Recensioni e Interviste

Paolo Ganz: due chiacchiere con il padrino dell’armonica blues italiana

Paolo Ganz, nato a Venezia il 18 ottobre del 1957, è considerato il vero e proprio padrino dell’armonica blues italiana. Oltre alla musica, anche di colonne sonore per vari film, Ganz si dedica principalmente alla scrittura.

Abbiamo approfittato di un momento di pausa per fargli qualche domanda al Blues Made In Italy. (leggi l'articolo)

 

Da quanto tempo suoni l’armonica e come mai hai scelto proprio questo strumento?

“Suono l’armonica da quando ero bambino in maniera anche abbastanza incosciente. Nel senso, da piccolo non pensi al blues anche perché erano anni in cui non arrivavano dischi e, se anche arrivavano, non avevamo i quattrini per comprarli. Ho cominciato quindi in maniera seria attorno alla metà degli anni ’70 con Woody Guthrie, Bob Dylan e compagnia bella. Poi venne il blues, che era in caduta, quindi c’è stata una sorta di ritorno alle origini. Ho scelto l’armonica perché prima la suonavo insieme alla chitarra e poi perché, quando arrivarono i dischi blues, c’erano tutte queste immagini di musicisti con l’armonica. Strumento fetish per antonomasia, questi strani microfoni, queste inquadrature emozionali. L’armonica, questo strumento piccolo, quasi un giocattolo, in cui dovevi mettere tutta la tua capacità, la tua perizia, il tuo cuore, sensibilità, arte diciamo, per tirarne fuori qualcosa perché era uguale a tutte le altre armoniche. Era povera, molto ruspante, molto naif, se vogliamo, l’idea di questo musicista che arriva con l’armonica in tasca. Una bella botta di romanticismo”.

 

Chi sono i tuoi armonicisti di riferimento?

“Per quanto riguarda strettamente l’armonica sono tutti i vecchi grandi armonicisti. Tutti e due i Sonny Boy Williamson, ovviamente, Little Walther, Sonny Terry, Walter Horton e poi avanti con Charlie Musselwhite, Paul Butterfield. Del buono c’è ovunque. Naturalmente gli anni ’40, ’50 e ’60 sono stati i migliori dove si è seminato, poi c’è stata una certa ripetitività di temi e moduli, ma questo è abbastanza naturale. Quindi ascolti ripetuti nel tempo fino a quando questa cosa ti è entrata dentro il cervello, ma anche nel cuore e nello stomaco perché l’armonica si suona con una buona dose di stomaco inteso come energia, istintività e spontaneità”.

 

Oltre ai grandi nomi del passato c’è oggi qualche artista, o qualche gruppo, che ti piace?

Non seguo un granché l’attualità dell’armonica anche perché questo è un dato un po’ sintomatico. Con molti colleghi, infatti, continuiamo ad ascoltare gente che è già morta. Questo quindi potrebbe essere un dato indicativo, curioso, della situazione. Io ascolto sicuramente l’armonica, ma ascolto anche la lirica, la musica classica, anni fa ho beccato una sbornia terrificante di musica in lingua spagnola che amo, per certi versi, quindi artisti di riferimento attuali non ne ho perché non seguo più l’attualità. Credo e ripeto che quello che c’era di buono, purtroppo, è stato già ampiamente detto e sviscerato dai maestri. Ora c’è questo senso di ripetizione. Meglio portare l’armonica, come ho fatto io nel mio piccolo, per colonne sonore eccetera al di fuori dello stretto ambito blues. Strumento limitato, ma che, al di fuori del blues, può allargare un attimo le sue possibilità per creare un sound, un divertimento o un colore. Molto spesso è chiesta per creare un colore più che una situazione musicale. Musica buona ce n’è, basta trovarla”.

 

Visto che siamo in tema di colonne sonore, con quale regista, o con quale attore, ti sei trovato meglio a lavorare?

“Ho lavorato molto in produzioni altrui come turnista. Una volta si usava questo ‘brutto termine’ come turnista perché venivi chiamato per fare un turno però era un buon modo per guadagnare, per vivere, ma soprattutto per entrare con l’armonica in contatto con realtà diverse che ti connettevano a musiche diverse per le quali l’armonica non è nata. Dovevi quindi fare fronte tu, con la tua inventiva, con il tuo genio o con degli espedienti cambiando due o tre armoniche nell’ambito di uno stesso brano o limando le ance per ottenere dei suoni che in origine non c’erano. Tutte cose che ti portavano a mettere in movimento il cervello. Io ho lavorato molto con Cecchi Gori, soprattutto per le colonne sonore di Francesco Nuti. Poi, Francesco è finito com’è finito, ed è stata un’esperienza importante che è durata cinque o sei anni in cui ho fatto quattro o cinque film con lui. È stato un contatto diverso con un mondo dove, diciamolo perché queste cose vanno dette, gli incassi erano diversi da quelli che potevi fare suonando nel baretto sotto casa che comunque io ho continuato a fare. Inoltre ti metteva davanti all’arrangiatore, a richieste specifiche, e a volte si suonava d’acchito sulle immagini del film. Esperienze di viaggio importanti e turni, molti turni. Ho fatto turni per molti artisti di cui non ricordo il nome e non ho neanche il disco. Di altri come per esempio Riccardo Zappa ho un suo vecchio disco. Un sacco di artisti che poi lasci sulla strada”.

 

Tra le varie colonne sonore che hai fatto qual è quella che ti è rimasta più nel cuore e a cui sei più affezionato?

“Beh, c’è un piccolo aneddoto che si può raccontare. Il secondo film che ho fatto con Cecchi Gori è stato ‘Willy Signori e vengo da lontano’ di Francesco Nuti per il quale non mi chiamarono fino alla fine perché Francesco aveva scelto una colonna sonora dove non c’era l’armonica. Era un colonna sonora fatta da musica andalusa, spagnola e flamenco perché, in quel momento, a lui andava così. Il trailer era già in televisione a Natale nell’89 e mi hanno chiamato a film pronto perché Francesco ha buttato via tutta la colonna sonora ed ha voluto ancora l’armonica. Quindi, in un giorno ed in una notte, abbiamo fatto tutte le parti di armonica del film. Corsi giù a Prato dove ho rifatto tutto e sono tornato. Una notte incredibile! Lì, oltre all’armonica, ho suonato anche il kazoo ed il jag che è una specie di bottiglione che fa il contrabbasso. Lui amava molto queste cose fuori dall’ordinario. Quello lì è il film che ricordo con più passione anche perché mi registrarono su talmente tanti canali che quando montarono io non riconobbi più le mie tracce, sembrava un altro musicista”.

 

Come ti sembra questa edizione del Blues Made in Italy?

Mi pare molto bello, ma sono arrivato troppo presto. Avrei voluto arrivare per salire subito sul palco, ma comunque mi piace. C’è il mercato, gente che va e che viene, io sono un po’ fuori dal campo, ma mi sembra che comunque la gente si stia divertendo. Grandi pacche sulle spalle, ma bisogna vedere se poi corrispondono effettivamente ad un movimento comune o se rimangono delle semplici pacche sulle spalle che possono essere utili per scacciare anche le mosche, ecco”.

 

Qualche progetto per il futuro?

“Sto terminando un libro di viaggio sulla Grecia, ho uno studio sugli scrittori praghesi in uscita nell’inverno. Ovviamente sto andando avanti a scrivere altre cose”.

 

Vanni Versini – Onda Musicale

 

 

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— Onda Musicale

Tags: Bob Dylan, Vanni Versini, Woody Guthrie, Blues Made in Italy, Charlie Musselwhite
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