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Fuggire dalla follia del Mondo: il 1970 dei Kinks

Nella storia della Musica il 1970 è un anno memorabile, sotto tutti i punti di vista. Tanto per cominciare, i Beatles giungono ufficialmente al capolinea.

Passa alla storia quanto accade il 10 Aprile: quel giorno Paul McCartney dichiara ufficialmente la sua uscita dal gruppo più famoso al mondo. Tra gli altri avvenimenti, che rendono il 1970 non solo un anno memorabile ma anche spartiacque tra un prima e un dopo, la morte di Giganti come Jimi Hendrix (18 Settembre) e Janis Joplin (4 Ottobre). Avvenimenti che pongono decisamente fine alla straordinaria esperienza degli anni Sessanta.

Il 1970 non significa solamente la fine di grandi gruppi e la morte di grandi artisti. A controbilanciare questa pesantezza troviamo una sequenza di grandi dischi, il cui suono dà l’impressione che il nuovo decennio sarà certamente diverso, ma non per questo meno interessante del precedente. Due esempi fra tutti, ma che valgono oro. In primis il monumentale All Things Must Pass, triplo LP in cui George Harrison finalmente mette in mostra tutta la sua capacità compositiva, a lungo erroneamente compressa tra quella di McCartney e Lennon. Altro colosso è senza ombra di dubbio Layla (And Other Assorted Love Songs), unico album (in due dischi) dello straordinario ma fugace gruppo Derek and The Dominoes.

A proposito di coincidenze, non importa se volute o casuali, il disco di Harrison uscì il 27 Novembre, giorno in cui Hendrix avrebbe compiuto 27 anni. Lo stesso giorno venne pubblicato un altro album, straordinario tanto quanto questo, ma non altrettanto celebrato a dovere, anche se nei cinquant’anni trascorsi dalla sua pubblicazione è stato riconosciuto nella sua grandezza. Mi riferisco a Lola Versus Powerman and The Moneygoround, Part One.

Parte Prima” perché, nel divenire dei progetti concepiti dai Kinks, ad essa a quanto pare doveva far seguito una Seconda Parte, cosa che ufficialmente non si realizzò mai. L’edizione super deluxe di Lola Versus Powerman (uscita nel 2014) pubblica insieme al disco in questione quello di Percy, uscito nel 1971. Evidentemente la scelta è nata dal fatto che Percy potrebbe essere considerato quel sequel di Lola che “ufficialmente” non uscì mai. Per non insistere troppo sulla questione del probabile sequel, vediamo il disco più da vicino.

La copertina, soprattutto per noi italiani (ma non solo), è un lampante omaggio all’Uomo Vitruviano di Leonardo Da Vinci (nonché alla grafia del genio toscano).

Quanto al titolo, esso è a sua volta composto da tre titoli di canzoniche in realtà sono personaggi assai concreti e reali nonostante siano sospesi tra finzione ed indefinitezza. “Lola” – proseguendo sul solco dell’ambiguità accennata da “Party Line” (“Is she a she at all?”) – dà spazio all’incontro con un travestito in un locale di Soho, quartiere di Londra.

Nonostante la perplessità iniziale, il protagonista cede nel dimostrare un po’ la sua debolezza nei confronti del personaggio dalla voce bassa. Nel cantare la canzone, Ray Davies fu costretto a cambiare “Coca Cola” in “Cherry Cola”, dato che le regole della BBC evidentemente non consentivano riferimenti espliciti a prodotti in commercio. “Powerman” è un uomo senza scrupoli che la brama di denaro (“got money on his side”) ha spinto sino ai livelli più alti della scala sociale. La sua sete di potere – egli tiene le persone in pugno – si fermerà solo quanto arriverà sulla vetta.

Nel testo si fanno alcuni esempi di powermen che hanno avuto ambizioni megalomani, come Gengis Khan, Napoleone, Hitler e Mussolini. “The Moneygoround”, la cui melodia sembra un incrocio tra una giostra e i motivetti da music-hall, è una sferzante satira sui responsabili delle case discografiche che hanno in gestione i diritti di pubblicazione delle canzoni, gente che – a detta di Ray Davies – guadagna soldi (in modo abbastanza arzigogolato) da canzoni che non ha mai sentito.

