Musica

Guccini e “Bella ciao”: ‘E chi fa il giornalista si vergogna’

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Il cantautore italiano Francesco Guccini

Roberto Vecchioni cantava: “E spararono al cantautore/ in un eccesso di gioventù, / gli spararono per ricordarlo / come era stato e non era più”, era il 1977, un anno prima, nel 1976, Edoardo Bennato se la rideva con: “Tu sei un'anima eletta / tu non accetti compromessi / tu non puoi sbagliare / tu non devi lasciarti andare / tu sei un cantautore”.

Curiosamente in quegli stessi mesi De Gregori veniva accerchiato e processato dal suo pubblico presso il Palalido di Milano. La colpa? L’essersi troppo arricchito sulle spalle dei “Compagni” (reato da ergastolo: un artista che non vuole morire di fame). Sempre nel 1976 Francesco Guccini rispondeva a chi gli aveva dato del nichilista troppo poco “impegnato” con “L’avvelenata”, toccandola piano, anche lui.

Insomma, se non si fosse capito, essere cantautore era diventato il peggiore dei mali. Bastava un nulla, anche cantare mezza strofa di una canzone, per ritrovarsi fucilato da insulti di ogni tipo e, in alcuni casi, per ritrovarsi addosso la lettera scarlatta “F” (che sta per “FASCISTA”). “Anni affollati per fortuna siete già passati”, verrebbe da dire. E nessuno può negarlo: gli anni passano, le teste e la protervia di certo pubblico e certa stampa, però, sembrano non cambiare mai.

È la primavera del 2020, anno 0 D.C. (che sta per “Dopo Covid-19”) e ti ritrovi sui giornali titoli come: “Coraggio, partigiano Guccini, sai fare meglio di così”; “Ultima “avvelenata” (stonata) di F. Guccini”; “Se la locomotiva di Guccini si schianta contro il muro della malafede”; “Bella Ciao' di Guccini e l'antifascismo di facciata della 'sinistra'”.

Anche se, confesso, il capolavoro è: “Guccini e le tentazioni fascio-comuniste”. Uno scenario surreale, siamo forse tornati agli anni di piombo? E poi Guccini non si era ritirato dalla professione di cantautore? Quindi, Guccini chi? Non era quello troppo poco comunista? No, era quello talmente comunista che (a quanto pare) avrebbe invitato la gente a buttarsi con i treni addosso alle stazioni? O forse nemmeno questo: è quello comunista ma meno comunista degli altri. In che senso? Ma sì, dai: quello che suona alle feste dell’unità perché sennò i dischi non li compra nessuno (Ma davvero?).

Scherzi a parte, Guccini oggi è tornato sotto tiro a causa di un video, un brevissimo video da meno di un minuto, in cui dalla sua casa di Pàvana si diletta a cantare una sua personale versione (parolona) di “Bella ciao”, giocando con alcuni volti e nomi noti della politica nostrana. La prima premessa da fare a questa riflessione è legata al caos mediatico che si crea ogni volta che “Guccini torna a cantare”.

Ribadiamolo ulteriormente e una volta per tutte: Guccini non canta più, non canterà più salvo rarissime eccezioni (come comparire su un gran bel disco di un altro grande della canzone, suo amico, Roberto Vecchioni) e qualora lo facesse, fosse anche solo per diletto, non bisogna considerare quel suo intonare qualche frase come la cifra della sua intera poetica e carriera cantautorale.

Quindi, credo che “un ‘Guccio’ irriconoscibile, mentre canta, senza fiato e anche un po’ stonato”, non è che avesse l’ambizione di scrivere il suo capolavoro dal suo ritiro cantautorale di Pàvana, con una cosa mezza improvvisata immortalata da un cellulare. Del resto, in una recente intervista, è lo stesso pàvanese ad averlo ribadito: accennare due strofe in casa propria non vuol dire tornare a cantare. Prima di ogni scrittura, dunque, credo sia necessario “pesare” il tutto in proporzione al fenomeno, all’importanza della cosa in sé per l’artista, non per la stampa o il pubblico.

Il secondo punto è proprio questo, la percezione di quello che un artista dice e fa. Senza troppo dilungarsi su questioni che richiederebbero ben altri sforzi e ben altre competenze, cito una celebre frase di Bob Dylan rivolta a un cronista di qualche anno fa: “Lei vuole che io dica quello che lei vuole che io dica”. Bene, credo che questo valga per giornalisti “di ogni razza e colore”.

