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22 novembre: i Beatles e il mistero di due grandi album

Di grandi misteri irrisolti la storia del rock è piena; c’è chi è pronto a giurare sul fatto che Jim Morrison e Elvis Presley siano vivi e vegeti, magari in qualche paradiso tropicale, a godersi i frutti dei loro successi in totale e beato anonimato.

Forse per la legge del contrappasso, se chi è morto in realtà sarebbe vivo, allora chi è vivo deve essere morto, come per la bislacca vicenda di Paul Is Dead. La simpatica storiella vorrebbe Paul McCartney morto in un incidente stradale e sostituito da un misterioso sosia. (leggi l’articolo)

Eppure, un vero grande mistero è quello che lega due dischi dei Beatles, usciti entrambi il 22 novembre, a distanza di cinque anni, nel 1963 e nel 1968. With The Beatles e The Beatles, noto anche come White Album.

Il mistero, più che nella coincidenza della data, sta nell’incredibile crescita musicale della band in appena cinque anni. Oggi siamo abituati a tempi molto dilatati e ad artisti che spesso vanno avanti senza grandi cambiamenti di stile, per venire incontro alle richieste del mercato. Inoltre, cinque anni è spesso un lasso di tempo ragionevole tra un disco e il successivo.

Bene, tra With The Beatles – secondo album dei baronetti – e il White Album, in cinque anni la band aveva dato alle stampe ben sette album, oltre a vari film; e si badi bene, non dischi fatti uscire per battere il vinile finché era caldo, ma capolavori seminali della storia del novecento come Revolver, Rubber Soul e Sgt. Pepper. Ed è forse per questo bizzarro scorrere del tempo che i quattro ragazzi erano passati dal beat un po’ ingenuo dei primi album a essere i più innovativi sperimentatori del decennio seminale della storia del rock.

With The Beatles è una raccolta di quattordici canzoni che segue il grande successo dell’esordio di appena otto mesi prima; il sound è già molto maturato e propone alcuni brani che diventeranno veri standard del gruppo, All My Loving su tutti. Per il resto la scaletta è divisa tra pezzi ancora un po’ acerbi a firma Lennon-McCartney – ben sette – cover dal rock’n’roll (Roll Over Beethoven) e dal rythym and blues e soprattutto i primi due brani di George Harrison. Il successo è immediato e planetario, infatti i Beatles riescono a conquistare anche la riottosa America, dando il la a una vera e propria British Invasion.

Passano cinque anni ma sembra passato un secolo. I Beatles, stravolti dalla vita in tour e impossibilitati ad avere un suono almeno decente dall’isteria dei fan, hanno rinunciato ai concerti. Chiusi in studio hanno preso a sperimentare: nastri al contrario, effetti sonori e grande creatività favorita pure dal consumo di sostanze di vari tipi. Ma non c’è solo il lato artistico e i quattro ragazzi sono tra loro quasi ai ferri corti. The Beatles nasce in gran parte durante la permanenza in India, alla corte del guru Maharishi. Lennon, McCartney e Ringo erano stati convinti a recarsi dal santone da George Harrison, per apprendere l’arte della meditazione. Ringo Starr, come da copione, rimase solo dieci giorni; McCartney – scettico – e Lennon – caustico – resistettero di più, ma occuparono molto tempo a scrivere nuove canzoni, con John che presto si convinse che il guru fosse un truffatore. Harrison, l’unico convinto dell’esperienza, prese molto seriamente la questione, tanto da sbottare con John e Paul: “Non siamo qui per scrivere canzoni, solo per meditare!”

Al ritorno in patria il materiale era comunque così tanto che presto il nuovo album prese le sembianze di un disco doppio. La decisione rimase sempre avvolta da qualche dubbio; George Martin sosteneva che scremando un po’ il materiale sarebbe venuto fuori un solo disco, ma che sarebbe stato un autentico capolavoro; Ringo Starr era dell’idea di far uscire due album, il White e il Whiter album. Fatto sta che il White Album rimane la summa dell’arte beatlesiana, frutto di un periodo di creatività irripetibile, e che riesce a non far rimpiangere l’eredità di un disco ingombrante come quello del Sgt. Pepper, e a rivaleggiare col futuro capolavoro Abbey Road.

Certo, non manca qualche riempitivo di troppo – Wild Honey Pie e Birthday – qualche passaggio un po’ stucchevole – Ob-La-Di Ob-La-Da – e i quattro musicisti sembrano già quattro solisti, più che una vera e propria band. Lennon è preso dalla sua crisi personale, indotta soprattutto dalla conoscenza con Yoko Ono e dalla fine del matrimonio con Cynthia, e si sente benissimo in pezzi come Yer Blues e I’m So Tired; Paul McCartney si fa prendere un po’ la mano dalla sua vena più melodica e stucchevole – come capiterà spesso da solista – specie in Goodnight o in Martha, My Dear, ma riesce ancora a tirare fuori dal cilindro un capolavoro come Blackbird; George Harrison si sente sempre più schiacciato e mortificato dalla presenza dei due autori principali e licenzia quattro canzoni, azzeccando però forse il capolavoro del disco: While My Guitar Gently Weeps col decisivo contributo di Eric Clapton; Ringo contribuisce con un solo brano e sembra sempre più avulso dal contesto.

Il White Album – difficile da credere oggi che è entrato nel mito – divide critica e addetti ai lavori. “Era un album lungo con un’ampia scelta di canzoni; alcune sono le mie preferite in assoluto, altre mi piacciono meno”, dichiarò Alan Parsons.

“Personalmente credo sia il loro disco meno ispirato e fatico ad ascoltarlo. Non è facile assistere alla distruzione di qualcuno quando sai quanto vale” era invece l’opinione di Geoff Emerick.

Ma c’è un’altra storia che si agita tra le pieghe del White Album, consegnandolo al mito in maniera un po’ più macabra: il disco fu tra le ispirazioni del massacro di Cielo Drive, a opera dellaFamily di Charles Manson.

Negli anni il folle assassino avrebbe a più riprese dichiarato come tutto l’album fosse stato scritto inconsciamente dalla band di Liverpool per fargli rovesciare il sistema e per spronarlo a commettere i suoi crimini. I suoi avvocati, nel panico di difendere un cliente indifendibile, arrivarono a citare Lennon come testimone a discarico; John ovviamente si rifiutò ed evitò sempre accuratamente di mischiarsi alle vicende del processo: “Non posso star dietro a tutti gli squilibrati che usano il mio nome” dichiarerà, senza sapere quale profetico e sinistro fascino avrebbero acquistato le sue parole all’indomani del suo assassinio.

Gli adepti della Family (leggi l’articolo) eseguirono comunque gli ordini di Manson, arricchendo la loro strage di citazioni beatlesiane. Helter Skelter, il pezzo più hard del canzoniere dei Beatles, finì per imbrattare i muri della villa di Cielo Drive, vergato col sangue delle vittime, e così la Piggies di George Harrison. Susan Atkins, inoltre, adepta di Manson da lui chiamata Sadie come la Sexy Sadie di John Lennon, ebbe probabilmente un ruolo importante per convincere il delirante Charles della bontà delle sue elucubrazioni.

Insomma, se qualche cacciatore di misteri del rock stesse leggendo e fosse stanco di inseguire bizzarre teorie su star vive o morte, il 22 novembre potrebbe dargli di che distrarsi per parecchio tempo.

— Onda Musicale

Tags: The Beatles, Alan Parsons, Jim Morrison, Ringo Starr, Paul McCartney, Charles Manson, George Harrison, Yoko Ono, While My Guitar Gently Weeps, Eric Clapton
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