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Quando i rocker staccano la spina: 10 capolavori acustici

Il rock è la musica a tutto volume per eccellenza. Eppure tutte le più grandi band della storia non sarebbero così grandi senza almeno un pezzo acustico, una ballad più o meno romantica e intensa in cui per un attimo l’adrenalina smette di scorrere a fiumi.

È il momento della riflessione e delle suggestioni che solo gli strumenti acustici sanno creare. Come sempre, stilare una classifica di soli dieci pezzi è un’impresa impossibile. Ce ne sarebbero decine che meriterebbero di far parte di questa top 10, ma si sa, il gioco è gioco. Tuttavia, per giocare ci siamo dati alcune regole. Della nostra top 10 fanno parte pezzi di band che, in genere, sono note per il loro tenore elettrico; per dire, Simon & Garfunkel hanno scritto alcuni tra i migliori brani acustici, ma quella era la loro cifra e non l’eccezione.

Abbiamo anche cercato di inserire brani totalmente acustici, al limite con una batteria appena di sottofondo e con un apporto marginale dell’elettricità; e così niente Stairway To Heaven o Nothing Else Matters, per dire, pezzi cioè che dopo una partenza totalmente acustica, diventano vere cavalcate chitarristiche.

10. Layla (Unplugged version) – Eric Clapton/Unplugged

Canzone dalla doppia vita e raro caso di cover – fatta dallo stesso autore – divenuta altrettanto iconica dell’originale. Incisa col progetto Derek & The Dominos, col celebre riff di Duane Allman, nel 1971 non ebbe grande successo. Diverso il discorso per la versione acustica, registrata nel 1992 per l’MTV Unplugged, che vinse addirittura il Grammy per la miglior canzone rock. Dedicata a Pattie Boyd, moglie dell’amico George Harrison, di cui Clapton era segretamente innamorato e, allora, non corrisposto, trae ispirazione dal romanzo in versi Majnun e Leylà, del poeta classico azero Nezami.

9. Changes – Black Sabbath/Vol.4

Una ballata acustica degna di questa top 10 incisa dai Black Sabbath; una scelta che sicuramente può sorprendere, eppure, accanto al furore elettrico che darà vita all’heavy metal, la band di Birmingham era solita alternare pezzi più soft, spesso meno celebri. Ingiustamente.
È il caso di gemme come Solitude e Planet Caravan, e di questa bellissima Changes. La ballata narra la fine di una relazione e la voce di Ozzy è sostenuta solo dal piano, un filo di mellotron e l’intervento finale – poco invasivo – degli archi. Da brivido.

8. Going To California – Led Zeppelin/IV

Anche i Led Zeppelin, famosi per il suono pesante da martello degli dei e per aver sdoganato l’hard rock presso il grande pubblico, spesso rallentavano il ritmo con delle ballate. Usanza che si accentuò in occasione del mitico quarto album e dell’interesse sempre maggiore di Jimmy Page per le tradizioni britanniche e celtiche. Going To California è una ballata folk degna di Fairport Convention e Pentangle, con la voce di Plant accompagnata dall’acustica di Page e dal mandolino di John Paul Jones. Secondo voci molto accreditate, il brano è dedicato a Joni Mitchell, la profetessa del folk verso cui Page e Plant nutrivano grande stima.

7. Angie – Rolling Stones/Goats Head Soup

Anche i ruvidi Rolling Stones manifestarono fin da subito il loro lato più romantico, raggiungendo forse l’apoteosi con questa celeberrima Angie. La canzone – una ballata acustica con misurato apporto di basso e batteria – divenne subito un successo e un cavallo di battaglia dei live. Dicerie attribuiscono il nome Angie alla prima moglie di David Bowie, ad Angie Dickinson o alla figlia di Keith Richards. Proprio il chitarrista ha però dichiarato che Angie è semplicemente un nome che suonava bene, senza riferimenti reali.