Quindi scrivere: “Guccini si è esibito ieri l'altro in uno show carico di malafede e ingiustizia. La stessa ingiustizia contro la quale la bellissima locomotiva di Guccini negli anni Settanta sognava di scagliarsi” – ma anche no, visto che la suddetta “La locomotiva”, lo ha ribadito a più ripetute il suo stesso autore così come la filologa Gabriella Fenocchio in un suo recente studio: NON è una canzone politica (poi che il pubblico alzasse il pugno al cielo nei concerti non è responsabilità del cantautore). – o sfruttare in un articolo il nome di Guccini (citato nel pezzo intero, titolo a parte, UNA sola volta) per introdurre argomenti meramente politici e para-propagandistici, limitandosi a un: “qualcuno, come il cantautore Guccini, decisamente sbrocca” – imputando al suddetto cantautore la colpa che, reciprocamente, investe un simile articolo: sfruttare la figura di un artista famoso per parlare di tutt’altro – non rende un granché onore al dibattito che si vuole sollevare, prevenuto e manipolato aprioristicamente.

Ma proseguiamo: “la detta ‘performance’ visivo-canora di F. Guccini conferma di come pervicacemente antidemocratica sia l’idea delle sinistre, varie e variamente mascherate”. Non fa una piega, ovvio! Tuttavia, spiegatemi: si scrive Guccini e si legge “sinistre”? O basta cantarle alla destra per essere immediatamente “di sinistra” o anzi, peggio, comunista? “Non sono mai stato comunista”, è la risposta che da decenni il cantautore rifila a chi gli attribuisca tale icona, ma a quanto pare non basta. Non basterebbe neanche riportare cronache lontane di qualche decennio, quando il Pàvanese alzava il pugno sì, ma per stendere il dito medio ai suoi avventori che lo volevano monocolore. Erano gli anni in cui cantava: “Scusate non mi lego a questa schiera, morrò pecora nera”, aggiungendo, fuori dal testo: “sulle pecore bisognerebbe distinguere: non sono tutte solo d’un colore, ce ne sono tante di pecore…”

Ma si prosegua ulteriormente in questa disamina. Vogliamo citare anche: “La prova che lo scetticismo spinto, quando diventa Weltanschauung e catechismo” – mecojoni “arriva a trasformare anche i poeti in clown afoni e melanconici; mentre l’ideologia ‘à la bellaciao’ baderà a sottrarre ogni ispirazione e a invecchiarli prima del tempo”; o anche, più di recente: “Ora fa l’offeso, solo un paio di settimane fa istigava all’odio contro i leader del centrodestra”.

Anche qui bisogna rispondere per gradi. Anzitutto, diverte la definizione di Guccini come “clown”, epiteto che il cantautore si è attribuito da solo e a più ripetute: per esempio in “Il testamento di un pagliaccio” (non parlava di lui, ma estendeva la definizione all’intera razza umana) e poi si è definito un “piccolo baccelliere”, o un “giullare da niente, ma indignato” (in “Addio”). Ovviamente lì non c’è solo la negazione dell’idea di un “Io cantautorale” superomistico – che alcuni presumono – e il rifiuto dell’identificazione del cantautore/vate – un po’ alla Gozzano (“Chi sono? […] un coso con due gambe detto guidogozzano!”, che poi varrebbe benissimo un “coso con due gambe detto francescoguccini!” – che del resto è coerente con l’identità poetica di Guccini, da sempre: “Io non ho mai affermato delle verità. Diffido molto di chi ha la verità in tasca. Di chi è convinto di aver la verità e che per questa sua verità è disposto a fare qualunque cosa”.

C’è, soprattutto nella nozione di “Giullare”, la perfetta espressione della portata sociale – non per forza politica o politicizzabile – della figura del cantautore. Non un politico (per fortuna) ma nemmeno un giornalista. Il giullare, banalmente, è uno che dice quello che vuole, come lo vuole, quando lo vuole, facendo divertire ma anche indignare (e pare gli riesca ancora molto bene, a quanto vedo!). Non deve parlare per nessuno se non per se stesso (né tantomeno per un partito o un’ideologia, al contrario degli esponenti politici e, talvolta, dei giornalisti) ed è perfettamente libero di fare come vuole, perché è la sua natura a permetterglielo. Se poi qualcuno “fa l’offeso” e “solo un paio di settimane fa istigava all’odio”, certo non è il cantautore-giullare Guccini. Lo ha cantato più volte, del resto: una canzone non ha mai fatto rivoluzioni, figuriamoci incitare l’odio, sono altri i modi in cui questo si manifesta, “colleghi”.

