In primo piano

Rock e motori: molte gioie e pochi dolori

Fin dai suoi albori la musica rock e i motori sono andati da subito d’accordo. Se è vero che Elvis Presley, prima di imbracciare la chitarra stringeva tra le mani il robusto volante di un camion, è vero pure che le automobili veloci e lussuose da sempre sono apparse un rafforzativo alla virilità che le rockstar di ogni tempo hanno sempre voluto sfoggiare.

Certo, sono concetti che oggi fanno sorridere – giustamente – eppure il mondo dell’automotive ancora oggi rimane foriero di status symbol che ogni vero rocker ama sfoggiare.

All’inizio, ovviamente, fu l’America, e con essa i suoi poderosi miti motoristici. Sempre all’avanguardia nella tecnologia, gli USA paradossalmente sono atavicamente indietro in quanto a raffinatezze automobilistiche. Negli anni ’50 e ’60 le enormi sportive americane venivano regolarmente ridicolizzate come prestazioni dalle minuscole – per i loro canoni – Alfa Romeo e Lotus; ciò non toglie che vetture come la Ford Thunderbird (Jaguar & Thunderbird di Chuck Berry) e le lussuose Cadillac fossero un punto d’arrivo per irocker a stelle e strisce.

Proprio la Cadillac fu uno dei miti più resistenti, da Elvis Presley a Bob Dylan, che la pubblicizzò nel 2007, da quelle eccessive di Dolly Parton all’altra star del country Johnny Cash. Un discorso a parte merita la Chevrolet Corvette, da sempre la supersportiva USA in grado di rivaleggiare con la Ferrari quanto a prestigio; la più celebre è quella di Bruce Springsteen del 1960: il Boss la acquistò grazie al successo di Born To Run e vi fu immortalato in una celebre foto entrata nella storia.

Grandi appassionati della Ferrari furono Eric Clapton – che lo è ancora, in verità – Brian Johnson degli AC/DC e Keith Moon. Il folle batterista degli Who, pur non avendo la patente, riuscì in un’altra peculiare impresa: inabissare un’auto nella piscina dell’Holiday Inn di Flint, nel Michigan. Protagonista del curioso episodio fu secondo alcuni una Rolls Royce, per altri una Lincoln Continental; in un’altra ben più tragica occasione, Moon uccise involontariamente il suo autista, investendolo per sfuggire alla furia di alcuni aggressori. (leggi l’articolo)

Keith Richards era invece solito scorrazzare nella sua tenuta a bordo di un’agile MGB GT, la versione coupé della famosa spider, priva di documenti e non registrata.

Ma tra tutte le storie che legano automobili e musica rock, noi ne abbiamo scelte alcune che ci sono sembrate più significative, eccole.

Nick Mason e la sua collezione da corsa (leggi l’articolo)

Celebre come batterista dei Pink Floyd, il buon Nick ha sfruttato l’incredibile successo della band per dare sfogo all’altra passione totalizzante della sua vita, quella per le automobili. Titolare ella Ten Tenths, scuderia e società che si occupa della sua vasta collezione, Nick ha mostrato anche discrete doti di pilota, partecipando più volte alla 24 Ore di Le Mans e a competizioni riservate alle auto d’epoca. Un gentleman driver di tutto rispetto, così come lo è la sua collezione, una delle più importanti del mondo, con la particolarità della generosità di Nick, assai poco restio a sfoggiare i suoi gioielli. Pezzo più pregiato una Ferrari, la 250 GTO del 1962. Costruita in appena 36 esemplari, fu acquistata da Mason negli anni ’70 alla bella cifra di 37mila sterline; somma che, tuttavia, appare ridicola rispetto agli oltre 40 milioni della stessa valuta, che costituisce ad oggi il valore della granturismo modenese. Altre Ferrari sono la 512 S presente nel film Le Mans con Steve McQueen, una rara BB512, una 275 GTB, una splendida Daytona, alcuni esemplari più moderni e un’altra punta di diamante: la T3 di formula uno pilotata da Gilles Villeneuve nel 1978. Ma non ci sono solo Ferrari nel parco auto di Nick Mason; una Maserati Birdcage del 1959 che farebbe la gioia di qualsiasi collezionista e una 250F di formula uno, portata al successo anche da Fangio; c’è poi una Jaguar Type D del 1955, una McLaren F1 del 1996, una Panhard da corsa del 1901 e ancora tantissime altre che non possiamo menzionare per motivi di spazio. Nick è anche appassionato di aviazione e provetto pilota di elicotteri.

