Bohemian Rhapsody è un film del 2018 diretto da Bryan Singer. La pellicola segue i primi quindici anni del gruppo rock dei Queen, dalla nascita della formazione nel 1970 fino al concerto Live Aid del 1985.
Questo è un dato che va sottolineato, se avete intenzione di andare a vedere il film, non aspettatevi di ritrovare i veri Queen, e nemmeno la storia di Freddie fino alla fine dei suoi giorni. Infatti solo nei titoli di coda potrete rivedere il gruppo (vero) e riascoltare la voce di Freddie in “The show must go on”.
Viene spontaneo chiedersi se fermarsi al concerto Live Aid del 1985, sia una scelta commerciale per programmarne poi una seconda parte. E chissà se Freddie avrebbe apprezzato e condiviso questa scelta, proprio lui che non ha fatto mistero della sua malattia che lo ha portato alla morte.
In effetti il film è stato classificato nel genere drammatico e non come musical proprio perché si è tenuto a raccontare più l’aspetto sociale di un personaggio nato dal nulla, che ha creato il mito dei Queen. Va raccontato anche come però lui si trovò nel posto giusto al momento giusto. Assistendo a un concerto in un locale, capitò che proprio quella sera il solista abbandona il gruppo. Freddie, al secolo Farrokh, chiede a una ragazza dove può trovare gli elementi del gruppo perché voleva complimentarsi con loro. E trovandoli sul retro apprende che il solista ha deciso di abbandonarli e lui si offre di sostituirlo.
Alla risposta “con quei denti no di sicuro“, lui si mette a cantare a cappella, senza accompagnamento e i ragazzi rimasero affascinati dalla sua voce. Proprio in quel frangente racconta di essere nato con due canini in più e che questa è la ragione della sua incredibile estensione vocale.
Freddie Mercury, pseudonimo di Farrokh Bulsara nasce a Zanzibaril 5 settembre 1946, muore a Londra il 24 novembre 1991 per una polmonite in un fisico minato dall’Aids, è stato un cantautore, musicista e compositore britannico di origini parsi.
Ricordato per il talento vocale e la sua esuberante personalità sul palco, è considerato uno dei più celebri e influenti artisti nella storia del rock: universalmente riconosciuto come uno dei migliori frontman nella storia della musica, nel 2008 la rivista statunitense Rolling Stone lo classificò 18º nella classifica dei migliori cento cantanti di tutti i tempi, mentre l’anno successivo lo classificò al primo posto tra le voci rock.
Fu fondatore nel 1970 dei Queen, gruppo rock britannico di cui fece parte fino alla morte. Per i Queen fu autore della maggior parte dei brani, tra i quali si annoverano successi come Bohemian Rhapsody, Crazy Little Thing Called Love, Don’t Stop Me Now, It’s a Hard Life, Killer Queen, Love of My Life, Play the Game, Somebody to Love e We Are the Champions.
Oltre all’attività con i Queen, negli anni ottanta intraprese la carriera come solista con la pubblicazione di due album, Mr. Bad Guy (1985) e Barcelona (1988), quest’ultimo frutto della collaborazione con la cantante soprano spagnola Montserrat Caballé, il cui singolo omonimo divenne l’inno ufficiale dei Giochi della XXV Olimpiade svoltisi a Barcellona.
Quando per la prima volta fu annunciato il progetto di un film dedicato a Freddie Mercury, le prime reazioni dei fan furono unanimi: nessuno potrà mai interpretare il leggendario cantante, così come nessuno potrà mai riuscire ad eguagliare il suo timbro vocale e la sua tecnica.
Rami Malek, chiamato a recitare la parte di Freddie nel film non ha certo avuto compito facile, anche se, a nostro avviso si è avvicinato molto al ruolo. Sono bastate poche immagini in costume e la conferma che nel film ci sarebbe stata la vera voce di Freddie, anche se mixata a quella del cantante canadese Marc Matel a tranquillizzare i fan di tutto il mondo.