Ai personaggi di questa canzone fanno eco quelli di “Denmark Street”, celeberrima strada londinese in cui hanno sede numerosi editori musicali, disposti a pubblicare la musica degli artisti emergenti solo perché, se un giorno questi dovessero fare tanti soldi, sarebbe una seccatura insopportabile il pensare ai mancati guadagni. Gira e rigira, sempre di soldi si tratta. Anche in questo caso la satira è resa più sferzante dal raccontare il tema scegliendo lo stile del music-hall.

Il mondo della Musica Rock non è popolato solamente di editori gretti e ottusi che pensano solo ai soldi. Ci sono anche i musicisti, il cui punto di vista è raccontato dall’hard rock di “Top of The Pops”, titolo anche di un celeberrimo programma televisivo britannico andato in onda dal 1964 al 2006. Ray Davies osserva come la scalata verso il successo si caratterizzi per il fatto che si “diventa interessanti”: compaiono quasi all’improvviso giornalisti desiderosi di intervistarti, amici di cui ne ignoravi l’esistenza, donne che urlano non appena ti notano per strada. Quando il tuo disco è richiesto, la vita sembra facile, tutto sembra possibile. Ma non appena esso scivola ai piani bassi delle classifiche, ecco che tutte queste persone che ti circondano spariscono in un attimo.

In “This Time Tomorrow” il musicista che in precedenza rifletteva su come la fama cambi la propria esistenza, è a bordo di un aereo – lo si capisce dal rumore dei motori all’inizio del brano – e si chiede, dato che è perennemente in viaggio per impegni professionali, dove sarà “domani a quest’ora”. Più la routine incalza, più lui desidera essere solo con se stesso nella vastità di un mare deserto, che altro non è che lo spazio (dato che la navigazione la compie con un’astronave). Una sorta di asceta dei tempi moderni.

In “Apeman”, brano davvero efficace che non a caso è stato pubblicato come singolo (il Lato B è un altro brano presente nel disco, cioè “Rats”), il protagonista vorrebbe vivere come l’uomo scimmia (ape-man), estrema reazione a problemi che attanagliavano il mondo già cinquant’anni fa, e che oggi sembrano più gravi che mai: sovrappopolamento e fame cronica, inflazione, rischio non troppo remoto di guerre nucleari, politici non troppo sani di mente (“crazy politicians”). Come dargli torto?

In “Got To Be Free”, brano che chiude il disco, si fondono le tematiche sia dell’assurdità del mondo attuale (come visto in “Apeman”) che di quello musicale (come visto in “The Moneygoround”, “Denmark Street” e “Powerman”). Da questa follia generalizzata – alla quale quasi nessuno sembra sottrarsi – se ne può uscire, se ne deve uscire il prima possibile, non importa in che modo (“We’ve got to get out of this world somehow”). Da notare è il fatto che il brano di chiusura dell’LP presenta gli stessi accordi di banjo di quello di apertura (“The Contenders”), ed entrambi – dopo una trentina di secondi – virano verso il Rock, quello di “Contenders” caratterizzato invece da una sfumatura più “hard”.

Lola Versus Powerman è un disco tipico dell’inizio degli anni Settanta per alcuni motivi: vi sono riferimenti a problemi del mondo contemporaneo (tipo le guerre nucleari o il sovrappopolamento); vi fa capolino il tema del travestitismo (come in “Lola”), uno degli elementi che contribuiranno a definire la fisionomia del nascente glam rock (e pensiamo soprattutto a David Bowie); l’ampio ricorso a strumenti tipici di generi musicali americani quali il country e il blues, cioè il banjo e quella che in inglese è definita come National Steel Resonator Guitar, cioè la chitarra resofonica, dal corpo realizzato in acciaio; le sonorità di un hard rock asciutto che coesistono con ballate molto avvolgenti (come “Get Back In Line”).

L’ottavo album dei Kinks – allargatisi a cinque dopo l’inserimento del tastierista John Gosling (membro del gruppo sino al 1978) – non si piazzò bene in classifica (ad eccezione del singolo “Lola”), ma contribuì a consolidare la fama del gruppo negli USA e confermò Ray Davies come eccellente compositore nonché attento osservatore della realtà in cui era calato.

 

— Onda Musicale

Tags: All Things Must Pass, Ray Davies, Janis Joplin, The Beatles, David Bowie, Jimi Hendrix, Paul McCartney, George Harrison, The Kinks
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