6. Working Class Hero – John Lennon/John Lennon-Plastic Ono Band

Il brano uscì nel 1970 nel disco di debutto del Lennon post Beatles. Strutturato come la più classica ballata folk di protesta, vede John come esecutore chitarra e voce. Il testo si scaglia contro il conformismo che ci vorrebbe rendere tutti uguali fin dai tempi della scuola: parole allora forti e che crearono anche polemica attorno al brano e che oggi, in tempi di social e inflazionate invettive verso fantomatici poteri forti, fanno quasi sorridere. La bellissima ballata è stata oggetto di molte cover, la più celebre quella dei Green Day.

5. Wish You Were Here – Pink Floyd/Wish You Were Here

Bellissima e insolita ballata acustica dei Pink Floyd, tratta dall’omonimo album del 1975 e dedicata al fondatore Syd Barrett. Si può dire che il brano sia uno dei migliori frutti dei sensi di colpa di Roger Waters per aver estromesso Barrett – ormai ingestibile per l’abuso di LSD – dalla sua creatura. Basato su un riff di chitarra acustica creato da David Gilmour, è la dimostrazione pratica di come un capolavoro possa al tempo stesso essere esempio di semplicità, alla portata del chitarrista dilettante. Innumerevoli cover e altrettanti utilizzi hanno un po’ inflazionato il pezzo, che tuttavia rimane una ballata dal fascino eterno.

4. Needle And The Damage Done – Neil Young/Harvest

Tratto dal capolavoro del 1972, il pezzo parla in modo crudo della dipendenza dall’eroina. In quel periodo non erano pochi gli amici musicisti di Young sprofondati nel tunnel della droga, e in particolare il brano fa riferimento a Danny Whitten, chitarrista dei Crazy Horse che sarebbe scomparso proprio l’anno dopo. La ballata per chitarra e voce simboleggia bene la parte acustica cara a Young, capace di scatenarsi senza soluzione di continuità in interminabili cavalcate elettriche.

3. John Barleycorn – Traffic/John Barleycorn Must Die

Tratta dall’album del 1970 della band di Steve Winwood e soci, John Barleycorn è una ballata tradizionale anglosassone, arrangiata in uno stile folk quasi barocco, con apporto del flauto. Rispetto ai precedenti lavori, i Traffic qui affinarono il mix di rock, folk e jazz, lasciando un po’ da parte la componente psichedelica. Il testo, all’apparenza oscuro e quasi macabro, allude in realtà alla personificazione del whisky o della birra.

2. The Sage – Emerson, Lake & Palmer/Pictures At An Exhibition

Il pezzo è tratto dall’album del 1971 che ripropone, in chiave progressive, l’omonima composizione pianistica del 1874 di Modest Petrovič Musorgskij. Gli ELP, al culmine della carriera, inserirono anche alcune proprie composizioni, tra cui questa stupenda The Sage, opera di Greg Lake. Dal testo fantasy, il pezzo mostra l’estrema padronanza strumentale di Lake ed è un riuscitissimo esempio di come il prog possa essere molto distante dall’idea di musica ridondante che tanti ancora oggi ne hanno. Capolavoro.

1. Blackbird – The Beatles/White Album

Il White Album è un forziere di tesori, non stiamo certo qui a ribadirlo. Tra i tanti meriti quello di offrire uno dei primi esempi di band elettrica – specie in quel periodo – che si cimenta in una riuscitissima ballata acustica. Non certo la prima per i fab four – pensiamo a Yesterday, Norwegian Wood e tante altre – ma forse la più riuscita e quella meglio invecchiata. Opera di Paul McCartney e ispirata a un componimento di Bach, per ammissione dello stesso autore è una metafora di risveglio interiore, inerente ai diritti civili e in particolare con richiami al Black Power americano. Capolavoro insuperabile.

— Onda Musicale

Tags: Keith Richards, John Lennon, Wish You Were Here, The Beatles, David Bowie, Paul McCartney, George Harrison, White Album, Pink Floyd, Plastic Ono Band, Neil Young, Eric Clapton
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