Inserito da Rolling Stone al primo posto nella classifica dei 500 migliori album di sempre, Il 21 maggio 1971 usciva What’s Going On di Marvin Gaye: un disco eccezionale non solo per la qualità eccelsa delle canzoni o per la meraviglia della voce che le interpreta, ma anche e soprattutto perché vera e propria “eccezione” della sua carriera discografica.
L’album costituisce, infatti, un unicum all’interno della discografia del nostro, in quanto primo e ultimo album “politico” del Principe del Soul – questo il titolo lasciatogli in eredità dopo che quello di “Re” era purtroppo già stato assegnato a Sam Cooke o a Otis Redding a seconda delle fazioni.
Fino ad allora il buon Marvin si era “limitato” a cantare canzoni “leggere” (anzi leggerissime) che parlavano principalmente di sentimenti legati alla sfera amorosa, come previsto dal regime della Motown Records, la leggendaria etichetta di Detroit per la quale incisero anche le Supremes, i Four Tops e Stevie Wonder (giusto per fare qualche nome) e con la quale Marvin si era anche mezzo imparentato – la sua prima moglie Anna Gordy era infatti la sorella del boss Berry Gordy.
Proprio a lei erano dedicate le sue prime canzoni d’amore come Pride and Joy, scritta dallo stesso Marvin, oppure You’re a Wonderful One eHow Sweet It Is (To Be Loved by You) della premiata ditta di compositori Holland-Dozier-Holland.
Quando composi “Pride and Joy” ero perdutamente innamorato di Anna. Mi limitai a scrivere quello che provavo per lei e quello che lei aveva fatto per me. Era lei il mio orgoglio e la mia gioia”. – (M.Gaye)
In seguito cambiarono i toni, ma non il tema di fondo
Nell’instant classic I Heard It Through The Grapevine – uscito nel ’68 e ripreso nei titoli di testa de Il Grande Freddo nell’83 -l’amore viene intaccato dalla gelosia, che diventa fonte di sospetto anche nella vita di coppia reale di Marvin (L’ho sentito dire da voci di corridoio / Che non saresti stata mia ancora a lungo), mentre in Let’s Get It On (altro instant classic uscito nel ’73 e ripreso nel finale di Alta Fedeltà) il sentimento amoroso si mescola alla filosofia di vita dell’andare avanti nonostante tutto (in origine il brano parlava del desiderio di andare avanti con la vita dopo aver sconfitto l’alcolismo, ma fu riadattato in seguito all’incontro con Janis Hunter, seconda moglie di Marvin).
Ma senza scendere nei dettagli delle varie canzoni, basterebbe leggere anche soltanto alcuni titoli degli album per capire l’antifona: Together, When I’m Alone I Cry, You’re All I Need, That’s The Way Love is, I Want You, Midnight Love, ecc.
What’s Going On, invece, si presenta fin dal titolo come un disco completamente diverso che segna una frattura con il passato ma anche con il futuro: un disco “impegnato” che tocca vari argomenti di carattere sociale, dalla violenza nelle strade alla guerra del Vietnam, dalla dipendenza dalla droga alla questione ambientale.
Complice anche una copertina che mostra la fierezza del volto di Marvin, con il bavero alzato sotto la pioggia e lo sguardo rivolto verso un futuro migliore, l’album diventa immediatamente il simbolo della lotta per i diritti civili degli afroamericani.

Il vero miracolo del disco è che parla agli afroamericani senza usare nemmeno una volta la parola “black”. Non ce n’era bisogno. Nel 1971 tutti sapevano di cosa si stava parlando, tutti vedevano cosa stava succedendo. Per capire come ci si è arrivati, però, occorre fare un passo indietro. Anzi tre.
Primo Flashback: i duetti e la morte di Tammi Terrell
Dopo i primi album solisti di Marvin contrassegnati da successi altalenanti, alla Motown hanno un’illuminazione vincente: affiancare al bello e bravo ragazzo elegante del Soul una voce femminile altrettanto bella e pulita che si incastri alla perfezione con la sua e che sia in grado di innescare una narrazione fittizia (ma perfettamente credibile) fatta di canzoni cantate da una coppia d’innamorati. E così vengono sfornati nell’ordine prima un album di duetti con Mary Wells (di cui What’s The Matter With You Baby? sarà il singolo di successo), poi quello con Kim Weston (Take Two) e infine tre album (United, You’re All I Need e Easy) con la splendida e indimenticabile voce di Tammi Terrel, insieme alla quale Marvin Gaye sarà praticamente impacchettato, firmato e consegnato al grande pubblico (Stevie Wonder docet) in una confezione regalo luccicante, contenente al suo interno una storia d’amore immaginaria e una serie di duetti memorabili come Your Preociuos Love, You Are All I Need To Get By e soprattutto Ain’t No Mountain High Enough, ovvero la costruzione di un amore in tre minuti senza sangue né sudore.
