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Il 1969 dei Pink Floyd, la strada per Ummagumma (prima parte)

Tutti siamo abituati a considerare i Pink Floyd per i grandi successi da The Dark Side Of The Moon in poi, ma spesso ci si dimentica dei loro primi anni di storia.

Esattamente cinquant’anni fa, i Pink Floyd erano una band in un periodo di transizione, per non dire allo sbando. Syd Barrett era stato messo definitivamente fuori dal gruppo da Roger Waters – che pagherà per anni i sensi di colpa di questa decisione – e sostituito da David Gilmour. I tempi della psichedelia variopinta e dei singoli di tre minuti, sospesi tra pop e sperimentazione, sono ben lontani. A Saucerful Of Secrets è un lavoro che ancora risente della presenza – sebbene defilata – di Syd, e che non traccia in modo ben definito cosa saranno i Pink Floyd in futuro.

Il 1969 di Waters, Gilmour, Wright e Mason, inizia tuttavia come era finito l’anno precedente: suonando live a più non posso. Il 10 gennaio sono al Fihermonger’s Arms di Wood Green a Londra, dove sostituiscono in extremis Jimi Hendrix. Pochi giorni dopo suonano al Roundhouse di Camden Town e al Marquee. È l’abbraccio coi luoghi dove la band ha già costruito il suo piccolo mito, la sua nicchia di fedelissimi. Eppure qualcosa sta cambiando. Roger Waters si va imponendo sempre più come leader del gruppo: Ho dovuto assumermi la responsabilità del gruppo perché nessun altro voleva farlo – dichiara. Responsabilità che, lungi dal dargli fastidio, alla fine lo vedrà imporsi come leader e compositore unico; ma quei tempi sono ancora lontani.

La prima intuizione sono i concerti nelle università. Non più i club come l’UFO, le luci stroboscopiche e le pasticche tanto care a Syd; ora i Pink Floyd si esibiscono nelle aule magne e nelle palestre dei college, davanti a ragazzi più lucidi e attenti. Brighton, Edimburgo, Glasgow, Reading, Swansea, Blackpool, Manchester, Birmingham, Southhampton e Cambridge vedono la nascita di un nuovo modo di esibirsi, fatto di lunghe suite e happening sempre differenti, in luogo dei fulminanti pezzi di tre minuti barrettiani.

Un cambio di immagine

È un cambio di immagine e suoni totale. Colpi di gong, effetti sonori ambientali e trovate da teatro off, e una consapevolezza: nessuno dei quattro bravi ragazzi ha le sembianze del frontman. Waters ne ha l’ego ma non l’aspetto; Gilmour – ex modello – è ancora giovane e bello come un dio greco ma è timido e il suo stile alla chitarra è tutt’altro che definito. Wright e Mason si nascondono dietro l’imponente mole delle loro strumentazioni, defilati.

Del primo periodo sopravvivono i pezzi più strutturati: Interstellar Overdrive, Set The Controls For The Heart Of The Sun, Astronomy Domine e Careful Withe That Axe, Eugene. Ma, inutile ignorarlo, esiste un problema di repertorio: il folle Syd era un’istrionica macchina da singoli e nessuno dei quattro sembra in grado di prendere il suo posto.

L’occasione per testare dal vivo le nuove idee e il nuovo assetto della band, arriva il 14 aprile. La Festival Hall è un tempio della musica classica di Londra: 2900 posti a sedere e un palchetto riservato per i Reali d’Inghilterra. L’occasione è il debutto del loro primo concept show dal titolo interminabile: The Massed Gadgets Of Auximenes – More Furious Madness From Pink Floyd.

Si tratta di pezzi vecchi e nuovi del repertorio uniti in un mix piuttosto eterogeneo, diviso in due suite (The Man e The Journey) e dominato da alcune innovazioni. L’utilizzo dell’Azimuth Coordinator, per esempio. Si tratta di una scatola magica progettata da un ingegnere del suono di Abbey Road, che garantisce una sorta di rudimentale e antesignano effetto Surround. Gli effetti sonori si diffondono dai quattro angoli della sala, sembrano spostarsi creando un curioso effetto di straniamento tra gli astanti. Non solo, in uno dei segmenti della suite The Man, i membri della band si presentano in scena muniti di seghe, martelli e attrezzi da falegnami, costruendo in scena un vero tavolo in legno. Puro teatro estemporaneo. Nel segmento intitolato Afternoon i roadies portano in scena il rito del tè delle cinque.

