Dal 21 al 24 settembre 2022 al Teatro Rossetti di Trieste la prima assoluta di “PSY – Ombre abbaglianti” di Gigi Funcis.
“PSY – Ombre abbaglianti” è un noir steampunk per attori e ologrammi, tra teatro, cinema e esperienza immersiva. Con Lorenzo Acquaviva, Veronica Dariol e Giovanni Boni, e con la partecipazione olografica di Lino Guanciale, Angelica Leo, Roberta Bruzzone e Alejandro Bonn.
“PSY – Ombre abbaglianti”
In scena 3 attori protagonisti e, a interagire con loro, altri quattro attori tramutati in ologrammi grazie a un grande tulle trasparente sulla quarta parete.
PSY è una storia dai risvolti psicologici e tecnologici, che fa incontrare fisica quantistica e letteratura fantastica dal taglio steampunk: ambientata in un passato alternativo dove la tecnologia si è evoluta prima; a Trieste un serial killer terrorizza la città.
L’intervista a Lorenzo Acquaviva
Abbiamo intervistato l’attore Lorenzo Acquaviva, che nello spettacolo “PSY – Ombre abbaglianti” interpreta lo psichiatra chiamato a tracciare il profilo del serial killer: ecco la nostra intervista.
Quale tra i tuoi lavori consideri come rappresentativo in massima parte del tuo modo d’intendere il teatro?
Uno degli spettacoli a cui sono più affezionato e che mi rappresenta di più è senz’ altro la Zona. Andò in scena nel lontano 2001 nell’ambito della prima edizione del ScienceplusFiction, Festival della fantascienza di Trieste, che noi, gruppo di giovani cinefili, avevamo riesumato dopo venti anni.
Lo spettacolo poi è stato ripreso nel 2018 più volte, nell’ambito di Approdi, festival multidisciplinare e site-specific che dirigo, e lo abbiamo messo in scena recentemente. Lo spettacolo è ispirato a Stalker del grande maestro russo Andrej Tarkovskij, uno dei miei film preferiti. La storia la potremmo definire di fantascienza filosofica. Gli Stalker sono delle persone che portano chi lo richiede, in questi luoghi sulla terra, in cui presumibilmente sono scesi gli alieni.
In queste Zone appunto, che i vari governi hanno provveduto a recintare e a sorvegliare, si trova una sfera d’oro che realizza i desideri umani. Gli Stalker per danaro ma anche come missione personale selezionano gli uomini meritevoli. La Zona è pericolosa ed insidiosa e solo loro ne conoscono i segreti più reconditi per passarne indenni.
La prima edizione aveva come sfondo il porto di Trieste, che aveva molto affinità con la Zona tarkovskijana, sia in termini di impenetrabilità che di atmosfera. La seconda edizione l’abbiamo ambientata in alcune gallerie antiaeree della Seconda Guerra Mondiale, che sono state scavate dai tedeschi e per l’appunto si chiamano KleineBerlin, luoghi di grande fascinazione e suggestione.
La gente ci seguiva in entrambe le edizioni, faceva l’esperienza di entrare nella Zona. Un’ esperienza che chiamo di teatro immersivo.
Se potessi farei tutti gli spettacoli site-specific, nei luoghi, mi piace molto recitare in posti che emanano la suggestione del loro passato, in cui si deposita la storia, che secondo me un attore sente e incorpora.
Poi amo molto i testi che racchiudono il mistero, l’incomprensibile, l’ irrazionale. Io interpreto lo stalker ed è stato uno straordinario percorso di ricerca dentro di me nello scoprire le affinità con un personaggio così affascinante e misterioso.
La cosa che mi rende orgoglioso di questo spettacolo, PSY, è che molto spesso gli spettatori ci aspettavano fuori da queste gallerie non solo per complimentarsi ma per farci domande sul testo; la gente si portava a casa qualcosa di prezioso e questo per un attore come me è impagabile!
Il tuo spettacolo PSY – Ombre Abbaglianti, ha un carattere di forte innovazione nei suoi strumenti espressivi. Come è cambiato il mestiere dell’attore nell’era della iperconnessione?
Dunque, con i social ormai sono tutti attori! Basta scorrere un po’ facebook, instagram e si può intuire quale attenzione ci sia nei confronti della propria immagine con scelta di location, luci, inquadrature.