Ultima precisazione vorrei offrirla a chi consideri l’uso di “Bella ciao” improprio o profanante della sua storia e della resistenza. Anzitutto, la resistenza – già, anche la resistenza cui fa cenno Guccini nel video incriminato – non è un colore politico, ma un’indole, uno spirito, un’intuizione pura manifestatasi in varie forme: arte, azione, storia, morte e, per fortuna, vita. Non è ideologizzabile, né colorabile (né sfruttarla per propaganda positiva o negativa a destra, sinistra, centro), e credo che gente come Fenoglio, Hemingway o Vittorini potrebbero spiegarlo molto meglio di me, così come un Guccini, a chi presuppone che: “la resistenza non l’abbiano fatta anche cattolici e azionisti”, oltre che gli stellati Garibaldini.

Quando si canta una canzone come “Bella ciao”, quindi, non si fa per forza riferimento a Piazzale Loreto, come qualcuno egocentricamente vuole andare a sbandierare temendo di rovinarsi la messa in piega. “Bella ciao” è sì un simbolo, ma un simbolo di qualcosa che va oltre la politica spicciola cui si vuole ridurre questo dibattito. È una canzone popolare, e prima di scrivere qualunque cosa su “Bella ciao” si pensi anzitutto a questo, al suo valore orale, pubblico, tutto fuorché sacro.

Sarebbe infatti bene ricordare come la versione vulgata, ai più nota, della detta canzone, sia già una riscrittura dell’originale canto popolare titolato “Bella ciao delle mondine”, cui versi recitato: “Alla mattina appena alzata,/ o bella ciau bella ciau bella ciau ciau ciau,/ alla mattina appena alzata in risaia mi tocca andar”.

Semmai dovessimo considerare una canzone popolare relativa alla resistenza italiana – la più cantata in assoluto dagli stessi partigiani – dovremmo parlare di “Fischia il vento” il cui testo sarebbe stato scritto originariamente da Felice Cascione, comandante della II divisione d’assalto garibaldina di Imperia, riadattandolo all’originale “Katyusha” di Michail Isakovski. Più in generale, dunque, chiunque conosca la canzone popolare – non solo quella italiana, si pensi anche al Folk Revival americano da Copland a Seeger – il suo ruolo sociale, la possibilità di esprimere tramite semplici rime e melodie delle sensazioni personali, storie, racconti, improvvisazioni, terrà bene in mente tutto ciò, prima di urlare alla “profanazione” di un tempio… che non esiste, perché anche quella che oggi si considera “l’originale Bella Ciao” è frutto di una riscrittura. Vi avrebbe stupito sentire cantare qualcosa di simile a quel gioco di parole improvvisato dal cantautore di Pàvana sulle note di un canto popolare fascista? Eppure, Sergio Staino potrebbe raccontarvi di quanto, tra un concerto e l’altro, il “rosso” Guccini si dilettasse proprio a rievocare simili canti magari anche improvvisandovi su tra ironia e satira, come in questo caso, e non lo si può certamente bollare come fascista per questo.

Io inviterei tutti a distendere i toni, mettendo da parte il gioco fazioso da tifoserie di calcio cui si è ridotto il dibattito pubblico oggi, perlomeno quando si parla di musica, soprattutto quando si fa cenno a un padre della nostra canzone come Francesco Guccini.

Proprio a volerne parlare, invece, bisognerebbe farlo con competenza, sapendone della materia e non per forza citando versi alla rinfusa cui ci si ostina a imporre un significato personale. Piaccia o no, i cantautori, Guccini su tutti, scrivono in primo luogo per sé, spesso cantando una canzone intimista o anche più sfacciatamente spontanea per raccontare i loro affetti, i disagi, i ricordi o per esprimere il proprio disappunto verso qualcuno o qualcosa. Poi si può non essere d’accordo su come un autore la pensi, è innegabile; ma smettiamola di sparare al cantautore perché non più “come era prima / alternativo, autoridotto, fuori dall’ottica del sistema”.

Questo prima di tutto, per evitare qualche scivolone e dovere ritornare, felicemente, al “ruolo di pulcini lasciando intatto il candido e poetico Guccini”.

 

 Matteo Palombi – Onda Musicale

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Tags: Cantautore/Francesco/Roberto Vecchioni/Francesco Guccini/Francesco De Gregori
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