Recensioni e Interviste

Federico Messini: un giovane cantautore in equilibrio tra Guccini e treni infiniti.

Spesso si parla di studenti. Studenti che, oltre a frequentare università e città di tutto il mondo, spesso fanno altro per garantirsi qualche “spicciolo” in più.

Basti pensare agli studenti – lavoratori, ma ce ne sono ben pochi di studenti – cantautori. Ne parliamo oggi, in occasione della sua visita alla redazione di Onda Musicale, con Federico Messini studente e cantautore veronese in procinto di laurearsi in Lettere presso l’Università degli Studi di Trento. Cantautore, come ama definirsi, “a tempo perso e anche guadagnato”.

Quando, e perché, hai sentito la necessità di tradurre, o per meglio dire “fondere”, le parole in musica?

“Ho sempre avuto, fin da piccolo, una grande passione per la lettura. La lettura, soprattutto, di poesia non disdegnando la prosa. Da lì parte un po’ tutto – ci racconta Federico – perché, questa mia passione per la lettura e per le opere poetico – letterarie, mi ha forgiato fin dalla tenera età a cercare di vedere un po’ la rappresentazione di un qualcosa, del sentimento, delle emozioni, della vita che ci circonda attraverso, appunto, l’opera scrittoria. Ho cominciato a scrivere abbastanza giovane come scrittore di poesie. Ho sempre scritto poesie, piccole, brevi, grandi, che però non sono mai uscite dal cassetto del comodino. Poi ho sempre avuto la passione per la musica. Ho iniziato, a 5 anni, a suonare il sax con una passione per i Blues Brothers e da lì è nata la mia avventura musicale. Ho fatto il percorso di studi per il sassofono e nella mia vita ci sono sempre state due corsie. Musica e scrittura, anzi lettura/scrittura. Poi, man mano che queste due vie sono andate avanti in maniera parallela, non ti so dire quando, ho sentito il bisogno di unirle. Divenne proprio empatico. Mi sembrava che la poesia, da sola, non riuscisse ad esprimere appieno quello che mi sentivo di dire perché la mia idea di scrittura è che si debba dire qualcosa. Si deve comunicare un’idea, un sentimento, un’esperienza per sé stessi e per gli altri. Non nego che ho avuto delle influenze abbastanza importanti dato che sono sempre stato un grande ascoltatore di cantautori italiani e anche qualche illustre estero.”

Quali sono questi artisti esteri di riferimento, oltre alla scuola italiana? I vari Bertoli, De André, Guccini …

“Hai detto Guccini ed io parto dal dire che finisco lì.”

Quindi finisci nel mulino a Pavana? (Guccini ha registrato lì il suo ultimo album L’ultima Thule)

“Finisco nel mulino a Pavana, spero non macinato come il grano (ride). Con il “finire in un mulino” intendo il ritornare alle cose semplici, ai sentimenti autentici, che sento debbano essere la base della mia produzione artistica. Per questo apprezzo molto Francesco, perché sa trasmettere questa semplicità e autenticità in ogni sua opera. Ho sempre avuto questa mia deformazione musicale e quindi di scrittura. Forse si completano lì i cantautori e, forse, da questo imprinting che ho avuto mi è nato il desiderio di voler aggiungere qualcosa alla semplice scrittura. Penso di aver scritto la mia prima canzone intorno ai diciassette anni circa. Era una canzone dedicata alla notte che ho intitolato “Notturno”. Ho una passione per la notte con la luna, le stelle, le sue sfumature e tutti i pensieri che vengono fuori. Quando uno scrive una prima canzone dice “ma cosa sto facendo?” perché è sempre una cosa strana perché prima scriveva sull’agendina, ma non è la stessa cosa perché si deve utilizzare anche la musica. La musica deve creare un’atmosfera e mi sono detto “io voglio scrivere una canzone sulla cosa che amo di più che è la notte”. È la descrizione di un piccolo paesino, a cui sono molto affezionato, – prosegue il giovane cantautore – di notte ed è venuta fuori questa prima canzone senza sapere se sarebbe diventato qualcosa di finito. Penso di averci messo cinque mesi a finirla e lì si è rotto il vaso di Pandora. Da lì ho capito che anche io potevo unire musica e scrittura. Ho quindi cominciato una serie di sperimentazioni, sempre tenendomi comunque legato alla scuola italiana, e da lì è nato il primo disco, “Il gioco degli spiccioli”, che è uscito nel 2013. Sono passati tre anni ed è il momento di far uscire il secondo che sta per essere concluso anche se non c’è ancora un titolo. Posso dire che, come nel primo disco c’è un “Notturno” numero uno, nel secondo ci sarà un “Notturno” numero due. Si invecchia, cambiano le notti e cambiano anche i “notturni”.”