Nel momento in cui cantavamo, eravamo innamorati. La vibrazione era incredibile. Le emozioni erano sentite, reali. Eppure, quando la musica finiva, ci davamo un bacio sulla guancia e ci salutavamo”. – (M.Gaye)
La nuova (ac)coppia(ta) delle meraviglie sembra piacere proprio a tutti (tranne che alla moglie di Marvin), nel giro di pochi anni sforna un successo dopo l’altro, mandando ben nove brani in classifica, ma purtroppo sarà costretta a fermarsi presto e non a causa della gelosia, bensì di un male ben più grande e infame. Nel 1967 durante una loro esibizione sul palco dell’Hampton-Sydney College in Virginia, Tammi Terrel si accascia all’improvviso crollando fra le braccia del cantante completamente priva di sensi. Si è speculato molto sulle origini di questo malore, secondo alcuni fu colpa di un ex fidanzato violento che l’aveva fatta precipitare dalle scale, facendole battere la testa (tra questi si è fatto anche il nome di James Brown), ma la diagnosi successiva non lascia scampo: tumore al cervello. Il calvario di operazioni che ne (con)seguirà purtroppo non basterà a salvarle la vita. Morirà il 16 marzo 1970, sta volta non tra le braccia – ormai troppo distanti -ma tra le lacrime disseminate nel vento di un Gaye letteralmente distrutto, il quale penserà prima al ritiro e poi persino al suicidio.

L’amore mi sembrava crudele, era una bugia. Tammi era vittima del lato violento dell’amore, o per lo meno così sembrava. Non so esattamente cosa la uccise davvero, ma si percepiva una vibrazione profonda, come se lei stesse morendo per tutti quelli che non riuscivano a trovarlo questo amore. Il mio cuore era a pezzi. Il mio matrimonio con Anna si era rivelato essere una bugia. Nel mio animo non potevo più fingere di cantare canzoni d’amore per la gente. Non ero in grado di esibirmi.” – (M.Gaye)
Secondo Flashback: Il ritorno di Frankie
Nel frattempo nella vita di Marvin Gaye accade un altro avvenimento importante: il fratello minore – Frankie – torna dalla guerra del Vietnam e gli racconta non solo tutte le atrocità che ha visto con i suoi occhi, ma anche tutte le difficoltà di reinserimento in una società americana profondamente razzista, che lo discrimina e non gli riconosce proprio quei diritti per i quali aveva combattuto, rischiando di morire dall’altra parte del mondo. Marvin rimane profondamente toccato dai racconti del fratello e comincia a pensare che sia venuto il momento di strappare il cielo di carta (regalo) della Motown e di parlare di queste cose nelle sue canzoni. Un po’ come fece Sam Cooke quando decise di incidere A Change Is Gonna Come.
Dall’esperienza viva del fratello nascerà il 2° brano dell’album What’s Happening Brother, una domanda senza punto di domanda come quella che intitola il disco, che non a caso ritorna anche nella seconda strofa di questa canzone:
I just don’t understand
what’s going on across this land.
Che si tratti o meno di una vera domanda “da fratello a fratello”, il brano racchiude in pochi minuti tutto il senso di smarrimento provato dai reduci del Vietnam, tornati a far parte di un mondo che non (ri)conoscono e che non li riconosce: non solo non li celebra come eroi di guerra, ma li contesta per aver combattuto una guerra sbagliata e senza senso, lasciandoli ai margini della società (Can’t find no work, can’t find no job my friend) con la consapevolezza di essere stati usati dal governo americano come carne da macello.
Il brano è stato ripreso anche da Spike Lee nel suo ultimo film incentrato sui soldati afroamericani in Vietnam, Da 5 Bloods, dove viene utilizzato non come semplice canzone di sottofondo, ma attraverso il canto dei protagonisti che lo intonano mentre camminano in mezzo alla giungla come segno di unione e fratellanza. Che il regista di Fa la cosa giusta e Malcolm X abbia inserito questa e diverse altre canzoni estratte da What’s Going On nel suo ultimo film è esemplificativo di quanto ancora oggi sia forte il legame tra la comunità afroamericana e questi brani immortali di Marvin Gaye, che qui costituiscono qualcosa in più di una semplice colonna sonora – è quasi come se fossero un ulteriore personaggio che ci parla e ci racconta “cosa sta succedendo” con parole che a leggerle sulla carta appaiono fin troppo semplici e banali, ma quando prendono vita nella voce e nella musica di Marvin ti sembrano ancora una volta l’unica soluzione possibile:
You see, war is not the answer
For only love can conquer hate
You know we’ve got to find a way
To bring some lovin’ here today
Terzo e ultimo flashback: i Four Tops e la repressione di Berkeley.
Nel maggio del ‘69 i Four Tops, sbarcati a San Francisco per un concerto, assistono alla violenta repressione della polizia nei confronti di alcuni manifestanti pacifisti di Berkeley, a People’s Park. Rimasto profondamente scioccato dall’evento, Renaldo “Obie” Benson cercherà di esorcizzarlo scrivendo una bozza di canzone in cui si domanda cosa diavolo sta succedendo a questo mondo – pare che le sue parole esatte, successivamente edulcorate nel testo, siano state proprio: “What the fuck is going on?”.
