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“Those Were The Days”: la gloriosa avventura dei Cream (seconda parte)

Prima dello scioglimento, i Cream fanno in tempo a registrare altri due dischi. L’ingresso nel nuovo anno, il più famoso degli anni Sessanta – cioè il 1967, si traduce nel contagio della nuova moda psichedelica, che però non stravolge il suono tipico della band, come accade in generale nel panorama musicale.

I tre, a parte Clapton che si concede solo una permanente che gli rende la testa una nuvola di capelli ricci, non indulgono nella moda in circolazione, tranne che con i loro strumenti musicali: il basso di Bruce e la chitarra di Clapton vengono dipinti con colori sgargianti dal celeberrimo duo olandese dei The Fool, collaboratori dei Beatles nel medesimo periodo.

Nel loro secondo album, Disraeli Gears – uscito il 2 Novembre 1967, la psichedelia lascia traccia di sé in qualche brano, come vedremo, e soprattutto nella copertina dell’LP. Disegnata da Martin Sharp (autore anche della copertina di Wheels of Fire, terzo disco della band), colpisce per i suoi colori chiassosi e quasi fluorescenti, l’affollamento di elementi disegnati ed incollati (es. il volto dei tre musicisti) che quasi frastorna l’osservatore.

La musica al suo interno è differente dal primo disco, e non di poco: il blues, già abbastanza elettrico, si trasforma in qualcosa di nuovo grazie al connubio con il rock. Lo stile Cream ora è compiutamente definito. Se potessimo ricorrere ad una sinestesia, diremmo che le sonorità dei Cream nell’anno della Summer of Love sono elettriche, fluorescenti, luminose e modernissime, esattamente come i neon, che hanno tolto ogni parvenza di notte alle frenetiche città. Tra i pezzi dalle sonorità blues-rock possiamo certamente nominare “Outside Woman Blues”, “Take it Back” (scritta da Bruce con un forte riferimento alla coscrizione obbligatoria dei giovani durante la Guerra del Vietnam) e“Strange Brew” (nata con un ritmo ben più lento e con il titolo di “Lawdy Mama”).

Nei pezzi “Tales of Brave Ulysses”, “SWLABR”, “World of Pain” e“Dance the Night Away” invece si concedono qualche sconfinamento nel territorio della psichedelia: per esempio, rendendo il suono della chitarra più languido con il pedale del wah-wah, oppure paragonando una ragazza ad un arcobaleno (“SWLABR”) – cosa che i Rolling Stones avevano fatto nello stesso periodo (“She’s A Rainbow”), forse sulla falsariga dei colleghi?

Riguardo a Disraeli Gears è importante notare che la voce che canta non è più esclusivamente quella di Bruce, per quanto spicchi nel quadro d’insieme, ma condivide lo spazio con gli altri due: Baker canta il blues tradizionale di “Blue Condition”, mentre nei restanti pezzi Clapton si cimenta nella performance nonostante l’insicurezza verso le proprie doti canore. Preferirebbe far cantare la propria Gibson, ma non se la cava affatto male.

Il 1968 è il canto del cigno del trio: il 25 Novembre– pochissimi giorni dopo l’uscita del celeberrimo White Album – si esibiscono alla Royal Albert Hall per il loro concerto d’addio: la performance (se non erro, reperibile su YouTube) purtroppo risulta di qualità non eccelsa.

Eccelso invece è il loro primo e unico doppio album, penultimo nella loro discografia quando ancora in attività (dato che Goodbye uscirà il 5 Febbraio 1969). Wheels of Fire, con la copertina disegnata nuovamente dal grande Martin Sharp e stampata su un foglio di alluminio, che riflette la luce, è un disco in cui la psichedelia, presente nella loro musica in quantità assai contenute, viene totalmente abbandonata per un ritorno deciso al quel blues-rock che ne ha decretato il successo mondiale. Le performances vocali tornano ad essere di quasi esclusiva competenza di Bruce, che si cimenta in “White Room” – brano di apertura del disco, nel blues di “Sitting on The Top of The World”, nella torbida “Politician – storia di un politico ambiguo e morboso (“I wanna just show you what my politics are”) – e “Born Under a Bad Sign” – classico di Albert King; Baker lo sentiamo recitare il testo di “Pressed Rat and Warthog” – dove il pezzo risalta grazie alla tromba quasi barocca e termina in un’esplosione di basso (al culmine del virtuosismo) chitarra e batteria, lanciati all’attacco.

Il mago della batteria contribuisce all’album anche con la scrittura: dalla collaborazione con Mike Taylor nasce quel capolavoro che è “Those Were The Days” (omonima del pezzo cantato dalla gallese Mary Hopkin, tra l’altro nello stesso periodo), hard rock di una potenza luminosa, grazie anche alle campane e al glockenspiel, e dalla struttura solida come l’acciaio, il cui culmine è l’eccitante assolo di chitarra di Clapton. Il pezzo è imparentato, come stile, con quello che chiude il Lato B del primo disco, “Deserted Cities of The Heart”.

Il secondo LP di Wheels of Fire si intitola Live At The Fillmore, anche se in realtà si tratta di tre pezzi registrati al Winterland Ballroom di San Francisco, mentre l’esibizione al Fillmore è solamente quella di “Toad”. Felix Pappalardi, produttore del disco, aveva catturato le performances americane di inizio ‘68 con uno studio mobile di registrazione. La qualità sonora dei pezzi è eccellente, se si considera la media esistente all’epoca. “Crossroads” e “Spoonful” sono due classici del blues: col passare del tempo il pezzo di Robert Johnson è diventato un pezzo comunemente associato a Clapton, dato che figura spesso nei suoi concerti; “Spoonful”, di Willie Dixon, nell’esecuzione live si trasforma in una variazione sul tema di ben 16 minuti!

“Traintime” è un pezzo blues di Bruce in cui la sua armonica e la batteria di Baker mimano un treno a vapore che procede ad alta velocità, che altro non è se non il ritmo incalzante dell’esibizione. Chiude in gloria il Lato B del secondo LP la celeberrima “Toad”, dove la batteria si sbizzarrisce in incredibili variazioni di pattern ritmico, ad ennesima conferma della maestria di Baker.

A Febbraio 1969 c’è la conclusione ufficiale dell’avventura targata Cream. L’LP postumo – dato che esce dopo il concerto alla Royal Albert Hall – doveva essere anch’esso un doppio, metà in studio e metà dal vivo (come Wheels of Fire), ma la scarsità di materiale a disposizione porta ad assemblare un disco di sole 6 tracce (anche in questo caso metà in studio e metà live, queste ultime tratte da concerti americani di fine ‘68). Da segnalare “Badge”, pezzo composto da Clapton e George Harrison, che per ragioni contrattuali fu menzionato nei crediti come l’Angelo Misterioso. Le sonorità di questa composizione sembrano anticipare quelle che i Beatles impiegheranno nel loro magistrale lavoro di Abbey Road.

A suggello memorabile della brevissima esperienza musicale dei Cream, bisogna ricordare la loro introduzione nella Rock and Roll Hall of Fame nel 1993 e l’ultimo concerto da loro tenuto, sempre alla Royal Albert Hall nel Maggio 2005. Lauree Honoris Causa che ne hanno sancito per sempre lo status di Giganti del Rock.

 

— Onda Musicale

Tags: Abbey Road, The Beatles, Rock and Roll Hall of Fame, Royal Albert Hall, Cream, Albert King, Willie Dixon
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