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Suites di fine anno: i racconti “musicali” di Roberto Maggi

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Roberto Maggi, Suites di fine anno
Con “Suites di fine anno” (Florestano Edizioni, 2019) Roberto Maggi ci offre una sorta di fantasmagorica rappresentazione delle serate di Capodanno, evento che di per sé è già connaturato e vicino “al limite”, solitamente carico di aspettative sogni avventurosi.

E qui, indubbiamente, vengono descritte storie bizzarre e stravaganti, che l’autore racconta in modo spiritoso e ironico. Il suo occhio scrutatore va però ben oltre, osserva e analizza i comportamenti umani, intuendo le sfumature psicologiche si nascondono dietro atteggiamenti teatralmente festosi. Situazioni sul filo del surreale, in cui la voce narrante è un io che esplicita se stesso e chi gli sta attorno in una sorta di progressione (auto)analitica.

Dichiara lo scrittore

Ciò che mi premeva realmente era far trasparire l’aspetto introspettivo e psicologico che si nasconde dietro quelle vicende; far emergere una sorta di traiettoria esistenziale che viene evidenziata attraverso la narrazione in prima persona e il ricorso a un impetuoso flusso di coscienza”.

Lo svolgimento dei racconti è senza dubbio particolare

Essi, infatti, sono assimilabili ai movimenti di una Suite, con variazioni di ritmo che cercano di avvicinare il linguaggio della scrittura a quello del fraseggio musicale. Nel libro il rapporto tra musica e scrittura è, quindi, centrale, e non solo dal punto di vista formale: nei diversi capitoli (per l’appunto chiamati movimenti), si susseguono brani che vengono ascoltati (realmente o mentalmente) e che fanno da sottofondo sonoro ed emotivo allo snodarsi della narrazione. Una presenza continua, in grado di esaltare e meglio identificare gli stati d’animo di una mente -e di un’umanità- il più delle volte disillusa.

Così la trama si arricchisce di continue citazioni riferite in special modo al mondo del rock, e leggendari nomi sfilano in passerella.

A partire dai Rush con la letteraria “Xanadu”, per proseguire con i Van der Graaf Genertor (“Lost” è il brano chiamato in causa), David Sylvian (“Silver Moon”), i Doors (“Break on Through”), i King Crimson e la loro immortale “Starless”, per infine confluire nelle atmosfere impalpabili di autori come Robert Wyatt (con la sua aquatica “Sea Song”) e Dead Can Dance che emblematicamente concludono il vorticoso flusso delle parole con “Anywhere out of the World”. Sono solo alcuni dei nomi che fanno parte di questa impetuosa e pregevole colonna sonora, per cui l’autore nutre evidentemente profondo amore; per Maggi infatti il senso della forma artistica è sostanzialmente musicale: non a caso questi racconti sono sostenuti e innervati da un ritmo inarrestabile e cangiante che infonde il mood e l’energia della musica, in una singolare sintesi di lingua colta e lingua parlata, stile alto e stile colloquiale.

La via d’uscita nel finale

E se, per lunghi tratti, le vicissitudini narrate ci avvicinano a un mondo beffardo e sostanzialmente assurdo, nel finale ci viene offerta una via d’uscita, un diversivo per spezzare l’incantesimo perverso della vita, in grado di far irrompere aria pura e nuova, sempre accompagnati dalle cadenze della musica. Che, non a caso, diviene qui sublime e magica. L’attento lettore potrà gustarne tutta l’attrattiva, immergendosi in un’atmosfera per certi versi psichedelica, fatta di trame musicali, sfumature intime e allucinati pensieri in diretta. Una soluzione stilistica originale e ben riuscita.

— Onda Musicale

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