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La Top 10 dei pezzi blues dei Led Zeppelin

I Led Zeppelin, in poco più di dieci anni di carriera, si sono guadagnati lo status di band icona al pari di pochi altri grandi gruppi.

Il loro grande merito fu quello di traghettare il blues revival inglese degli anni sessanta verso qualcosa di nuovo; l’avrebbero potuto già fare i Cream, se la loro vita non fosse stata così effimera, e così furono gli Zeppelin ad accollarsi il compito di trasformare il blues, psichedelico e a tratti hard, che dominava le terre d’Albione di fine decennio, in quel curioso miscuglio di hard rock, folk e proto metal che ben conosciamo. Eppure il blues rimase sempre nel DNA della band; i primi due lavori, in particolare, sono densi di brani ripresi dalla tradizione dei musicisti del Delta.

In alcuni casi la band dimenticò – sbadati – di attribuire i giusti crediti a Willie Dixon, Howlin’ Wolf e compagnia cantante, rimediando più di una causa e la fama di spregiudicati plagiatori. Solo nei primi due dischi sono presenti ben sei tracce derivate totalmente dal blues. Nelle mani di Page e soci, le dodici battute rimangono ben ancorate alle radici, eppure vengono dilatate all’inverosimile.

Lo spirito carnale e scandaloso della musica del diavolo

La chitarra di Page utilizza tutti gli stratagemmi tecnici disponibili all’epoca e i suoi fraseggi, ricalcati su quelli di Otis Rush e Buddy Guy, accelerano il tutto fino al parossismo. Il cantato di Robert Plant è frammentato, discontinuo, acuto e denso di riferimenti sessuali come lo era all’epoca quello di Robert Johnson e Howlin’ Wolf. Almeno agli inizi, è lui a incarnare lo spirito carnale e scandaloso della musica del diavolo, ancor più di John Mayall o dei Rolling Stones.

Ma anche quando gli Zeppelin saranno maturati e cresciuti, il blues rimarrà sempre acquattato tra i solchi dei loro lavori. E se Houses Of The Holy è un lavoro a corto di blues, già in Phsycal Graffiti del 1975 troviamo Custard Pie, In My Time Of Dying e Trampled Under Foot, brani di spiccata matrice blues, robusti rock blues come The Rover e The Wanton Song e un boogie tradizionale come Boogie With Stu. In Presence spiccano Nobody’s Fault But Mine, prodigiosa ripresa di un vecchio numero di Blind Willie Johnson – non accreditato, come da vizietto – e la lunga, bellissima e sofferta Tea For One. In Trough The Door è l’ultimo vero album dei Led Zeppelin, dove si segnala la ballata venata di blues I’m Gonna Crawl. Bisogna aspettare la versione completa del 1993 di Coda, il disco postumo allo scioglimento, per apprezzare la bellissima versione ufficiale di Travelling Riverside Blues.

Ecco la Top 10

10. Travelling Riverside Blues – Coda, The Complete Sessions

Il brano, pur portando lo stesso titolo di un classico di Robert Johnson, è più un tributo al chitarrista maledetto che una vera cover. Il testo pesca infatti da varie canzoni di Johnson, mentre il riff di Page, pur suonato su una 12 corde accordata in G Open, è farina del suo sacco. Pur apparendo su Coda, il brano fu registrato addirittura nel giugno del 1969, agli albori del mito.

9. Nobody’s Fault But Mine – Presence

Siamo in presenza di un altro caso di blues degli anni ’20 rivitalizzato dalla cura Led Zeppelin. Il brano originale narra la lotta spirituale tra Bibbia e pulsioni più terrene di Blind Willie Johnson. Plant volle registrarla nel periodo successivo all’incidente di Rodi, ancora costretto sulla sedia a rotelle. Page fa un mezzo miracolo: ispirandosi all’adattamento di John Renbourn, si inventa un blues elettrico, quasi spaziale, che è antico e futuristico a un tempo. Capolavoro.

8. How Many More Times – Led Zeppelin I

Il brano è uno di quelli con cui la band mette le carte in tavola: è il 1969, il gruppo è all’esordio eppure suona il blues come non si era mai sentito prima. La chitarra di Page è qui satura come quella di Clapton era Cream, anche se l’ispirazione più palese è quella di Jeff Beck, di cui Page cita impunemente il Beck’s Bolero. I Led Zeppelin sono così, saccheggiano The Hunter di Albert King per il riff, Jeff Beck per l’intermezzo e il testo lo rubano a Howlin’ Wolf, il tutto accreditandosi testo e musica. Sono inoltre ben presenti le tracce degli Yardbirds e dei loro rave up, del resto gli zep nacquero dalle loro ceneri.

7. The Lemon Song – Led Zeppelin II

Led Zeppelin II esce a nemmeno un anno dal debutto e ne segue chiaramente le linee. The Lemon Song è un altro blues magistrale che riprende più o meno paro paro Killing Floor, ancora di Wolf. E cita l’onnipresente Robert Johnson nel testo. Jimmy Page suona ancora dei fraseggi assolutamente ortodossi e, se non fosse per velocità ed effetti, parrebbe di sentire Otis Rush.