E il risultato finale, va detto, è veramente notevole, perché ci sono momenti in cui, da un punto di vista estetico e iconografico (incredibile la somiglianza degli elementi dei gruppo), sembra davvero che quelli su schermo siano i Queen di quarant’anni fa.
Non solo Rami Malek interpreta un ottimo Freddie Mercury, ma anche tutti gli attori, in primis Gwilym Lee che interpreta Brian May ,riescono a raggiungere una somiglianza fisica e gestuale davvero impressionante. Una meraviglia audiovisiva che culmina nei 20 minuti finali del film in cui viene riprodotto in modo estremamente fedele l’intera partecipazione del gruppo al concerto del Live AID del 1985.
Le indimenticabili canzoni, il carisma naturale di Mercury e il contesto di una delle performance musicali più famose e celebrate di tutti i tempi permettono a Bohemian Rhapsody di chiudere in bellezza e di far uscire dalla sala molti fan con le lacrime agli occhi.
Anche se abbiamo detto che per molti frangenti il film riesce a riprodurre in pieno la storia dei Queen, è anche vero che la sceneggiatura di Anthony McCarten e Peter Morgan sceglie consapevolmente di tradire non solo la realtà dei fatti ma anche lo stesso Freddie Mercury.
Ci sono state tantissime biografie, ufficiali e non, in questi 27 anni che hanno seguito la morte del cantante, eppure in nessuna è mai stato fatto cenno di uno scioglimento (seppure temporaneo) dei Queen o di come la volontà di una carriera solista parallela di Mercury abbia creato tensioni nel gruppo.
Viene da pensare che la pellicola sia stata leggermente “romanzata o modificata” perché per chi conosce la storia, vi assicuriamo che c’è da chiedersi se ci siamo persi qualcosa.
I Queen non sono mai stati i Sex Pistols (o almeno a noi non risulta) e i loro comportamenti al di fuori del palco mai particolarmente “eccessivi o trasgressivi“. Certo Freddie era bisessuale ed è morto di AIDS, ma era anche molto attento alla sua privacy, e raccontare più di quel che già viene fatto sarebbe stato davvero di pessimo gusto.
Ecco quindi la necessità in Bohemian Rhapsody di aggiungere elementi più avvincenti a discapito di una realtà dei fatti ben nota a qualsiasi conoscitore e fan del gruppo, e qui forse sta la spiegazione dell’aver classificato il film come genere drammatico.
Una scelta molto discutibile che, considerata la presenza di May e Taylor nella produzione esecutiva del film, fa pensare se non a una specie di vendetta vera e propria, a un piano premeditato per mettere in una maggiore luce loro stessi.
Tutto ciò non basta però ad oscurare la luce di Mercury, un vero e proprio gigante non solo della musica ma dell’intrattenimento a cui Rami Malek rende giustizia il più possibile e che comunque resta il cuore pulsante del film Bohemian Rhapsody come lo è stato dei Queen.
La scelta, sicuramente originale se non bizzarra, di fermarsi al 1985 e non raccontare i successivi sei anni di vita e carriera del gruppo e del cantante non può che lasciare un po’ l’amaro in bocca, soprattutto pensando che, con la morte di Freddie e il suo testamento artistico rappresentato dall’album Innuendo, gli autori del film paradossalmente avrebbero potuto trovare quella tensione drammaturgica che forzatamente hanno dovuto ricreare e reinventare.
Ed è qui che sorge il dubbio che forse stavano già pensando ad un eventuale seguito chiamato “The Show Must Go On”. Considerati gli incassi e l’entusiasmo del pubblico internazionale non ci sarebbe poi troppo da stupirsi. Freddie di sicuro non si sarebbe scandalizzato, avrebbe magari commentato con la sua iconica frase: “I’m just a musical prostitute, my dear“.
Chiara Mazzalai