È questo il nucleo di partenza da cui scaturisce il tutto. La canzone ritenuta poco adatta al quartetto viene gentilmente donata a Marvin Gaye che ne riscriverà parte del testo, facendola sua e usandola come pietra angolare su cui costruire l’album della sua nuova “chiesa”, quella della musica soul impegnata, distante tanto da quella del padre pastore, quanto da quella della Motown e dal suo finto romanticismo infiocchettato per l’occasione.
Uno dei cambiamenti più significativi apportati alla canzone da Marvin sarà quello di eliminare il punto di domanda finale. Il brano, infatti, non si chiede “cosa sta succedendo?”, ma ti dice “cosa sta succedendo” e te lo racconta fin dall’incipit:
Madre, madre / Troppe di voi stanno piangendo
Fratello, fratello, fratello / Troppi di voi stanno morendo
Ecco cosa sta succedendo. La gente sta morendo sia in guerra che per le strade d’America. E per questo ci sono cortei di protesta e cartelli di protesta (Picket lines and picket signs) ai quali bisogna trovare una risposta diversa da quella della repressione violenta messa in atto della polizia:
Non reprimermi con brutalità/ Parla con me /
Così puoi vedere / Cosa sta succedendo
Dobbiamo trovare un modo per portare un po’ d’amore qui oggi
Canta Marvin alla fine di ogni strofa, ma prima dovrà trovare un modo per convincere l’etichetta a pubblicare la canzone. I morti, le proteste, la guerra, il Vietnam non sono temi da Motown e Berry Gordy infatti di questo brano non ne vuole proprio sapere niente, arrivando a definirlo “the worst thing I’ve ever heard in my life”. Dal canto suo, Marvin non ha nessuna intenzione di rinunciare al brano e minaccia un “aut aut”, finché alla fine sarà un mero errore di smistamento a far arrivare il singolo nei negozi. E qui casca l’asino – che in questo caso è Gordy – perché, a dispetto delle sue basse aspettative, il singolo ottiene un successo clamoroso con 100 mila copie vendute in un solo giorno. A questo punto nessuno può più fermare Marvin dalla creazione di un intero album che viaggi su quella stessa linea d’onda. A change is gonna come.
In soli 10 giorni vengono registrati tutti gli altri brani. Tra i “nuovi” temi affrontati ci saranno anche la dipendenza dalla droga cantata con l‘autodistruzione nella mano e le pene della notte nel cuore di Flyin’ High (In the Friendly Sky), la preoccupazione per le nuove generazioni in Save The Children e l’impatto ambientale dell’inquinamento sfrenato in Mercy Mercy Me (The Ecology), con cui Marvin ci pone delle altre domande-non-domande la cui funzione puramente retorica è quella di spingerci a realizzare lo stato preoccupante delle cose:
dove sono finiti tutti i cieli azzurri? Quanti altri abusi può sopportare ancora questa terra?
Il fatto che tutti questi temi fossero in qualche modo collegati tra loro viene suggerito e riprodotto anche dalla struttura del disco in cui non c’è una netta separazione tra i brani, l’arrangiamento di ogni canzone sfuma in quello successivo senza soluzione di continuità come se si stesse ascoltando un’unica lunga suite composta dai più movimenti. Un corpo unico i cui organi vitali sono anche i nostri. Per questo li sentiamo vibrare in profondità. Come quando un anno fa abbiamo visto le immagini dell’omicidio di George Floyd da parte della polizia americana e le successive proteste del movimento Black Lives Matters. Non si trattava di un caso isolato, anzi, era soltanto l’ennesimo; e infatti proprio per sensibilizzare la gente sui numerosi casi analoghi, nel 2019 era stata girata una nuova versione del video di What’s Going On con le immagini delle varie manifestazioni di protesta.
Si dice spesso che questi movimenti non servono a niente, ma al netto della sensazione generale di impotenza, fortunatamente non è sempre così: è di un mese fa, infatti, la notizia della condanna di Derek Chauvin, l’ex agente di polizia che aveva premuto il ginocchio sul collo di Floyd, schiacciandolo contro il marciapiede per 9 minuti e 29 secondi fino a causargli la morte per soffocamento. Avere giustizia non è abbastanza per smantellare il razzismo sistemico di un intero paese, ma di sicuro è un primo segnale di qualcosa che si muove nella giusta direzione. Così come sono segnali importanti le recenti riforme delle policy sull’uso della forza di vari dipartimenti di polizia o la redistribuzione delle risorse in altri ambiti alternativi alla polizia come l’istruzione, l’alloggio e i servizi sociali per le comunità in difficoltà.
La strada è ancora lunga, ma a 50 anni di distanza da quel 21 maggio 1971 le risposte che Marvin Gaye aveva invocato nel suo album sembrano cominciare ad arrivare.
Perché in fondo What’s Going On non è mai stata una domanda, ma un tentativo di risposta.
di Fabrizio De palma