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10 album live da ascoltare almeno una volta

Quello di registrare un album live è sempre stato, per ogni band rock che si rispetti, un vero e proprio rito di passaggio.

Spesso è stato proprio un grande disco dal vivo a garantire l’immortalità e fare la differenza tra artisti di successo e quelli destinati alla leggenda.

E se da un lato ci sono band entrate nella storia senza incidere live memorabili – i Beatles, per dire, a un certo punto rinunciarono ai concerti, per il troppo trambusto dei fan, ma anche per l’eccessiva complessità di rendere sul palco i tanti effetti dello studio – altri hanno invece costruito la loro fama soprattutto sulle esibizioni dal vivo.

Oltre ai Beatles allora, anche band mastodontiche come Pink Floyd e Led Zeppelin hanno forse mancato l’appuntamento col disco live al momento giusto, nonostante gran parte della loro leggenda fosse costruita grazie a live memorabili. Di contro, artisti come Peter Frampton, i Foghat o gli MC5, hanno lasciato il loro marchio nella storia del rock proprio grazie a fortunate registrazioni live.

In questa Top 10 abbiamo voluto raccogliere non i migliori, non abbiamo questa presunzione, ma semplicemente dieci album live che ogni appassionato dovrebbe ascoltare.

10. Simon & Garfunkel – The Concert In Central Park

Quando Paul Simon e Art Garfunkel si esibiscono insieme al Central Park di New York, sono passati ben undici anni dalla loro separazione, all’indomani del magnifico Bridge Over Troubled Water. Era bastata una telefonata di Ron Delsener a riunirli, nonostante l’ultima separazione avesse avuto parecchi strascichi a livello personale. E così, con l’intento di rilanciare il polmone verde di New York, il 19 settembre del 1981 Simon & Garfunkel si ritrovano a condividere le assi dello stesso palco, riaccendendo in un attimo la magia che sempre li aveva uniti.

I successi ci sono tutti, da Sound Of Silence a The Boxer, da Homeward Bound a Bridge Over Troubled Water, passando per Mrs. Robinson. Il successo è fenomenale, così come la resa dei due sul palco che, a 38 anni di distanza, non ha perso una briciola della fascinazione di allora. Imperdibile.

9. The Yardbirds – Five Live Yardbirds

Gli Yardbirds, oggi quasi dimenticati, sono stati forse la band più importante a livello seminale per il futuro rock e hard rock inglese. Tra le loro fila sono passati i tre chitarristi simbolo del blues rock d’oltremanica: Eric Clapton, Jeff Beck e Jimmy Page. Nel 1963 la formazione è agli esordi e vanta alla chitarra un imberbe Eric Clapton; galvanizzati da un tour a supporto di Sonny Boy Williamson II – loro idolo che si rivela però bizzoso e non troppo professionale – sotto l’ala protettrice di Giorgio Gomelsky, gli Yardbirds registrano il 20 marzo del ’64 al Marquee.

Il disco esce solo a dicembre ed è di importanza capitale a patto di essere contestualizzato. Il suono, infatti, è grezzissimo e la registrazione di qualità appena accettabile, tuttavia bisogna tener presente che i ragazzi erano dei veri pionieri del british blues. Tutto quello che ascoltate era praticamente una novità sconvolgente all’epoca, il tutto testimoniato dalle urla dissennate dei ragazzi presenti. Il rave up, sorta di climax strumentale al centro dei brani, era un’invenzione fatta in casa, mentre la dilatazione dei pezzi oltre i cinque minuti era all’epoca una vera rivoluzione.

La scaletta è fatta di standard blues, Relf non è certo un grande cantante ma se la cava benissimo all’armonica, mentre Clapton snocciola i primi timidi assoli, come quello nello slow Five Long Years, che riprenderà 30 anni dopo su From The Cradle. Su tutto regna la scatenata energia di questi teen ager, come in I’m A Man e Here ‘Tis.

8. Neil Young – Live Rust

Registrato durante lo storico Rust Never Sleep Tour, uscì nel 1979 come album doppio; è il primo vero e proprio live di Neil Young, composto da materiale già edito. La dicotomia tra folk singer acustico e cavaliere elettrico dalla tecnica non sopraffina ma di grande feeling, è qui al massimo splendore. Una parte acustica da brividi, tra Comes A Time e After The Gold Rush, ma ogni pezzo è un piccolo capolavoro; la parte elettrica, coi fidi Crazy Horse, non è da meno. L’ipnotica Cortez The Killer e la melodia cristallina di Like A Hurricane su tutte. Hey Hey, My My è resa sia in versione acustica che elettrica. Epico.

7. Deep Purple – Made In Japan

Altro live doppio, registrato nel 1972 tra Tokyo e Osaka dalla formazione tipo dei Deep Purple, allora al massimo splendore. Talmente iconico da diventare quasi proverbiale, Made In Japan propone un repertorio talmente dilatato da contenere appena sette pezzi su quattro facciate, con tanto di interminabile assolo di batteria – all’epoca immancabile e temuto un po’ da tutti – nella pirotecnica The Mule. Blackmore e Gillan fanno scintille in classici come Smoke On The Water e Child In Time, consegnando alle stampe il live forse più iconico di sempre. Ma forse non quello invecchiato meglio.

