Recensioni e Interviste

Genesis: recensione di “Foxtrot”

Quando si parla di Genesis e degli album storici che firmarono nella prima metà degli anni '70 bisogna sempre muoversi coi piedi di piombo, perchè gli esegeti della band ti aspettano al varco, pronti a mazziarti (o a cazziarti) se ogni dettaglio non quadra,

Diciamo pure che "Foxtrot" da buona parte dei fans e dei cultori è considerato in assoluto il capolavoro della formazione storica di Gabriel e soci, anche se io in verità preferisco "The lamb" per svariate ragioni musicali e concettuali. Per cui vorrei evidenziare che la mia opinione, pur imparziale, resta un punto di vista. Non me ne vogliano i foxtrottiani se dico che "Foxtrot" ha ancora qualche acerbità di troppo per poter essere l'apice della loro creatività. Tuttavia rappresenta la chiave della loro maturità, che avrebbe perfezionato contenuti e stile nei successivi lavori "Selling England by The Pound" e "The Lamb Lies Down on Brodway", per l'appunto

"Foxtrot" evolve le tematiche dei lavori precedenti, peraltro, e ne contiene ancora tracce soprattutto nella evocazione metafisica di alcuni testi e nella stesura dei brani, che oscillano tra un consolidamento della forma-canzone più tipica e la struttura della suite in più movimenti.

Tastiere omnipresenti, come si conviene ad un team che stava ai vertici della cultura prog-rock; chitarre mai realmente virtuose; voce al massimo dell'interpretazione, sebbene non ancora teatralizzata come nella tortuosa e onirica narrazione delle vicende di Rael. 

Ingredienti validi e finalmente dotati di identità sul piano strettamente sonoro, ma sofferenti di una certa piattezza sicuramente dovuta ai sistemi di registrazione e soprattutto alla qualità degli strumenti utilizzati. Questi ultimi, infatti, non godono di una post-produzione particolarmente ricercata e ciò che si troverà successivamente (fino all'intervento di Eno in "The Lamb" con conseguenti ripicche nella leadership della band) qui non ha ancora spessore. 

La batteria, ad esempio, risulta meno efficace a causa di un'aura di riverberazione scarsa, quasi Collins avesse usato pelli scadenti. Idem nei sintetizzatori di Banks, ancora troppo esili e monofonici, ancora troppo poco corali. Andiamo a fare una macro sull'assolo di organo verso la fine di "Supper's Ready", dove il lungo fraseggio sulla tastiera sembra prodotto da un giocattolo; o sull'analogo organo che saltella nell'incipit di "Get'em out by Friday".

Qui Tony Banks aspirava sofferente di certo alle ben più pasciute sonorità dei lavori del '73 e del '74, dove l'amalgama strumentale avrebbe goduto di rifiniture ad ampio spettro, con risultati realmente accattivanti. Meglio allora il sicuro rifugio del pianoforte tradizionale, che fa capolino in "Time Table" con un approccio realmente neo-romantico e finanche credibile.

Non per mettere sulle braci paragoni che potrebbero indurre un'ischemia a qualcuno… ma il coevo album dei Pink Floyd quanto a produzione del suono era sicuramente più avanti.

Ciò che invece dà già segni di lampante coronamento artistico è la scrittura di Gabriel: non certo gloriosa nel brano di apertura o nella vagheggiate reminiscenze cavalleresche di "Time Table" (pezzo peraltro delicatissimo e malinconico), bensì nel monumentale mosaico mistico-profetico di "Supper's Ready", che per quanto dilatato nella sua cripticità lirica e sonora risulta a tutt'oggi uno dei migliori titoli dell'intera discografia dei Genesis (per alcuni il migliore). E per quanto ci siano delle lacune anche qui dentro – vedi assolo di cui sopra sul piano timbrico – l'atmosfera è talmente coinvolgente e inquietante che viene spontaneo sognare una versione in studio rifatta due anni dopo alla maniera di "The Lamb"… una libidine assoluta.

"Supper's Ready" contiene in nuce tutto quanto Gabriel e soci avevano da dire e che avrebbero detto poi, dando un saggio di capacità più che tecniche direi intuitive. I 22 minuti e rotti si snodano senza soluzione di continuità lungo il percorso che diventò tipicamente Genesis: tra favola, evocazione, simbolismo e suggestione, con un alternarsi di emozioni rarissimo in dischi analoghi di quell'epoca.

In mezzo le divagazioni delle tracce 3 e 4, che pur non memorabili come la zuppa, offrono spunti più originali della successiva "More Fool Me" (sic!)… e poi la splendida perla di "Horizons", che resta quasi emarginata a far da apertura alla zuppa e pure ha una sua autonomia incantevole e rivela che qualcuno, rispetto alle prime prove live dove certo non si brillava per virtuosismo, era diventato bravo con le mani.

Ultima nota sulla copertina, che a me non è mai piaciuta nell'esecuzione, sebbene l'idea sia buona e tenga fede alla falsariga illustrativa di "Nursery Crime". Del resto i Genesis per le copertine non hanno mai fatto sfracelli. Ma questa è veramente un'opinione molto personale.

(fonte: link)

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— Onda Musicale

Tags: Genesis, Tony Banks, Foxtrot
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