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Cinquant’anni fa il disco che definì il Prog: In The Court Of The Crimson King

Il 10 ottobre del 1969, esattamente cinquant’anni fa, usciva uno dei dischi più importanti della storia del rock: In the Court of the Crimson King, disco d’esordio dei King Crimson e pietra angolare del rock progressivo.

Parlare oggi di progressive in ambito rock è un po’ come parlare di dinosauri in ambito etologico; dischi mastodontici quanto le creature preistoriche, brani dalla durata dilatata ben oltre i dieci minuti e testi colti e spesso scevri da qualsiasi leggerezza. Un oscuro retaggio di un lontano passato. Eppure, all’epoca, il genere era fin troppo proiettato nel futuro per risultare appetibile a tutti, ma nonostante questo, il progressive rimane comunque la musica degli anni ’70, quella che ancora oggi identifica un intero decennio.

Prendete questo esordio dei King Crimson. Le registrazioni avvennero tra luglio e agosto del ’69, proprio mentre i Beatles incidevano Abbey Road, consegnando al passato la loro gloriosa storia. Un lasso di tempo denso come poche altre di proiezione verso il futuro: le registrazioni iniziarono il giorno dopo il primo sbarco sulla luna, per dire. Barry Godber, l’autore dell’allucinante e celeberrima copertina, una sorta di Urlo di Munch in chiave psichedelica, era ufficialmente un programmatore di computer, un mestiere allora ben oltre la fantascienza.

La copertina, partiamo da qui. Nelle prime settimane, si narra che il disco di questa band sconosciuta ai più – ma già osannata dagli addetti ai lavori – si vendesse per la copertina. I clienti erano talmente destabilizzati e ammaliati dalla cover da acquistare l’album senza nemmeno sapere che tipo di musica proponesse. E sarebbe stato anche difficile rispondere a una domanda del genere; nonostante i primi, barocchi, esperimenti di Moody Blues, Vanilla Fudge e Procol Harum, il prog era un genere ancora da codificare eIn the Court of the Crimson King ne sarebbe diventato uno degli archetipi che meglio affronteranno le onde del tempo. Barry Godber, ritenuto da alcuni una sorta di Nick Drake della pittura, morirà l’anno dopo a soli 23 anni, lasciando come unica opera la famosa copertina.

La formazione vedeva Robert Fripp, vero ideatore del progetto e futuro dittatore dei King Crimson nelle loro innumerevoli incarnazioni, alla chitarra e al mellotron; la voce e il basso sono quelli familiari di Greg Lake, che continuerà a fare storia con Emerson e Palmer; Ian McDonald, multistrumentista e Michael Giles alle percussioni completano l’organico. Quello musicale, almeno. Infatti, in questo primo lavoro, i King Crimson vantano un paroliere che è importante almeno quanto i musicisti: il poeta Peter Sinfield.

È proprio Sinfield a proporre Godber come disegnatore per la copertina, e suoi sono i testi che contribuiscono a creare quell’atmosfera inimitabile, oscura e minacciosa, che permea tutto il lavoro. Celati dietro liriche che sembrano evocare un fantastico mondo medievale, quasi da favola gotica, i temi sono ben piantati nel presente o proiettati nel futuro.

Oggetto delle critiche di Sinfield soprattutto l’America e la guerra del Vietnam, ma anche la paura di un futuro ostile: Confusion will be my epitaph  canta Lake in Epitaph, ed è un epitaffio che riguarda l’intera umanità. But I fear tomorrow I’ll be crying chiude Lake alla fine del pezzo. Altrove si parla di napalm e filo spinato; e la corte del Re Cremisi altro non è che un mondo fittizio, dove fuggire dalla tragica realtà.

Alla corte del Re Cremisi

Musicalmente ITCOTCK si muove solo parzialmente su territori inesplorati. Se fenomenale e diverso da qualsiasi cosa fosse possibile ascoltare allora è l’eclatante attacco di 21st Century Schizoid Man, gli altri brani si snodano su architetture romantiche che evocano atmosfere surreali e incantate che attingono da jazz, classica, beat, psichedelica e soprattutto dal folk revival britannico, allora in voga. Il tutto dilatato in tempi che allora erano a dir poco inusuali; il brano più breve supera i sei minuti.

I Talk To The Wind è una quieta ballata, dominata dalla placida prestazione vocale di Greg Lake e dal prezioso flauto di Ian McDonald, a fare da preludio a Epitaph. Siamo di fronte di nuovo a una ballata dalla melodia perfetta, ma talmente cupa e sontuosa da apparire il vero centro del lavoro. Il testo pessimista e visionario di Sinfield la fa entrare di diritto nella storia del rock progressivo. Moonchild e The Court Of The Crimson King sono i due pezzi conclusivi e i più lunghi dell’opera, oltre ventidue minuti in tutto. Il primo ripropone atmosfere quiete ed è dominato da un lunghissimo intermezzo all’insegna del free, dove gli strumentisti sono lasciati liberi di dare sfogo all’improvvisazione. Il pezzo che chiude il disco e gli dà il titolo è la degna e magniloquente chiusura di un album di importanza irripetibile.

Il testo dà spazio a suggestioni da fiaba medievale, tra Fire Witch e Black Queen, la musica alterna una strofa prettamente folk e melodica – che ricorda molto alcune cose che in futuro faranno la fortuna di Emerson, Lake & Palmer – a una sorta di ritornello roboante col mellotron in grande evidenza. Al settimo minuto circa, dopo varie sfuriate di mellotron e flauto, il pezzo sembra essere finito, ma basta aspettare qualche secondo e riprende con la coda, denominata The Dance Of The Puppets, che si chiude improvvisamente.

E chiude così anche l’esordio dei King Crimson; un esordio che, come capita a volte, risulta talmente ingombrante per qualità e importanza, da rivelarsi irripetibile.

Nonostante questo la creatura di Robert Fripp continuerà a viaggiare – e lo fa tuttora – tra i marosi del rock progressivo, cambiando formazione ogni volta, in base agli umori del gran burattinaio, ma rivelandosi sempre come un progetto che sembrava arrivato dal futuro per raccontarci gli anni a venire.

Ovvero, i nostri.

— Onda Musicale

Tags: Abbey Road, The Beatles, Robert Fripp, King Crimson, Ian McDonald, Moody Blues, In the Court of the Crimson King
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