da versi e accordi identici a “You Never Give Me Your Money” – si conclude con un arpeggio di chitarra che è stato notato essere assai simile a quello presente in “Badge”, singolo dei Cream scritto con l’importante apporto di George Harrison.

Con “The End” arriviamo alla degna e atomica conclusione di un disco stratosferico. Quando il gioco si fa duro, i Beatles fanno il mazzo a tutti! Il pezzo è un esempio di hard rock dove il testo è la vetta filosofica di un crescendo di energia aperto dall’eccezionale assolo di batteria di Ringo, che così dimostra ancora una volta (qualora ce ne fosse stato bisogno) di essere un batterista davvero cazzuto. Segue un serrato dialogo tra le chitarre di Harrison e Lennon, che inanellano una grintosa sequenza di accordi roventi e si giunge alla fine. L’angelica armonia consegna al mondo un principio meraviglioso: l’amore è la cosa più importante, perché “The love you take / Is equal to the love you make”.

Dopo circa 20 secondi di silenzio, che fanno davvero credere all’ascoltatore di essere davvero giunti alla fine del disco, Paul tira fuori l’ultima carta: un rapidissimo e delizioso schizzo in cui ritrae una Regina, ma il fatto che sia una ragazza carina che piace al protagonista fa pensare che il ritratto non sia di Elisabetta II (all’epoca 43enne). Paul un giorno forse avrà la sua Regina, ma per il momento gli basta darsi al vino (in abbondanza), cosa che conferma il fatto che il pezzo è un esercizio di humour.

Con Abbey Road, 47 minuti di bellezza che hanno cambiato il corso della Storia della Musica, per lunghissimo tempo i fan hanno creduto di ascoltare il canto del cigno del gruppo più famoso al Mondo. La vulgata, che dipingeva i quattro come irrimediabilmente in picchiata verso la fine della loro avventura, è stata recentemente e ulteriormente messa in discussione da un articoloapparso su Rolling Stone – in cui si parla di una registrazione dell’8 Settembre 1969 in cui John, Paul e George registrano un messaggio per Ringo (ricoverato in ospedale) in cui discutono del progetto di un nuovo album e di come ripartire le canzoni tra i compositori, divenuti tre con la statura acquisita da Harrison (cosa che smontava il mito della coppia Lennon-McCartney).

Le relazioni interne al gruppo, nonostante i reciproci difetti e i problemi finanziari della Apple, erano fondate su legami ferrei. Insomma, tra i Beatles alla base del loro rapporto c’era ancora la volontà di essere amici –  nonostante lo stato delle cose, ma i fatti accaduti tra il Settembre 1969 e l’Aprile del 1970 sfortunatamente avviarono il gruppo verso la separazione definitiva, processo che si sarebbe trascinato burocraticamente sino alla metà degli anni Settanta. A riprova del forte legame che li univa, i singoli artisti nei decenni seguenti non esclusero categoricamente eventuali reunion, ma la Storia prese un’altra piega.

La cosa ci dispiace, ma possiamo consolarci con l’edizione celebrativa del disco, che uscirà nei negozi – remixata in modo sensazionale – il prossimo 27 Settembre 2019.

— Onda Musicale

Tags: Abbey Road, The Beatles, Ringo Starr, Paul McCartney, Allen Klein
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