Quindi, guccinianamente parlando, ci sono “Canzone di Notte n° 1” e così via?

“Ecco, vedi? Alla fine si finisce lì. E non è un plagio perché, probabilmente, anche lui ama la notte, come tanti poeti e scrittori. Questo non vuol dire che in tutti i dischi che farò nella mia vita, se ne farò più di due, ci sarà un “Notturno”, non so. Magari ci sarà “Notturno” numero trentadue il che vuol dire che ho avuto una carriera discografica molto lunga, speriamo (ride).”

Prima hai accennato ai grandi esteri. Qualche nome?

“Penso che Bob Dylan sia stato, per me, un grande esempio, soprattutto a livello di composizione testuale. La semplicità, anche nel suo essere visionario in certi punti, era veramente fuorviante. Sono molto affezionato a come ha scritto e a come scrive tutt’ora. Te ne dico un altro così facciamo numero pari, per cui ti dico Leonard Cohen. Forse è il mio cantautore e poeta, perché è anche un grande poeta, preferito.”

Scrivi la musica e poi il testo, oppure il contrario? O magari ti avventuri in qualcosa di più “ibrido”?

“Non c’è una regola perché a me capita spesso che tutto nasca in simultanea. Penso ad un concetto e nasce, mentalmente un motivo da cui parte tutta la canzone. Poi, non ti nego, che dò priorità al testo, al concetto. È capitato anche che avessi un motivetto in testa e poi ci ho messo le parole, ma anche il contrario.”

A proposito di canzoni, c’è una tua canzone alla quale sei più legato? Magari anche più di una?

“Sì, la prossima che scriverò, e questa è sia una provocazione che una battuta. Ho comunque una canzone a cui sono molto legato e questa è “Giorno d’ottobre” che è presente nel primo disco. Dentro ci sono mischiate tante cose. C’è l’incontro con una persona importante, una mia carissima amica, che è avvenuto per caso in un giorno d’ottobre. E da quell’incontro si sono sviluppate tutta una serie di immagini che ho voluto raccontare in quattro stanze che descrivono vari momenti. Si parte da un incontro casuale – continua Messini – su un treno per poi arrivare a temi come l’infinito, l’uomo, la sua posizione nell’universo. Insomma, è un po’ una grande sega mentale. Ci sono molto affezionato perché è una sorta di manifesto da cui viene fuori la battaglia tra poesia e canzone. Sono canzoni di vita perché parlano di ciò che accade. Sentimenti dal passato, nostalgia e tutta questa tendenza a parlare del passato perché io sono molto legato al passato. Soffro spesso di nostalgia, come uno soffre di mal di schiena, e mi piace metterlo in musica. Ma senza rimpiangere qualcosa che non ritornerà, ma con l’entusiasmo per quello che verrà. Per questo la prossima canzone è la mia preferita, perché vuol dire che avrò vissuto qualcosa di importante da imprimere su un foglio.”

Sempre guccinianamente parlando le tue sono “Stanze di vita quotidiana” e le tue canzoni “D’amore di morte e di altre sciocchezze”?

“Esattamente, ma penso che bisogna partire da qualcosa per la produzione artistica. Deve avere sempre una base di vita, secondo me, poi non è detto che sia vissuta. In tanti l’hanno immaginata. Io, personalmente, faccio più fatica ad immaginare situazioni di vita e poi scriverci sopra. Scrivo più quello che sento, quello che provo, quello che penso. A “Stanze di vita quotidiana” aggiungerei anche stanze e corridoi infiniti e strade lunghissime per i famosi treni che ho accennato prima. Sono una figura che uso molto spesso. La vita è un treno lunghissimo a cui continuano ad aggiungersi vagoni che sono pieni delle persone che incontriamo, ma che poi si allontanano perché il tempo passa e le porta via così come avvenimenti ed emozioni. Alla fine ce lo teniamo sempre appresso questo lunghissimo treno. Per questo scrivere, canzoni e poesie, è come fare una passeggiata a ritroso in questo treno che non si stacca mai.”

Mi ricorda Vecchioni annunciando “Mi manchi”, nella sua esibizione alla RSI nel 1984, facendo dei paragoni con un tram affollatissimo

“Sai, credo che tra le persone che scrivono in un determinato modo c’è la nostalgia del passato, credo che si parli più di sintonia umana che artistica. Penso che alcune persone abbiano una mente più abituata a volgere il pensiero verso determinate situazioni e forse c’è proprio questo minimo comune denominatore umano, la propensione a non voler mai buttar via niente.”

Quali sono i tuoi progetti attuali e futuri?

