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L’avaro di Moliere in scena a Riva del Garda

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Rappresentata per la prima volta a Parigi il 9 settembre 1668, protagonista uno dei caratteri tipici del teatro classico, la pièce offre lo spunto a Molière per affrontare, oltre al tema dell'avarizia scellerata, anche altre questioni a lui care, dal matrimonio combinato all'incapacità dei medici, dal lusso eccessivo al gioco d'azzardo.

«L'Avaro» è portato in scena lunedì 25 gennaio nella sala Mille del Palazzo dei Congressi di Riva del Garda dalla compagnia Bon Voyage con Civit'arte 2013 Festival di Bagnoregio, interpretato da Lello Arena, con Fabrizio Vona, Francesco Di Trio, Adriana Follieri, Eleonora Tiberia, Chiara Degani, Enzo Mirone e Fabrizio Bordignon, per la regia di Claudio Di Palma, nell'àmbito della Stagione di prosa 2015-2016 dei Comuni di Arco, Riva del Garda e Nago-Torbole. L'inizio è alle ore 21.

Quando ci si appresta a preparare l’ennesimo allestimento di una commedia classica è sempre lecito porsi una domanda: quale perdurante valore consente ad alcune scritture teatrali di attraversare i tempi incontrando e provocando in modo continuo e sempre nuovo l’interesse di pubblico e artisti? Nel caso specifico de L’avaro di Molière ci si chiede anche cosa permetta all’aridità spirituale e materiale di Arpagone di essere ancora oggi tanto leggibile e fruibile; cosa le abbia consentito di attraversare tre secoli, ed essere ancora attuale. È certo che l’artificio drammaturgico molièriano ha un’efficacia oggettiva.

Esiste, però, un altro valore altrettanto incontrovertibile che fa da contrappunto alla meticolosa tecnica di punteggiatura teatrale di Molière. È quello evidenziato e rappresentato da un mondo intimamente corrotto di straordinaria e persistente contemporaneità. Un mondo che Molière anima di complottismi, di ipocrisie, di arrivismi, e che abita di fingitori, spreconi, faccendieri, di fronte ai quali l’avaro Arpagone si erge quasi come figura sinceramente reo-confessa, pervasa, in fondo, da una profonda onestà intellettuale.

Lui è naturalmente complementare a tutti gli altri, il suo vizio lo conduce a una solitudine apparentemente compiaciuta e strafottente, ma che lo costringe a perdere poi quasi più di quanto abbia cercato di trattenere.

È incapace di donare il suo tempo e se stesso, valuterebbe il dono come una perdita e la perdita è spreco e lui è un economo conservatore, non può sprecare. È un posseduto dal denaro, accumula ma non usa, diffida, sospetta, accusa, impone, la sua insana fragilità lo destina al drammatico succedersi di buffo e tragico.

Una ritmica recitativa incalzante mira all’esasperazione del vertiginoso virtuosismo teatrale del testo. I personaggi sembrano attraversare le epoche in una successione di stili che si snoda nell’immutabilità della trama originaria.

Intorno un perimetro, quasi museale, di teche che custodiscono una nutrita collezione di sedie (il collezionismo come altra declinazione dell’avarizia: ossessione del possedere?) di epoche diverse in cui è possibile leggere il segno del potere. Simbolo e segno di quella depressione dissimulata di Arpagone che gioca, combatte e si dimena con indomito furore e spaesata dabbenaggine contro le maschere della borghesia e contro i fantasmi della propria psiche.

— Onda Musicale

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