Nella parte titolata The Labyrinths Of Auximenes, il guastatore Peter Dockley entra in scena con un bizzarro costume che abbina il corpo da mostro marino alla testa nascosta da una maschera antigas e urina acqua sul pubblico con un bislacco meccanismo. Non tutto funziona a dovere, Gilmour si becca una scossa dalla sua chitarra che lo lascia tramortito per buona parte dello show.

Eppure, anche se le due suite non finiranno mai su disco, l’esperienza è importante e getta semi per il futuro glorioso dei Pink Floyd. Daybreak, il soffuso arpeggio che apre il concerto, dotato di testo diverrà Grantchester Meadows, forse il passaggio più ispirato di Ummagumma. E sul disco troverà impiego anche Narrow Way di Gilmour, colonna portante di The Journey. Da Beset By Creauters Of The Deep prenderà la forma finale la celebre Careful With That Axe, Eugene; Nightmare, con sveglie, orologi ed effetti sonori sarà ripresa nel capolavoro Dark Side. Questo solo per dirne alcune.

Ummagumma

Ma il 1969, l’anno che porta a Ummagumma, il disco che porta i prodromi della futura grandezza, è denso di altri importanti avvenimenti.

Le colonne sonore, per esempio. Nei primi mesi dell’anno i quattro ragazzi vengono contattati dal regista francese Barbet Schroder che li vuole come autori delle musiche del film More. Cresciuto artisticamente con Jean Luc Godard e la Novelle Vague francese, Schroder mette in scena la cultura hippie europea a Ibiza, allora paradiso dei figli dei fiori, proponendone anche i lati più crudi e legati alla droga. I Pink Floyd, che sono sotto pressione da parte dei discografici ma non hanno materiale nuovo tra le mani, si buttano a capofitto nell’impresa.

Nonostante i mezzi tecnici siano pochi – manca perfino la macchina per il conteggio dei fotogrammi, per sincronizzare scene e musica – il risultato è apprezzabile e, soprattutto, pronto a tempo di record. Il rapporto col regista li vede andare d’amore e d’accordo, tanto che qualche anno dopo si ripeterà per La Vallée (Obscured By The Clouds). Il film gira poco in patria, la Gran Bretagna è ancora piuttosto puritana su certi temi, ma nella Francia post 68 diviene un cult e apre un bel mercato ai Pink Floyd. Ben più contrastata sarà, di lì a pochi mesi, l’esperienza con Michelangelo Antonioni per Zabriskie Point, ma ne parleremo più in là.

Con More il gruppo si sente libero di sperimentare. Green Is The Colour, Cymbaline e Crying Song anticipano le ballate bucoliche del futuro, More Blues è una variante blues quasi a là Clapton, Nile Song e Ibiza Bar sono quasi hard rock.

Ma il 1969 sancisce anche l’inizio del rapporto tra la band e lo spazio. I Pink Floyd vengono chiamati a sottolineare lo sbarco sulla luna sia dalla BBC che da una televisione olandese; da lì in poi il loro repertorio sarà spesso saccheggiato quando si parla di temi spaziali.

Ma quando i Pink Floyd si ripresentano ad Abbey Road per registrare nuovo materiale, la domanda del produttore Smith – Avete canzoni pronte? – li riporta coi piedi sulla Terra.

Da quella domanda, e dall’impossibilità di una risposta affermativa, nascerà Ummagumma

Ma di questo parleremo nella seconda parte.

— Onda Musicale

Tags: Ummagumma, More, Pink Floyd, David Gilmour, Abbey Road, The Dark Side of the Moon, Jimi Hendrix, A Saucerful of Secrets
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