“Tra i progetti attuali c’è la laurea (risata) poi finire il nuovo disco. Ci sarà anche una canzone che parla di Trento che si intitola “Via Cavour n. 20” e non vogliamo fare plagi di “Via Paolo Fabbri 43”. Tutti abbiamo un indirizzo, un posto dove siamo stati ed abbiamo provato qualcosa. Via Cavour, appunto, è uno di questi posti che rappresenta un periodo della mia vita, quello universitario, e parla di una Trento che ormai non c’è più.”

Vuoi parlarci un po’ del “Gioco degli spiccioli”?

“Certo! Perché si parla di spiccioli? Perché è un album che parla di vita vissuta, vita da vivere e vita che verrà vissuta. La domanda che ci poniamo tutti è chi siamo e dove finiremo. Ed io mi sono immaginato questa situazione come una grande partita a briscola in cui ci sono in palio questi spiccioli che sono tutte le cose che viviamo quotidianamente e che per noi sono grandi. Amori, illusioni, fallimenti, successi, le persone che se ne vanno, le persone che arrivano, i pianti, le risate e tutto quanto. Ho messo tutto su questo tavolo da gioco e le ho confrontate con l’infinito, il buio del dopo. Come dice Vecchioni “dove sarò o non sarò” (“Mi porterò”). Queste cose che per noi sono tutto, messe a confronto con l’infinito, sono niente, spiccioli appunto.”

E per quanto riguarda il prossimo disco?

“Il prossimo disco sarà, più o meno, sulla falsa riga del primo. Ci sarà una tematica a me molto cara, ovvero la difesa della cultura. Il portare avanti il messaggio che la cultura va sostenuta – ci spiega il giovane – perché ci sono delle cose che ci rendono migliori. La cultura, in tutte le sue forme, è uno di questi. La scrittura, la poesia, i classici non vanno snobbati. Nel primo album ci sono due canzoni, “Triste dipinto contemporaneo” e “Il doppiatore”, che sono una il proseguo dell’altra. Ricordiamoci che la cultura esiste e quindi leggiamo, scriviamo, guardiamo bei film, ascoltiamo buona musica e siamo critici nei confronti di quello che ci viene propinato.”

Cambiando argomento, la tua strumentazione preferita?

“Io nasco in acustico proprio perché mi piace dare tanta importanza al testo e quindi la migliore espressione che vedo per le mie canzoni è una chitarra, o un pianoforte, e una voce in modo che interpretazione e messaggio sovrastino tutto. Spesso suono con le dita perché un arpeggio delicato mi piace di più che una pennata incazzata. Però a volte serve anche quella.”

Qualche consiglio da dare a chi vuole intraprendere una carriera simile alla tua?

“Se uno ha piacere di scrivere e di mettere in musica quello che sente lo faccia. Non ci si deve vergognare ad esprimere così i propri sentimenti. Lo faccia senza paura delle critiche e senza paura del giudizio di nessuno perché, alla fine, in questi casi ci si trova a rendere conto solo a sé stessi. Lasci dunque perdere tutti i talent show con le varie X che ci sono. C’è qualche Y? (Risata) Mi sembra che, ultimamente, ci sia questa tendenza a snobbare l’originalità per mandare avanti la perfezione tecnica a discapito dell’artisticità intrinseca. Mi sembra che si preferisca, ai prodotti artistici, quelli perfetti solo dal punto di vista tecnico.”

Quindi suggeriresti, citando De André, di proseguire “in direzione ostinata e contraria”?

“Mi sembra troppo perché non è così tragica la situazione, però è anche vero che è drammatica. Perciò, se ci si sente di andare “in direzione ostinata e contraria”, remiamo controvento. Se uno ha qualcosa da dire non si faccia influenzare dai fattori esterni, ma solo da ciò che ha dentro ed il prodotto sarà autentico.”

Qualche concerto in vista?

“È un periodo di tranquillità, in quanto sto lavorando al nuovo disco, quindi tanti concerti non ce ne sono. Sicuramente nella stagione estiva sarò al festival teatrale musicale premio Cesare Marchi al Castello di Villafranca di Verona. Ormai è un appuntamento che c’è quasi tutte le estati ed è molto bello perché è un festival con una grande tradizione. Ormai sono due estati che sono presente a questo festival ed è un enorme onore. Quest’estate ci saremo ancora e, probabilmente, presenteremo lì il nuovo album. Da quel momento in poi ci saranno più concerti.”

 

Vanni Versini – Onda Musicale

 

— Onda Musicale

Tags: Pavana, The Blues Brothers, Roberto Vecchioni, Fabrizio De Andrè, Francesco Guccini, Leonard Cohen, Bob Dylan, Cantautore, Vanni Versini
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