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I 10 chitarristi (quasi) sconosciuti da riscoprire assolutamente

Nonostante dalla sua nascita il rock abbia costantemente proposto come grandi leader di band molti cantanti, pianisti, bassisti e batteristi, la vera regina del genere è da sempre la chitarra elettrica.

Impossibile prescindere dal fascino ad alto voltaggio di una Fender Stratocaster o di una Gibson Les Paul e dalle movenze sinuose e quasi sensuali dei tanti chitarristi che hanno infiammato le platee di tutto il mondo. Ma se tanti, da Eric Clapton a Jimi Hendrix, da Jimmy Page a Ritchie Blackmore, passando per Eddie Van Halen, Stevie Ray Vaughan o Stevie Vai, hanno costruito il proprio mito sulle infuocate sei corde delle loro chitarre, molti di più sono i validissimi musicisti che non hanno lasciato l’impronta che avrebbero potuto; e senza avere nulla da invidiare tecnicamente.

Come detto, si potrebbe scrivere facilmente una Top 100 di chitarristi sconosciuti, ma noi abbiamo scelto l’ingrato compito di selezionarne dieci. Ognuno di voi, ovviamente, potrà arricchire questa lista coi suoi chitarristi – rigorosamente sconosciuti – del cuore.

Rod Price (Black Cat Bones/Foghat/Solista)

Rod Price fece parte della grande ondata dei chitarristi che impararono a suonare il blues sull’onda del british blues, il movimento revivalista nato per mano di Alexis Korner, Chris Barber e soprattutto John Mayall. Dopo Barbed Wire Sandwich, coi Black Cat Bones, Price si unì ai Foghat, band di hard boogie con cui portò avanti un’onorata carriera. Sparito dalla circolazione per qualche anno, incise due dischi di blues all’inizio degli anni duemila, per poi scomparire tre anni fa dopo una caduta in casa dovuta a un infarto. Virtuoso della slide, si segnala in particolare per lo splendido lavoro coi Black Cat Bones. La band, trovatasi all’improvviso senza Paul Kossoff, che aveva seguito i Free avviandosi a una carriera tanto luminosa quanto breve, lasciarono le parti soliste a Price quasi come ripiego. Rod li ripagò con una prestazione tra le migliori del british blues crepuscolare, basti ascoltare lo slow Death Valley Blues. E che rimase praticamente sconosciuta.

Roy Buchanan (Solista)

Se c’è un chitarrista che merita di stare in questa bizzarra Top 10, questo è Roy Buchanan. Nativo di Ozark, Arkansas e talento precocissimo, Roy Buchanan fu definito in un celebre documentario il miglior chitarrista sconosciuto del mondo. E tanto sconosciuto non lo fu più, a quel punto. Dopo una carriera a macinare chilometri tra USA e Canada, al seguito di personaggi come Dale e Ronnie Hawkins, the master of the Telecaster si vide offrire il posto – che rifiutò – di Brian Jones nei Rolling Stones e firmò un contratto con una major per incidere cinque album. Il carattere bizzoso, l’indifferenza verso lo show business e le varie dipendenze tossiche gli preclusero il successo duraturo. Quando negli anni ’80, ormai ripulito e con tre bellissimi dischi all’attivo per la Alligator, era nel suo periodo migliore arrivò, inaspettato, il suicidio.

Danny Gatton (Solista)

Chitarrista americano dalla tecnica cristallina e dalla storia tristemente affine a quella di Roy Buchanan, di cui fu anche compagno di stanza e allievo per un periodo. Anche Danny aveva un’impostazione blues, ma più virata al jazz rock rispetto a Roy, e anche lui era ritenuto un virtuoso della Telecaster, di cui possedeva un raro esemplare col doppio manico. Portò avanti una carriera che vantava solide collaborazioni e un seguito non vasto ma che lo vedeva come personaggio di culto, fino al 1994, quando – senza lasciare spiegazioni – si chiuse nel garage e si sparò.

Lonnie Mack (Solista)

Lonnie Mack ha attraversato la storia della chitarra elettrica, essendo uno dei pionieri più influenti del suono rock blues che si sarebbe affermato grazie a Jimi Hendrix, al southern rock, per arrivare al suo seguace più celebre, Stevie Ray Vaughan. SRV incise uno dei suoi strumentali simbolo, Wham, che assieme a Memphis rimane forse il pezzo più iconico di Lonnie, e ne produsse alcuni lavori degli anni ’80. Chitarrista seminale, ma dal successo periodico e fugace, Mack aveva un carattere inadatto alla celebrità. Eppure, i suoi assoli alla Gibson Flying V, fanno di lui – come disse Warren Haynes – il Jimi Hendrix del suo tempo. È scomparso nel 2016.