6. I’m Gonna Crawl – In Trough The Door

I’m Gonna Crawl è un pezzo piuttosto insolito nel canzoniere della band. Le atmosfere sono assolutamente bluesy e sofferte, tuttavia l’arpeggio della chitarra elettrica e la prestazione misurata di Robert Plant la rendono peculiare. L’assolo di Page è davvero insolito, con la chitarra che veleggia su tonalità dolci e proponendo un suono che sarà ripreso anni dopo da Slash. Sullo sfondo i sintetizzatori di John Paul Jones, insolitamente protagonisti.

5. Tea For One – Presence

Tea For One, posto in chiusura di Presence, è uno slow blues di gran classe, lungo e sofferto. Molto affine a Since I’ve Been Loving You, anche nel modo di cantare di Plant, è forse ancora più malinconico grazie ad alcuni geniali passaggi di chitarra di Jimmy Page, che sembra omaggiare certi slow di Otis Rush (My Love Will Never Die). Eccellente il lavoro di Bonham alla batteria, sempre a suo agio col blues. Un brano da brividi, da sempre ingiustamente in secondo piano tra i grandi blues degli Zeppelin.

4. Whole Lotta Love – Led Zeppelin II

Uno dei brani più iconici della storia del rock, posto in apertura del secondo album, e uno dei pezzi più accusati di plagio. (leggi l’articolo) Caratterizzato dal celebre riff ideato da Jimmy Page, Whole Lotta Love trae ispirazione da You Need Lovin’, blues di Willie Dixon cantato da Muddy Waters nel 1962. La parte vocale di Plant si ispira in particolare alla versione degli Small Faces del ’66. Anni dopo Dixon intenterà causa, vincendola. Va detto che nel blues l’abitudine di far propri gli standard era sempre stata molto diffusa.

3. You Shook Me – Led Zeppelin I

Il brano riveste grande importanza per diversi motivi. Innanzitutto è il primo blues in ordine cronologico ad apparire su un disco dei Led Zeppelin. Contiene varie peculiarità, dalla chitarra di Page – quanto mai incisiva – che doppia la voce di Plant, al bel solo di organo di Jones. Ma fu anche alla base di un lungo dissidio tra Page e Jeff Beck, allora grandi amici. Beck aveva inciso una versione del brano – originariamente di Dixon e Lenoir – l’anno prima nel bellissimo Truth, album molto simile nei suoni ai futuri Zeppelin. Anche l’arrangiamento di You Shook Me era molto affine, tanto che – curiosamente – vi suonò in veste di turnista lo stesso Jones. Col suo tipico atteggiamento, Page sosterrà sempre l’improbabile ipotesi di non aver mai sentito la versione dell’amico – rivale.

2. Since I’ve Been Loving You – Led Zeppelin III

Schiacciato tra I primi due album e il capolavoro del quarto, Led Zeppelin III può vantare sicuramente questo capolavoro della musica blues. Pezzo lunghissimo, esasperante nella sua lunghezza, ha dato la stura a decine di slow blues. Ogni band che si rispetti deve avere il suo slow blues in repertorio, e le prestazioni di Plant e Page in questo brano diverranno una pietra di paragone. Le urla di Robert Plant sono qui più ferine che mai e la chitarra di Page piange una vera cascata di note a velocità supersonica. Un neo? I soliti sospetti di plagio, stavolta da un brano dei Moby Grape, Never, effettivamente piuttosto simile anche se meno spettacolare.

1. When The Levee Breaks – Led Zeppelin IV

Tratto dal quarto album, quello senza titolo, dei Led Zeppelin, When The Levee Breaks è l’unico episodio blues del lavoro e, a giudizio di chi scrive, il più riuscito tributo alla musica del diavolo da parte della band. E forse in assoluto del rock. Grande protagonista del brano la sontuosa batteria di Bonzo Bonahm, che mai più sarà così soddisfatto del suono creato. E per creare quel suono, il geniale batterista, spostò lo strumento sotto una scalinata di Headley Grange, facendo letteralmente pendere i microfoni dal soffitto. Il pezzo – prudenzialmente attribuito a Memphis Minnie, dopo le tante accuse di plagio – vede anche la bella parte di armonica suonata da Plant, impeccabile alla voce, e la chitarra slide di Page. Oltre all’incedere maestoso e minaccioso di tutta la ritmica, per l’occasione rallentata in post produzione. Insomma, When The Levee Breaks è l’esempio di come il rock possa prendere a braccetto il blues e trasportarlo nella modernità, evitando qualsiasi caricatura o parodia. Praticamente un capolavoro insuperabile.

— Onda Musicale

Tags: Robert Johnson, Robert Plant, Blues, Cream, Jimmy Page, Albert King, John Paul Jones, Hard rock, Led Zeppelin, Jeff Beck, John Renbourn
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