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George Harrison e l’aggressione avvenuta nella sua abitazione nel 1999

Le cronache di quel tempo raccontano che l’aggressore di George Harrison ascoltava la musica con le cuffie per cacciare le voci che gli rimbalzavano nella testa. Un ex tossicodipendente da eroina e da metadone. Con una passione: la musica.

E un’ossessione: che i Beatles fossero dei demoni. E prima di loro che lo fossero gli Oasis. In questo modo Lynda Abram descrive la sofferenza di suo figlio Michael, l’uomo che ha quasi ucciso George Harrison piantandogli un coltello a un centimetro dal cuore durante un aggressione avvenuta il 30 dicembre del 1999. Un miracolo che il chitarrista dei Beatles non sia rimasto ucciso. 

George Harrison, all’indomani dell’aggressione, la ha raccontata con queste parole:

Dopo avere udito il rumore di vetri che si rompevano in casa mi sono alzato dal letto e sono sceso al piano di sotto della mia abitazione. Poi ho visto una persona correre verso di me con un coltello e una sbarra, e fermarsi nel mezzo della stanza, gridando qualcosa come: ‘Mettiti in ginocchio, sai cosa ti aspetta’. Ho pensato di gridare anch’io, per distrarlo e confonderlo. Ho urlato: ‘Hare Krishna, Hare Krishna’, poi sono corso al piano di sopra, ma ad un certo punto mi sono visto bloccato, quindi ho deciso di attaccarlo per difendere mia moglie e mia suocera. Ho un ricordo vivissimo del coltello che mi raggiunge al petto e del sangue che schizza sulla mia bocca. Sentivo le forze che mi abbandonavano e sentivo il rumore dell’aria che usciva dal mio petto. Ho pensato che sarei morto. Lui è riuscito a rotolare su di me e mi accoltellava, ed io mi difendevo con le mani. C’era sangue ovunque. Mia moglie è arrivata e lo ha colpito con una sbarra, ma questo non ha avuto effetto, anzi lui si è alzato e l’ha inseguita in un’altra stanza. Mentre tentava di strangolarla con un filo elettrico, è riuscita a colpirlo con una lampada. Lui è caduto, io sono arrivato e sono riuscito a togliergli il coltello dalle mani. Ma lui ha afferrato la lampada ed è riuscito a colpirmi alla testa, e abbiamo ricominciato a lottare. Poi ho sentito delle voci: era la polizia”.

La madre dell’assalitore, pochi giorni dopo l’aggressione, ha dichiarato: “Per lui i Beatles sono demoni. alcune settimane fa parlava allo stesso modo degli Oasis

Michael Abram aveva 33 anni e viveva vicino a Liverpool. Quelle notte del 30 dicembre 1999 è entrato nella casa di Harrison a Henley on Thames, a 70 chilometri da Londra e lo ha accoltellato. La moglie dell’ex Beatle Olivia lo ha colpito con una lampada e i due sono riusciti a immobilizzarlo fino all’arrivo della polizia. Harrison è stato ricoverato all’ospedale di Harefield, a ovest di Londra, specializzato in medicina toracica. In un primo tempo era stato portato, con la moglie, al Royal Berkshire Hospital di Reading. Le sue condizioni comunque non sono apparse gravi.

“Ho visto mio figlio l’ultima volta ieri – ha raccontato il giorno dopo la signora Abram ai cronisti di un giornale locale – e mi sembrava molto calmo, ma negli scorsi sei mesi è stato malissimo. Ho a lungo cercato di aiutarlo ma è stato come sbattere la testa contro un muro”. La donna ha aggiunto che Michael aveva alle spalle una lunga storia di tossicodipendenza: “lo scorso maggio ha smesso di usare eroina e anche il metadone, si è rivolto a consulenti psichiatrici che  non l’hanno aiutato. Se il servizio sanitario avesse dato retta a Michael, questo (l’attacco agli Harrison) non sarebbe successo“.

Era solito urlare molto ma non è mai stato violento o aggressivo. Era ossessionato da tanti tipi musica. Diceva di ascoltarla con le cuffie per cacciare le voci dal suo cervello. Settimane fa era fissato con gli Oasis, ora coi Beatles che considerava dei demoni“.

(La madre dell’aggressore)

Secondo la polizia tutto fa pensare che l’aggressione fosse preparata e che non si sia  trattato di un tentativo di furto andato male. Impressione in qualche modo confermata anche dalla madre dell’aggressore. Uno squilibrato, insomma, proprio come quello che l’8 dicembre del 1980, a New York, uccise John Lennon. 

Nella circostanza Abram è stato ricoverato in ospedale per una lesione cranica, con la porta piantonata dai poliziotti che temevano potesse tentare il suicidio. L’episodio è stato subito commentato da Paul McCartney che si è detto sconvolto per l’accaduto, e ha fatto gli auguri all’ex compagno. “Grazie a Dio – ha detto – George e Olivia stanno bene e mando loro tutto il mio affetto“.

Ma resta nell’ombra la maledizione del quartetto di Liverpool e le analogie con la morte di John Lennon. Mark David Chapman, l’assassino del leader dei Beatles, si era appostato in strada, in attesa che lui e Yoko Ono, rientrassero nel loro appartamento, nel “Dakota Building” che si affaccia su Central Park a Manhattan.

Hey Mr Lennon” gli disse quella mattina di dicembre di 19 anni fa. John si voltò, giusto il tempo di vedere il volto del suo assassino, e cinque colpi di pistola misero fine alla sua vita. Aveva 40 anni. Condannato a 20 anni, Chapman, uno squilibrato ossessionato dal “Giovane Holden” di Salinger ha confessato di aver ucciso John Lennon per “piantare l’ultimo chiodo nella bara degli anni Sessanta“.

George Harrison nasce a Liverpool il 25 febbraio 1943 e muore a Los Angeles il 29 novembre 2001.

 

— Onda Musicale

Tags: Dakota Building, Mark David Chapman, John Lennon, The Beatles, Paul McCartney, George Harrison
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