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Recensione “Cuore Elettroacustico” di Dedo

Con “Cuore Elettroacustico” torna il genio e la creatività del polistrumentista messinese Dedo, Max Gazzè, Daniele Silvestri, Niccolò Fabi, Elio e le Storie Tese, Bandabardò e tanti altri, che firma il suo quarto album da solista.

Un album che vede, accanto alla sua tromba e voce, il basso di Max Gazzè (anche voce) e di Faso (Elio e le Storie Tese).

Attendi solo un po’” e la sua intro a cavallo tra gli anni ’80, con tanto di synth ed orchestra jazz, con i fiati a definire i contorni, è la traccia con cui si apre il disco.

Il brano, che ricorda molto i Depeche Mode con un tocco di Meganoidi del periodo Zeta Reticoli, parla di un amore difficile e tormentato.

Parole come “l’amore che mi dai mi basta solo un po’, me ne ricorderò” sono il perfetto specchio della situazione.

Per quanto sia alto e nobile quel folle sentimento chiamato amore spesso non basta o, comunque, non è equivalente a quello dato.

Con “Dicono” ritornano i synth, ma questa volta sono più leggeri ed orecchiabili anche se il riverbero rimane così come le contaminazioni provenienti dal prog delle prime Orme.

Arpeggi ed accordi acustici accompagnano la voce, a tratti quasi robotica, di Dedo che descrive tutti i luoghi comuni tipici della moderna con una pungente acidità che fa riflettere.

E li affronta tutti, l’estetica, l’Iphone, la crisi, gli stranieri, la mancanza di idee, la macellazione degli animali sono alcuni di questi. “Vivo perché ancora respiro e sogno, vivo perché ancora funziona il cuore”,questa la chiave di lettura proposta per sopravvivere ad una modernità senza ragione.

In “Inverno maledetto”, con una distorsione quasi da surf music, ma un ritmo proveniente dalla musica latina condito dalla slide, Dedo ritorna a parlare dell’amore che crolla su una relazione “malinconia, non restare sul mio petto, sono giorni senza fine questo inverno maledetto”.

Più malinconica della prima traccia di sicuro, ma paradossalmente più ballabile nonostante la nota amara di fondo. Ma veniamo al primo ospite. In “Taggami il nervo dell’amoreDedo e Max Gazzè, qui Gazzè canta e suona il basso, cantano sulla follia da social.

Follia fatta da like, post ed amicizie mandate, quasi a caso, a personaggi come Fabio Volo Beppe Grillo.

Tra gli elementi di questa moderna pazzia il “devo pubblicare in fretta e furia la foto” oppure il“devo ritaggare la foto del compagno di scuola che si offenderà”. In sostanza, invece di postare animali e cose da mangiare, tagga un po’ d’amore.

Segue “Resta sul divano” dove vi è il ritorno quasi prepotente di synth ed hammond che fanno da sfondo a temi cari a George Orwell, citato apertamente, o visti nel film Idiocracy.

Si parla dunque di un “male che trasuda dal tuo televisore”. Una televisione che “con il sorriso sulla bocca tu mi credi divertente, fingo, rido, piango, gioco e ti uccido lentamente”.

Non serve più pensare, amare, mangiare o altro, ci pensa quella scatola che risucchia la coscienza e la mente rendendo l’individuo sempre più assuefatto ed insensibile al mondo esterno che lo circonda.

Con Non è difficile, questa volta, si comincia subito con dei giri jazz da big band. Qui Dedo ci parla del disagio delle nuove generazioni, quella di chi vi scrive in questo momento, con “emozioni ormai scadute” e sogni che non possono prendere la minima forma.

Il passato, ormai, è andato ed era tutto più facile. Ora, stando ai documenti, siamo cresciuti, ma qual è il nostro futuro? Come confrontarsi con quello dei nostri genitori o degli altri adulti? Cosa c’è per noi? “Vivere all’ombra di un albero abbattuto”, forse questa è la frase che più di ogni altra riassume la generale tragicità della situazione.

Ti manci ‘u quagghiu, invece, è uno scatenato brano in dialetto meridionale che merita, a parte le profane parole di un settentrionale, di essere ascoltato a tutto volume anche se non si capiscono le parole.

Sono comunque sicuro che gli ascoltatori siciliani, specialmente quelli di Messina, lo apprezzeranno ancora di più. Chitarre elettriche acide ed un groove pazzesco, tra i brani più ritmati dell’intero disco, questo pezzo diventerà in breve il vostro preferito.

Piango alla Tv” vede la partecipazione di Faso, bassista di Elio e le Storie Tese, e che ricalca lo stile della nota band milanese.

Scanzonato funky il brano parla dell’italiano medio che urla alla tv, non lava i piatti, guarda il calcio, se ne frega e pende dalle labbra di programmi che denotano solo un generale appiattimento culturale.

Tengo al guinzaglio le mie emozioni”, di questo si tratta. In Euro da mare, quasi come da titolo, il brano è decisamente più surf, anche se le atmosfere ska rimangono decisamente presenti, si parla di un cavallo di battaglia di non pochi politici.

Questo cavallo altri non è che l’euro che ha fatto dannare un po' tutto il Paese dal suo arrivo. Prima c’era la lira, ma “adesso abbiamo l’euro che può darci un avvenire” o almeno, così si spera.

Si finisce con Il ballo del maiale ingrifato, stupendo brano strumentale dal sound leggermente vintage, che chiude in bellezza il disco di Dedo e che strapperà, a modo suo, più di un sorriso.

Per concludere, che dire di questo disco? Che è un perfetto affresco della realtà che ci circonda, la realtà di una piccola Italietta, già descritta da grandi autori come Giorgio Gaber Rino Gaetano, sempre più allo sfacelo.

Lo consiglio sia per le parti strumentali che per i testi, ironici e riflessivi allo stesso tempo, a dimostrazione che non si fa solo pop smielato nel Bel Paese.

 

Vanni Versini – Onda Musicale

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Tags: Daniele Silvestri, Bandabardò, Elio e le Storie Tese, Giorgio Gaber, Rino Gaetano, Vanni Versini, Meganoidi, Niccolò Fabi, Le Orme, George Orwell, Faso, Depeche Mode, Max Gazzè
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