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IIIDEST: identità e verità senza compromessi

IIIDEST

Una conversazione sincera con IIIDEST, tra radici urban, parole vere e futuro già tracciato.

In questa intervista, l’artista racconta la nascita del progetto IIIDEST, la sua visione emotiva e autentica della musica, e il percorso che lo ha portato a esporsi per la prima volta come solista.

Il primo singolo del progetto IIIDEST è uscito a fine febbraio di quest’anno. Avevi già avuto altri progetti discografici in passato o stai muovendo ora i primi passi?

Scrivo canzoni da più di dieci anni. Ho lavorato dietro le quinte, scritto per altri e contribuito a diversi brani, ma IIIDEST è il mio primo vero progetto da artista solista. In passato avevo già un progetto musicale, ma non lo vivevo davvero come tale: lo facevo più per sfogo, per istinto, senza una direzione chiara. Non mi ero mai esposto del tutto. IIIDEST segna un punto di svolta. È la prima volta che tutto parte da me e porta il mio nome. È il momento in cui ho deciso di fare sul serio, di raccontarmi a fondo e metterci la mia faccia, la mia voce, la mia visione. Un nuovo inizio, con alle spalle un percorso lungo fatto di esperienze, studio e crescita.

Cosa ti ha portato a fare musica? Raccontaci del tuo “perché” in tal senso.

Fare musica è stato l’unico modo sincero che ho trovato per non perdermi. Per restare in contatto con quello che sento anche quando non riesco a spiegarlo. Scrivo perché ho bisogno di capire, di liberare quello che mi porto dentro. Ogni pezzo è una specie di confessione: cruda, vera, a volte scomoda. Ma sempre mia.

Che tipo di artista ti definisci? Passiamo dal “perché” al “chi”.

Mi definisco un artista emotivo, seguo quello che sento. Ho radici urban, mi piace contaminare, uscire dagli schemi. Non mi interessa piacere a tutti, il mio obiettivo è arrivare dritto, lasciare un segno. Ogni brano è un pezzo di me, qualcosa che ho vissuto, che mi porto dentro o che mi ha influenzato.

Ti consideri una persona che cavalca le tendenze o sei uno che ne crea di nuove?

Non rincorro le mode. Mi ispiro, certo, ma poi le porto nel mio mondo. Penso che la vera forza sia prendere qualcosa di familiare, che senti tuo, e trasformarlo in qualcosa di personale, unico. Se poi diventa tendenza, meglio. Ma non è quello il mio obiettivo.

Per te è più importante lavorare da solo, circondarti di tante persone o averne poche e selezionate?

Poche ma giuste. Persone che capiscono davvero cosa stiamo costruendo, che ci credono come ci credo io. Per me è fondamentale che chi lavora con me entri nel viaggio. IIIDEST non sono solo io — è un’identità che parte da me, certo, ma che non esisterebbe senza il team che ho accanto. Non siamo una squadra, siamo una sola visione. Se uno perde il passo, lo sentiamo tutti.

A lavoro finito, al di là del gruppo con cui lavori, cosa si possono aspettare quelli che ti seguono?

Possono aspettarsi verità. Anche quando fa male. Non faccio musica per piacere a tutti, ma per lasciare qualcosa. Chi ascolta IIIDEST deve sentire che dietro ogni barra c’è una ferita, una storia vera. E deve potersi riconoscere, anche solo per un attimo.

Come proseguiranno i lavori di IIIDEST dopo l’uscita di “Diversa”? Parlaci dei tuoi progetti a breve termine.

Diversa è solo il secondo passo. Dopo arriverà Coltellata, che segnerà un punto di rottura nel racconto. Ogni uscita è parte di una narrazione più ampia, che culminerà con l’EP L’ultima rosa. E nel frattempo sto portando questo viaggio dal vivo, in alcune date a Roma, per incontrare chi sta iniziando a credere in questa visione.

— Onda Musicale

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