Blonde è un film del 2022 diretto dal regista e sceneggiatore australiano Andrew Dominik. La pellicola, basata sull’omonimo romanzo del 1999 di Joyce Carol Oates, narra la vita dell’attrice Marilyn Monroe (1926-1962).
È l’evento dell’autunno su Netflix: Blonde, con Ana de Armas nel ruolo di Marilyn Monroe. Sylvie Bommel ha assistito all’anteprima di questo attesissimo biopic e ne ha poi parlato con il regista Andrew Dominik e l’autrice Joyce Carol Oates. Dunque, scioccante?
Che cos’è un mito? Se non avesse abusato di bicchieri di zabaione e barbiturici, forse Marylin Monroe sarebbe ancora tra noi
Avevo voglia di descrivere una vita attraverso il prisma dei traumi e delle false convinzioni dell’infanzia». Andrew Dominik, regista di Blonde «Non avrei mai pensato che un regista, maschio, potesse immergersi con tale profondità nella coscienza femminile.” – Joyce Carol Oates, autrice di Blonde.
Come sarebbe oggi Marilyn?
Oggi avrebbe 96 anni, l’età della nonna o addirittura della bisnonna di molti abbonati Netflix per i quali Marilyn, la sua vita, il suo corpo e il suo lavoro, appartengono al passato come il Piano Marshall. Ma non dubitiamo che a settembre si precipiteranno a scoprire Blonde, un lungometraggio atteso a lungo, nel vero senso della parola, da quando la piattaforma di streaming statunitense ne ha annunciato la produzione nel 2016.
Andrew Dominik, il regista neozelandese, ha lavorato al progetto per quasi tre lustri, nel corso dei quali ha cambiato due volte l’attrice protagonista (Naomi Watts e Jessica Chastain) prima di scegliere in via definitiva la cubano-ispanica Ana de Armas. Dominik, che divide la sua vita tra Los Angeles e l’Australia, ama pensare prima di agire, per questo ha preferito rispondere alle mie domande via e-mail. A partire da questa, la cui originalità è tutta da apprezzare: «Perché un film su Marylin?». 10 giugno, 2022. Da Andrew a Sylvie: « I saw an opportunity to describe an adult life through the lens of mistaken childhood beliefs & trauma». («Avevo voglia di descrivere una vita attraverso il prisma dei traumi e delle false convinzioni dell’infanzia».) La prova provata che da una domanda anodina può scaturire una risposta interessante.
Adulata, ambita, desiderata… ma mai soddisfatta
Riprendiamo. Norma Jeane Baker nasce a Los Angeles il 1° giugno 1926, il nome Marylin Monroe – che non hai mai particolarmente amato – le verrà imposto da Ben Lyon, un produttore della 20th Century Fox, convinto che l’allitterazione delle M le avrebbe portato fortuna. Figlia indesiderata di un padre svanito nel nulla prima della sua nascita, e di Gladys, una donna instabile a cui verrà presto diagnosticata una schizofrenia paranoica, Norma trascorre la maggior parte della sua infanzia tra case famiglia e orfanotrofio. Ecco i traumi evocati dal regista. Per quanto riguarda le false convinzioni, Mamma Gladys le raccontava che il padre assente, a suo dire bello come Clark Gable, teneva sempre con sé una foto dell’amata figlia e che un giorno, certamente, sarebbe tornato da lei. Non occorre avere frequentato i seminari di Lacan per comprendere che Norma Jeane, che si rivolgeva ai propri mariti chiamandoli Daddy (papino), era alla ricerca di una figura paterna protettiva. Si capisce bene perché in Come sposare un milionario sussurrasse: «Il mio cuore appartiene a papà, you know il proprietario…».
Blonde non è un biopic classico
Non offre una lettura agiografica del personaggio, descrivendo gli episodi più edificanti della sua vita. Blonde racconta un destino che, al netto di alcuni dettagli, potrebbe accomunare tante donne che cercando l’amore si trasformano in grandi seduttrici. Aiutata da una fisicità prorompente e da un innato sex appeal, Norma Jeane sarà adorata, ambita, desiderata e posseduta da molti amanti, incluso il presidente del proprio Paese, ma morirà a soli 36 anni senza che nessuno sia mai riuscito a parlare veramente alla sua anima.
“Marilyn era così insicura, così esigente, che era difficile
per chiunque amarla o anche solo aiutarla”
La sceneggiatura è tratta da Blonde il bestseller uscito nel 2000 di Joyce Carol Oates
La grande scrittrice americana due volte candidata al Premio Nobel per la Letteratura e vincitrice del Femina Foreign Language Award per Le cascate nel 2005. Blonde è basato sulla vita dell’attrice, ma è un romanzo e non una biografia. Al telefono, Joyce Carol Oates spiega che Marilyn Monroe è un po’ la Emma Bovary di Hollywood. «Entrambe sono giovani donne con una visione molto romantica e probabilmente irrealistica dell’amore. Marilyn era così insicura, così esigente, che amarla, o anche solo aiutarla, era difficile per chiunque. Molti uomini, tra cui il suo secondo marito, il giocatore di baseball Joe DiMaggio, ci provarono, ma poi si ritrassero per paura».
La visione del film
Scortata da tre rappresentanti di Netflix, impegnati a controllare che il mio cellulare restasse nella borsetta, ho assistito alla proiezione di una versione quasi definitiva di Blonde, una mattina di giugno nella sala cinema privata di un hotel di Parigi. Lo scopo era preparare le mie interviste con il regista e Joyce Carol Oates. Prima, sì, prima dei Hollywood , quelli che dalla finestra del loro ufficio possono ammirare il sole tramontare sul Sunset boulevard (dove, altrimenti?), prima di andare a bere una o due Bud a bordo della piscina di Brad Pitt.
Piccola precisazione per i più sospettosi (non li biasimo, di questi tempi ci si aspetta di tutto)
Non ho ricevuto nessuna busta, né firmato alcun documento che m’impegni, in cambio di questo privilegio straordinario, ad amare questo film e a farlo sapere. Ma lo giuro sulla testa di tutte le bionde della mia famiglia, me compresa, Blonde, come dicono i critici de «La masque et la plume», è un film che mi ha «preso». Detto altrimenti: i 166 minuti del film sono volati via in un attimo.
(articolo scritto da Sylvie Bommel e pubblicato su vanityfair.it)