C’è qualcosa di magnetico e inquietante nei Bauman. Non cercano scorciatoie, non indorano la pillola: ti prendono per mano e ti trascinano dentro un mondo dove le luci al neon non scaldano, ma accecano.
Amusement Park, il nuovo album dei Bauman uscito per Jetglow Recordings, è un concept cupo e viscerale che trasforma un luna park in rovina in metafora del nostro tempo. Sette tracce come sette attrazioni storte, deformi, dove ogni giro è un passo verso la disillusione. In questa intervista, abbiamo fatto qualche giro sulle montagne russe con la band per farci raccontare cosa c’è dietro le quinte di questo parco maledetto. Spoiler: non ci siamo divertiti, ma ne siamo usciti cambiati. Pronti a entrare?
“Sette attrazioni, zero divertimento”: il concept di Amusement Park è potente e disturbante. Qual è stata la scintilla che vi ha fatto decidere di ambientare un intero album dentro un luna park decadente?
Eravamo alla ricerca di un luogo dove la realtà decadente espressa nelle nostre canzoni potesse essere estremamente visibile. La scintilla di ambientare i brani lì ci è scattata dopo aver fatto la photo session per il disco, proprio dentro a questo ex parco divertimenti, realmente esistito. Ci piaceva l’idea di farci ritrarre in questo parco giochi fatiscente come se nulla fosse successo, pronti per un tuffo in piscina o per una partita a bowling, ma con dietro, nello sfondo, solo macerie.
Le vostre canzoni sembrano più confessioni gridate che semplici brani. C’è una traccia che per voi è stata particolarmente difficile da scrivere o registrare perché troppo personale o dolorosa?
Sceglierne una è molto difficile, sono tutti organi indispensabili dello stesso corpo umano. Sono state tutte e sette facili e difficili da interpretare, dipende proprio dal momento in cui certe canzoni vengono eseguite.
In Mangia. Prega. Urla. si sente la tensione tra rituale e liberazione, tra regole e rottura. Vi andrebbe di raccontarci da dove nasce questo pezzo e se rappresenta un manifesto dell’album?
Musicalmente è il pezzo che racchiude un pò tutte le colorazioni e le varie anime del disco. Il protagonista del pezzo viene folgorato da una domanda e invece di trovare conforto e la risposta nella sua fede mai scalfita si ritrova in un buco profondissimo da cui può solo urlare la sua disperazione.
L’album è un viaggio claustrofobico, ma anche lucidissimo nella sua denuncia. Chi è, secondo voi, il “visitatore tipo” di questo Amusement Park? Vi ci rispecchiate?
Continuiamo a parlare di ascoltatori che intraprendono un viaggio però in realtà noi non siamo per niente esclusi e indifferenti a questo, anzi siamo stati proprio noi i primi visitatori del nostro parco divertimenti.
Musicalmente avete scelto di non cedere a compromessi, puntando su un sound crudo e cupo. Quanto è stato importante per voi restare fedeli a questa visione, anche a costo di risultare scomodi o difficili da ascoltare?
Suoniamo quello che viene da noi stessi tentando di rimanere il più possibile fedeli al nostro pensiero sia musicalmente che testualmente. Sappiamo già di essere distantissimi da quello che possiamo definire commerciale ma non è una cosa che ci interessa particolarmente. Vediamo la musica e l’arte in generale come un qualcosa che serve per esprimere noi stessi, in particolare le parti più nascoste e scomode. Fare musica per vendere è un’altra cosa
Avete descritto i Bauman come “un’esigenza”, una rivoluzione interiore che esplode dopo anni di silenzio. Se questo album è un’esplosione, cosa c’era prima? Che tipo di silenzio avete rotto?
Il gruppo Bauman nasce dalle ceneri di un’altra band dove siamo rimasti a grandi linee gli stessi. C’era l’esigenza di cambiare però non sapevamo ancora che direzione prendere, è stato durante proprio quel percorso silenzioso che sono nati i primi pezzi e le prime idee musicali che un po’ prendevano le distanze da ciò che eravamo prima. Poi l’esigenza di mettere su nastro ciò che da anni stavamo mettendo a punto in sala prove è stata una scelta obbligata.
Se doveste trasformare Amusement Park in un’esperienza reale, fisica, un luogo visitabile… che aspetto avrebbe? Che sensazioni proverebbe chi entra?
L’esperienza reale è stata appunto accedere ad un parco giochi decadente. Ma se vuoi un’altra metafora, potremmo immaginare un’escape room dove non serve nessun visore, basta uscire dalla porta di casa e farsi prendere a pugni da tutto ciò che c’è lì fuori. Succede a tutti e tutti i giorni, l’importante è come pari i colpi e reagisci …magari ogni tanto riuscire a tirare qualche “testata” ben assestata per rialzarsi e andare avanti.
