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Il 1969 dei Pink Floyd, la strada per Ummagumma: storia della copertina

Nelle settimane scorse vi abbiamo parlato di Ummagumma, il disco dei Pink Floyd che proprio in questo periodo ha compiuto mezzo secolo. (leggi l’articolo)

Abbiamo analizzato il 1969 di Waters e soci, un anno di transizione che tra varie peripezie, picchi di creatività e il panico per il distacco di Syd Barrett, portò a un cambio radicale del loro suono. E, appunto, a Ummagumma. Tuttavia, la vicenda più ricca di curiosità legata al disco è quella della sua iconica copertina.

Come già per A Saucerful Of Secrets e per molti dischi successivi, la cover fu ideata e curata dallo Studio Hipgnosis, che altri non erano che Storm Thorgenson e Aubrey Powell. I due erano amici dei membri della band dai tempi dell’università e di Cambridge, tanto che per anni si parlò, a proposito dell’entourage della band, scherzosamente di Cambridge Mafia. In quest’amicizia rientrava anche Libby January, allora fidanzata di Storm – e oggi ex moglie – e ricca rampolla dei January, famiglia benestante e rigidamente british di Cambridge. Come spesso accaduto nella storia, i meriti della donna furono un po’ offuscati, tuttavia fu proprio di Libby l’idea portante che sta dietro alla famosa foto di copertina. January all’epoca studiava psicologia e fu probabilmente colpita da un’incisione di M. C. Escher riportata su un libro di testo. Era la famosa illustrazione delle due mani che si auto disegnano, creando uno dei loop infiniti cari al celebre incisore.

L’idea piacque molto a Thorgenson, che decise di applicarla alla cover di Ummagumma. Le famose foto furono scattate da Storm e Aubrey Powell con una macchina 120 Hasselblad e il set scelto fu proprio Trinity House, la villa di famiglia dei January a Great Shelford, Cambridge. Curiosamente, quattro anni prima, in occasione del 21° compleanno di Libby, si erano ritrovati a suonare proprio nella magione sia i Tea Set – i Pink Floyd agli albori – e i Jokers Wild, band in cui militava David Gilmour. In quell’occasione la famiglia di Libby, piuttosto legata alle tradizioni da gentiluomini di campagna inglesi, era rimasta frastornata dalla musica dei due gruppi.

La foto che tanto ha fatto almanaccare negli anni è, a prima vista, piuttosto semplice e, se vogliamo, banale: Gilmour è in primo piano – per motivi meramente estetici – seduto su una seggiola sull’uscio di casa January; in secondo piano, a terra, siede Waters, con la maglietta d’ordinanza nera; in giardino Mason, cappello da Zorro e camicia rosa, fissa un punto nel cielo, mentre sullo sfondo Wright sembra dedicarsi a esercizi per gli addominali, steso sull’erba. A terra un boccione di vetro, una scritta Pink Floyd – materica, fu pazientemente ritagliata – il disco della colonna sonora del musical Gigi di Vincente Minnelli e un’enorme foto incorniciata appesa al muro. E qui viene il bello. A un primo, distratto sguardo, la foto inchiodata alla parete pare ripetere la stessa scena, dando luogo a un loop infinito.

È quello che in grafica viene definito Effetto Droste. La definizione fu coniata – successivamente – dal giornalista olandese Nico Scheepmaker, ispirato da una pubblicità del cacao in polvere Droste, in cui una monaca reggeva la confezione su un vassoio. La scatola riproduceva la stessa scena all’infinito, dando vita al curioso effetto. Si tratta di quello che viene chiamato anche myse an abyme, definizione che trae origine dall’araldica tradizionale, quando l’effetto era applicato agli scudi, e si usa specie per cinema, teatro e letteratura.

Esempi in questo senso possono essere l’Amleto di Shakespeare, in cui viene messa in scena una tragedia che ripercorre le stesse vicende della trama madre; in letteratura un esempio – spurio – è quello di Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino, mentre al cinema lo stratagemma è utilizzato in Inception e molti altri. Molti hanno scomodato la matematica e il concetto di ricorsività o ricorsione, molto usato in ambito informatico.