J. J. Cale (Solista e autore)

Il chitarrista dell’Oklahoma è uno dei personaggi di culto della storia del rock. Artefice del Tulsa Sound e autore di alcuni brani che sarebbero divenuti celebri in mani altrui, come Cocaine con Eric Clapton e Call Me The Breeze con i Lynyrd Skynyrd, ha sempre mantenuto per scelta personale un profilo basso. J. J. Preferiva rimanere nell’ombra, nell’amata provincia americana, suonando col suo stile rilassato che ha influenzato uno stuolo di musicisti – da Clapton a Mark Knopfler – e utilizzando spesso chitarre che stavano assieme col nastro adesivo. The Road To Escondido, inciso nel 2006 con Clapton, che lo stimava moltissimo, gli diede una fugace popolarità prima della morte, avvenuta nel 2013.

Scotty Moore (Turnista)

Forse il suo nome non vi dirà molto, eppure Scotty Moore, chitarrista, fonico e ingegnere del suono, è il musicista alla base del sound di Elvis Presley. Mai alla ribalta, Scotty ha praticamente creato quasi dal nulla il suono tipico del primo rock’n’roll e del rockabilly. Sempre dietro le quinte, ha collaborato con tutti i grandi del rock, da Elvis a Carl Perkins, da Jerry Lee Lewis a Paul McCartney, passando per Alvin Lee e Ringo Starr.

Magic Sam (Solista)

Scomparso nel 1969 a soli 32 anni, Magic Sam fu uno dei grandi innovatori del blues, dando vita al cosiddetto Chicago Sound con Buddy Guy e Otis Rush. A differenza di questi, il suo stile era più ritmico e originale, con un sapiente mix di accordi e parti soliste, unito a una vocalità intensa, quasi da holler. Godette di scarsa fama, fuori da Chicago, ma venne citato con un tributo in un dialogo dei Blues Brothers di John Landis.

Mike Bloomfield (Solista/Paul Butterfield Blues Band/Electric Flag)

Chitarrista blues nato a Chicago e dalla prodigiosa tecnica, Mike Bloomfield ebbe buon successo a cavallo degli anni ’60 e ’70, ma non riuscì mai a sconfiggere I propri demoni, morendo suicida nel 1981. Il suo nome è quasi dimenticato, se non dagli amanti del blues. Seminale con Paul Butterfield (East West), entrò nella leggenda con Supersession, inciso assieme ad Al Kooper. Fu perseguitato dalle sue numerose dipendenze, ma la sua chitarra rimane ancora oggi uno spettacolo per intenditori.

Stan Webb (Chicken Shack)

Quando si parla del british blues, il pensiero va inevitabilmente ai chitarristi scoperti da John Mayall: Eric Clapton, Peter Green e Mick Taylor. Eppure in quel periodo c’erano decine di band che riproponevano la musica del diavolo, spesso anche in modo più filologicamente corretto. Stan Webb lo faceva dal ’65 coi suoi Chicken Shack; il suono della sua chitarra era quanto di più pulito e cristallino si potesse ascoltare in quel periodo. Della band fece parte Christine Perfect, poi celebre nei Fleetwood Mac. Passato il boom delblues revival, i Chicken Shack continuarono un’onorata carriera senza più grossi acuti.

Kim Simmonds (Savoy Brown)

Per Simmonds vale lo stesso discorso di Stan Webb. La sua band erano i Savoy Brown e il successo gli arrise fino ai primi anni ’70. Chitarrista dal sound più sperimentale e robusto, dopo gli inizi all’insegna di un blues ortodosso, si spostò dapprima verso un interessante progressive bluesRaw Sienna è il lavoro consigliato di questo periodo – e poi dalle parti dell’hard boogie da stadio, cercando di conquistare il pubblico americano. Tra alti e bassi, il chitarrista gallese e il suo gruppo sono ancora in attività.

— Onda Musicale

Tags: Mark Knopfler, Brian Jones, Paul McCartney, Mick Taylor, The Blues Brothers, Fleetwood Mac, J.J. Cale, Eric Clapton, Lynyrd Skynyrd, The Rolling Stones, Jimi Hendrix
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