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Quando la Superba si fa poesia: “Genova sinfonia della città” di Emanuele Luzzati (2005) [Seconda Parte]

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Non facciamo in tempo a studiare gli abitanti di Genova che l’uovo rosso – in modo frenetico – è già rotolato altrove, finendo per mostrarci la gente che frequenta il mercato cittadino.

Le donne che camminano con passo spedito passando davanti al banco della frutta, la signora che compra il pesce e se lo fa incartare; seguendo sempre questo uovo rosso che schizza impazzito da ogni parte, ci spostiamo all’area più prossima al mercato cittadino, cioè lo spazio del porto, da secoli fulcro della vitalità cittadina.

Genova è operosa e ce ne accorgiamo perché dalle navi è un continuo scarico di merci, senza sosta, dato che le merci imballate vengono trasportate da facchini che sembrano saraceni usciti da qualche chanson de geste (proprio come i soldati che sfilano poco dopo, presi in prestito dal mondo dei pupi). Altri facchini sembrano il classico marinaio perché indossano una tipica maglia a righe orizzontali e un berretto col pon-pon rosso.

L’inquadratura, rapida e incalzante proprio come il ritmo della musica che scandisce la narrazione, si sposta verso una metropolitana che fa un viaggio alquanto improbabile (i vagoni si muovono anche in verticale), stipata di personaggi, ciascuno caratterizzato nell’abbigliamento e nella posa. I finestrini dei vagoni si tingono in un batter d’occhio di un giallo che ricorda l’ambra, ma che ben presto scopriamo essere l’illuminazione interna di veicoli (auto e bus) che nel frattempo sono sbucati da un’affollata galleria.

I veicoli si scompongono nuovamente in gemme ambrate e uno di questi, quello più carico di gente, diventa la cabina di un ascensore che viaggia per parecchi metri verso la sommità di una città che cresce, o meglio, che fiorisce insieme a esso. Al termine di questa prodigiosa esplosione – in mezzo alla quale si può riconoscere la celeberrima Porta Soprana – la cabina giunge molto probabilmente sull’altura di Castelletto, uno dei punti panoramici della Città di San Giorgio. Non a caso l’inquadratura seguente ci mostra il suo cuore produttivo, cioè il porto, che la presenza di navi e gru rendono riconoscibilissimo. In questo spazio affollato riconosciamo anche il Bigo, ovvero quella struttura progettata da Renzo Piano per l’Expo 1992, ispirata alle gru che un tempo si utilizzavano per lo scarico e il carico delle merci.

Dal porto ci addentriamo con la vista in mezzo ai vestiti stesi ad asciugare in mezzo ai palazzi. Lo sguardo si sposta sulla finestra della casa di una massaia, occupata in varie faccende: in alcune scene nel corso del film, l’uovo rosso di Marco Polo le piomberà ripetutamente in cucina, creando scompiglio con lo sparpagliare ovunque foglie di basilico la prima volta, pezzi di focaccia la seconda: meraviglioso omaggio, divertito e affettuoso, a quella sublime terra che è la Liguria!

In un attimo ci troviamo – senza sapere perché (del resto è domanda superflua) – in quel gioiello che è la duecentesca Piazza di San Matteo la cui chiesa, caratterizzata dalla classica alternanza di marmo bianco e ardesia, ospita le spoglie del celeberrimo Andrea Doria.

Dai palazzi della Gens Doria si scivola velocemente verso la musica di un violino. Non un violino qualsiasi, ma il Violino più celebre di tutti i tempi, le cui straordinarie potenzialità furono messe a frutto da un altro grande genovese, Niccolò Paganini, che si ritrova a suonare sulla mano di Kubilai Khan. L’imperatore dei Mongoli interrompe per un attimo l’inarrestabile capacità affabulatoria del veneziano: getta un uovo – stavolta di colore verde – che si sviluppa in una palma da cui origina una foresta di fiori, piante e animali bellissimi. È un trionfo di colori!

Marco Polo riprende il sopravvento spalancando uno spiraglio nell’oscurità: ci troviamo di fronte al cortile di un palazzo nobiliare in cui ci sono floride piante da frutto. Una di esse si muove, ma subito scopriamo che è collocata – insieme al vaso – sul cassone di un ape che sfreccia in mezzo ad edifici aristocratici che si spostano come le quinte di uno spettacolo teatrale. Gli attori non tardano ad arrivare: sul palcoscenico irrompono cavalieri, nobili in carrozza, cammelli e regine dell’oriente con servitori che portano in dono omaggi inediti (uccelli esotici). Le quinte cambiano con l’ennesimo schiocco di dita e per magia compaiono nobildonne affacciate ai terrazzi: il loro sguardo è rivolto verso la chiesa di San Pietro in Banchi, uno dei più rari esempi di edificio sacro con le botteghe collocate nel suo basamento.

Scomparse le quinte teatrali, vera antologia di stili architettonici, ritornano con forza le sfumature del blu di un mare che viene solcato dalle galee della Repubblica, anch’esse – come le torri di inizio film – caratterizzate dal vessillo rossocrociato. L’uovo rosso ricompare, stavolta tra le mani di Andrea Doria. Un attimo dopo, saltellando in mezzo ai quadri di una pinacoteca, finisce tra le arcate della cosiddetta Villa del Principe (sontuosissima dimora del Doria vicino la stazione ferroviaria che ne ha preso il nome).

Nella scena successiva il Gran Khan, dopo aver fatto un giro in ascensore ed essersi gustato un grandissimo pezzo di focaccia, si ritrova a bordo di un’automobile d’epoca guidata da Marco Polo, bolide che sfreccia lungo le strade del centro cittadino. La soddisfazione dell’imperatore di essere sulla cabina del Bigo, divertito dall’aver vissuto una singolare esperienza di Genova, chiude la poesia del più bel cortometraggio degli ultimi decenni, omaggio divertito e lirico di un grandissimo artista che ha voluto omaggiare per sempre una grande regina del Mediterraneo.

 

   Massimo Bonomo – Onda Musicale 

 

— Onda Musicale

Tags: Genova
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