Tuttavia, basta uno sguardo un poco più attento per notare che la foto appesa al muro differisce dalla prima: i ruoli sono infatti scambiati. Ora le posizioni sono scalate, con Waters in primo piano, Mason seduto, Wright in piedi e Gilmour che fa ginnastica sul prato, e così via per le altre foto. A un certo punto il loop viene interrotto: nell’ultima foto visibile a occhio nudo, sul muro campeggia la copertina di A Saucerful Of Secrets, album precedente e cover sempre a opera di Hipgnosis. Al di là di interpretazioni troppo macchinose che prendono a prestito dalla matematica non solo la ricorsività, ma anche i calcoli fattoriali e il cosiddetto quadrato latino, la realtà è probabilmente più semplice; oltre a un semplicedivertissement ottico, lo scambio di ruoli è lo stesso che sta alla base del progetto Ummagumma, in cui i quattro musicisti registrano dieci minuti di musica a testa, prendendo quindi di volta in volta i ruoli degli altri. La cover del disco precedente simboleggia a un tempo la continuità coi tempi di Barrett e il distacco dallo stesso.

La tecnica usata per realizzare il complesso progetto è quella ingenuamente artigianale permessa dall’epoca. I quadri appesi alle pareti sono di volta in volta ritagliati e ficcati nelle cornici. Nelle recenti ristampe su cd l’aiuto della computer grafica ha fatto sì che il loop continui, ininterrotto e perfetto, perdendo tuttavia una parte della suggestione originale.

Alcune curiosità sono legate all’LP di Gigi poggiato a terra. Thorgenson ricorda che la scelta fu intenzionale ma che non c’era un vero motivo alla base, se non creare qualcosa di cui parlare. E riuscì, visto che Minnelli, non gradendo di essere accostato a quei giovani alternativi, chiese e ottenne che il disco fosse rimosso, almeno negli Stati Uniti. E così fu, tanto che nelle versioni americane di Ummagumma la copertina del disco poggiato alla parete risulta bianca, mentre in Australia fu tentata la completa rimozione a mano, con risultati piuttosto goffi: sul muro pare spuntare una macchia di muffa.

La parte interna del disco riecheggia ancora l’impostazione di Ummagumma, coi quattro musicisti ritratti ognuno per proprio conto. Roger Waters posa con Judy Trim, sua moglie ancora per sei anni; David Gilmour si fa fotografare davanti a Elfin Oak, il celebre ceppo di quercia su cui Ivor Innes ha scolpito fate, elfi e altri rappresentanti del piccolo popolo. La pianta è conservata al Kensigton Garden di Londra; Nick Mason è ritratto in una serie di scatti sempre alla Trinity House, mentre Rick Wright appare semplicemente davanti a una parete bianca.

Un’ultima curiosità è legata alla foto del retrocopertina, che ritrae tutti gli strumenti dei Pink Floyd pazientemente allineati attorno al camioncino dei roadie. L’idea venne a Nick Mason, già allora molto appassionato di motori e meccanica, quando vide qualcosa del genere su una rivista di aviazione: a essere disposti attorno all’aereo erano gli armamenti, in quello che tecnicamente viene definito esploso. Il luogo è Bigging Hill, sulla cui pista di aviazione i quattro poseranno anche per le foto promozionali di Point Me At Sky. In quell’occasione saranno abbigliati come antichi assi del volo. Gli strumenti sono disposti attorno al furgone Commer di fabbricazione britannica, a ricordare le forme di un aereo da guerra. Sul tetto campeggia il celebre gong sinfonico Paiste.

Da allora la collaborazione con lo studio Hipgnosis sarà sempre più simbiotica, scrivendo alcune delle più suggestive pagine di quell’arte che traduce la musica in immagini.

Un’arte in cui i Pink Floyd furono probabilmente i più grandi maestri. Sul palco e sulle cover degli album.

— Onda Musicale

Tags: Pink Floyd, David Gilmour, Roger Waters, Nick Mason, A Saucerful of Secrets, Ummagumma, Rick Wright
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