Ormai siamo ad una fictionizzazione della vita. È molto interessante questo aspetto per chi lo fa di professione. In questo scenario, forse, se l’attore non è la grande star che appunto rientra in quel fenomeno mediatico ‘esibitivo’ e esibizionista ha perso interesse.
Di cinema d’autore se ne fa sempre meno; il teatro di ricerca è in grande sofferenza. Insomma, mi sembra sia diventato tutto o quasi esclusivamente entertainment. Non c’è niente di male, se ci fosse anche quell’altro aspetto, quello culturale.
Qui si potrebbe parlare a lungo… Ma ci sarà pure un motivo se una volta registi come Fellini, Bertolucci, Bellocchio facevano il tutto esaurito al cinema. Quanti andrebbero a vedere Fellini oggi? Si è perso un gusto, una curiosità; tutto deve essere pura evasione. Le serie Marvel ne sono un esempio lampante.
L’attore però, visto che resiste dall’antica Grecia, continua ad avere un suo ruolo, come ‘creatore di vita’. Cosa che nessun ologramma potrà mai fare. Se il cinema è in grande sofferenza, grazie a Dio, il teatro sembra si sia ripreso, con tutte le problematiche che ha manifestato negli anni. E spero che continui così, sennò ritrovarsi disoccupato a cinquant’anni sarebbe molto difficile!
Come ti piace prepararti per le tue esibizioni? Lavori da solo o inizi da subito a confrontarti con colleghi e altri referenti?
Io ho iniziato a fare teatro intorno ai vent’anni perché amavo molto quella piccola comunità artistica che si creava durante uno spettacolo, o in un workshop ed ancora adesso è così.
I monologhi, che ho fatto, sono un po’ tristi… ti ritrovi tu e il tecnico a mangiare magari in un paesino sperduto! Sì, amo il confronto con il regista, con i colleghi; ma il primo lavoro che faccio è dissezionare il copione; capire il mio personaggio, le relazioni con gli altri personaggi, creare una back story del mio personaggio.
Tutte le prime indicazioni per creare un personaggio sono racchiuse nel testo. Poi le prove sono importantissime per sviluppare e confrontare le tue idee assieme al regista.
Al cinema invece questo non accade. La maggior parte delle volte, arrivi su un set, dai la mano al tuo partner, dici ‘ Piacere’ e poi magari dopo un ‘ora ti ci ritrovi a letto in un a scena di sesso…
Io facendo spesso il cattivo ho avuto altri tipi di problemi: ‘Piacere, sono Lorenzo, quello che ti sparerà!’. In realtà quello che adoro del mio mestiere è che continuo a giocare come quando facevo i filmini super otto travestito da indiano o soldato con mio nonno; solo che adesso mi pagano e lo faccio con più consapevolezza… anzi sin troppa a volte per quello bisogna studiare…
Poi bisogna sempre ricordare quello che diceva il grande Gigi Proietti: ‘Ao, regà, nun state a salvà vite umane eh!’. Ricordarsi di non prendersi mai troppo sul serio.
Quale aspetto della tua professione ti ha cambiato di più anche in altri aspetti della tua vita extra professionale?
Ho cominciato questo mestiere grazie a degli incontri con allievi di Strasberg: Janez e Andrej Vajavec, Michael Margotta, Ed Kovens, tutti figli del ‘Metodo’ e dell’Actors Studio.
Quando hai vent’anni sei affascinato da esercizi che ti obbligano ad entrare dentro di te, che ti chiedono di metterti in crisi, di analizzarti, prima ancora come essere umano.
Mi dissi che il fare questo mestiere era anche un modo per conoscere sé stessi e crescere umanamente, anche se il pericolo è quello di usarlo come terapia.
I miei insegnanti sono stati tutti subito chiari; qui si impara a fare l’attore per la terapia, ci sono gli analisti.
Poi ho fatto tante altre cose: la commedia dell’arte, la danza butoh, il metodo Michael Cechov, ecc. Penso che il percorso di un attore non sia mai finito. Si diventa un po’ come soldati che imparano a gestire ansie e precarietà. Ma, senza retorica, con tutte le sue non poche problematiche, rimane il lavoro più bello del mondo, e ormai l’unico che sappia fare!
Qui è possibile acquistare i biglietti dello spettacolo.