La Rolls Royce Phantom 5 di John Lennon

Celebre – e anche un po’ famigerata, conoscendo il rigido tradizionalismo della Rolls – è la Phantom 5 acquistata da John Lennon il 3 giugno 1965. Si era allora nel pieno della Beatlemania e la Rolls Royce per un inglese era unostatus symbol di prestigio indiscutibile. L’auto, dipinta di nero, fu subito trasformata in limousine. Fu poi lo stesso Lennon a chiedere che nella parte posteriore fossero installati un letto matrimoniale, un radiotelefono, frigobar, televisore e un bizzarro impianto che consentiva la diffusione di musica all’interno e all’esterno della fuoriserie. Ma la trasformazione più scioccante sarebbe avvenuta più tardi, in piena era psichedelica: l’era del Sgt. Pepper. John aveva acquistato un carretto tzigano decorato con motivi psichedelici dal collettivo olandese The Fool. Secondo Cynthia Lennon, allora moglie prima del ciclone Yoko Ono, Lennon era talmente entusiasta del curioso oggetto, da chiedere al collettivo di dipingere nelle stesse tinte la Rolls Royce, in un’operazione al limite del sacrilego. Così conciata, l’auto fu utilizzata dai quattro Beatles tra il 1966 e il 1969; dopo lo scioglimento seguì John negli USA, dove venne utilizzata anche da Bob Dylan, Moody Blues e  Rolling Stones. Fu poi ceduta do John e Yoko al Cooper-Hewitt Museum di New York, a copertura di alcune tasse non versate, circa 220mila dollari. Dopo una serie di passaggi di mano e di aste milionarie, dal 1996 la Rolls è gestita dalla Bristol Motors, che la espone in grandi occasioni.

La Porsche 356 SC di Janis Joplin

Un’altra auto che fece gridare allo scandalo i puristi di un blasonato marchio – la Porsche, in questo caso – fu la 356 SC di Janis Joplin, con cui la cantante amava scorrazzare per San Francisco. La vettura, acquistata nel 1968, vennecustomizzata da uno dei roadie di Janis, Dave Richards, che seguì le psichedeliche istruzioni della cantante. La Porsche venne così decorata con un’infinità di simboli della culturahippie e con una serie di disegni delle cose che Joplin amava: dai monti Tamalpais che poteva ammirare dalla finestra della sua casa di Larkspur a dei ritratti dei musicisti della sua band, fino ad arrivare al cofano, dominato da un colorato disegno indiano. Una sera – dopo un live – la Porsche venne rubata e ridipinta di grigio, ma l’ineffabile Janis, una volta ritrovata fece ridipingere la bizzarra livrea. Alla morte della cantante i genitori la custodirono per un po’ in garage, per poi venderla al manager Albert Grossman. Dopo vari passaggi di mano fu venduta all’incanto nel 2015 alla signora cifra di 1,7 milioni di dollari.

La Mini Cooper S di George Harrison

Se John Lennon amava stupire tutti con la sua Rolls psichedelica, a testimonianza di una personalità debordante, il Beatle tranquillo – George Harrison – scelse come sempre una via diversa, più dimessa ma forse più elegante e coerente al proprio estro. George acquistò nel 1966 una Morris Mini Cooper S, di colore nero metallizzato; all’epoca l’auto era la mini sportiva che tutti i giovani desideravano, velocissima e pratica, con un vasto impiego nei rally e nelle gare su pista. Insomma, uscita da poco era già un’auto di culto, come lo è ancora oggi. Anche Harrison si rivolse al collettivo The Fool, allora attivissimo. Gli olandesi capitanati da Simon Posthuma e Marijke Koger la ridipinsero di rosso e si sbizzarrirono a decorarla con una serie di simboli tantrici che ben assecondavano la passione del chitarrista per la cultura indiana. Custodita da Olivia – la vedova Harrison – dopo la morte di George, è stata più volte esposta, mentre una versione speciale della nuova Mini che ne ricalcava la livrea venne messa all’asta per la Material World Charitable Foundation, fondazione creata nel 1973 dallo stesso George Harrison.

— Onda Musicale

Tags: Keith Moon, Janis Joplin, Eric Clapton, Keith Richards, John Lennon, The Rolling Stones, The Beatles, Bob Dylan, George Harrison, Yoko Ono
Sponsorizzato
Leggi anche
Addio a Neil Peart, storico batterista dei Rush
Un anello che vale una vita: i Beatles in Help! (1965) [Prima Parte]