6. Grateful Dead – Live/Dead

Nel 1969 i Grateful Dead erano a una svolta: rispettatissimi come band dal vivo, alfieri di una certa controcultura hippie, sperimentale e lisergica – tanto da essere il gruppo ufficiale degli acid test di La Honda – stentavano a trovare una dimensione così centrata nei lavori in studio. Live/Dead ha l’indubbio merito di catturare, almeno in parte, l’atmosfera di quei giorni in California. Anche qui siamo di fronte a un doppio che riesce a contenere appena sette pezzi; si va dalla mitica Dark Star a St. Stephen, fino alla lunghissima Turn On Your Lovelight. I pezzi non sono altro che canovacci dove Jerry Garcia e soci danno libero sfogo ai loro acidi trip musicali. E non solo.

5. Ten Years After – Undead

Nel 1968 la procedura di registrare un album live era ben lontana dalla consuetudine di oggi; spesso non si trattava di riempitivi fatti uscire per allungare il brodo, ma di veri e propri lavori organici nella discografia. Undead è un caso paradigmatico e, anzi, reso ancor più interessante dal fatto che Alvin Lee non fossero reduci dalla sbornia di successo del ’69 a Woodstock.

Emerge così la chitarra solista del leader prepotente, velocissima e tecnica, ma non in modo soverchiante sugli altri bravi musicisti. Le atmosfere del Klooks Kleek ci calano nella Swingin’ London, coloratissima e anfetaminica come nelle seminali Goin’ Home e At Woodchoppers Ball, infuocati boogie graziati dal tocco jazzato di Alvin Lee. Si rallenta solo nella bella rilettura del classico Summertime. Imperdibile per gli appassionati della Londra di fine anni ’60.

4. John Mayall – The Turning Point

Come già detto, nei creativi anni ’60 un album live non era per forza un riassunto della carriera fino a quel punto, come in questo disco di John Mayall, costituito solo da inediti e registrato live al Fillmore East nel luglio del 1969. Mayall era stato il numero uno nell’importare il blues in Inghilterra e nello scoprire talenti come Eric Clapton, Peter Green e Mick Taylor.

Fino al 1969, e ancora per qualche anno, non sbagliò un colpo e questo The Turning Point rimane forse il numero più azzeccato della discografia. Ingiustamente oscurato dal disco con Clapton, propone una sorta di blues jazz progressivo, quasi completamente acustico. Avvincenti i duelli tra l’armonica di John e il flauto di Johnny Almond e grande lavoro di Jon Mark alla chitarra acustica. Del tutto assenti I fumanti assoli di chitarra, fino ad allora marchio di fabbrica della musica di Mayall. Un album che farà innamorare del blues anche chi storce il naso davanti alla musica del diavolo.

3. The Rolling Stones – Get Your Ya-Ya’s Out

Nel 1969 lo status di grande band rock dei Rolling Stones era così consolidato da potersi permettere di incidere un live – il loro miglior live – lasciando fuori pezzi come (I Can’t Get No) Satisfaction e Paint It Black. Questo live sfrutta materiali provenienti da concerti della fine di novembre del ’69, proprio alla vigilia dei tragici fatti di Altamont ed è il primo con Mick Taylor alla chitarra, al posto di Brian Jones.

La tecnica di Taylor fa fare un grosso passo avanti al sound degli Stones. Le atmosfere sono estremamente bluesy Love In Vain e Stray Cat Blues – senza disdegnare qualche classico numero rock’n’roll e classicissimi comeJumpin’ Jack Flash e Sympathy For The Devil, allora ancora in rodaggio.

2. The Allman Brothers – At Fillmore East

Per alcuni At Fillmore East è il live per eccellenza della storia. Registrato al Fillmore di New York nel 1971 propone effettivamente la band che ha inventato il southern rock al top della forma. Duane Allman si destreggia alla grande tra la slide blues – suonata con la caratteristica bottiglietta di Coridicin – di Statesboro Blues e le interminabile cavalcate, di nuovo tra blues e jazz, di They Called It Stormy Monday, You Don’t Love Me e Whipping Post. Un album ricco di furore creativo e irripetibile – ahimé – non solo per motivi artistici ma soprattutto per le tragedie che di lì a poco si abbatteranno sulla band.

1. Cream – Wheels Of Fire

Al primo posto di questa estemporanea Top 10 un album che è un mezzo inganno, essendo live solo per metà. Ma la metà dal vivo è talmente bella da meritare, almeno per chi scrive, il gradino più alto del podio.

Registrato anche questo al Fillmore, si avvale di quattro lunghi brani; i blues Crossroad e Spoonful sono letteralmente dominati dalla chitarra di Eric Clapton, ortodossa e psichedelica a un tempo, in un miracolo di equilibrio che resterà irripetibile. Spoonful è dilatata fino al parossismo e il modo di trattare il blues dei Cream darà l’impulso a quel passo avanti in senso hard che poco dopo i Led Zeppelin sapranno sfruttare, approfittando della defezione dela band. Traintime e Toad sono invece appannaggio dell’armonica di Jack Bruce – sempre fenomenale al basso – e della batteria di Ginger Baker, che allora vantava ben pochi rivali. Un disco epico e un periodo storico irripetibile a livello musicale.

— Onda Musicale

Tags: Jeff Beck, Cream, Jimmy Page, Deep Purple, Pink Floyd, Neil Young, The Beatles, Led Zeppelin
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