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Un disco per il week end: Fly by Night dei Rush (1975)

Canada, 1975, dopo l’esordio omonimo dell’anno precedente il trio hard – prog dei Rush entra di nuovo negli studi di registrazione per incidere il secondo album, “Fly by Night”.

Si tratta di una situazione particolare perché il precedente batterista, John Rutsey (1953 – 2008), aveva lasciato la band per i problemi di salute derivanti dal diabete oltre che per le divergenze stilistiche con il resto del gruppo.

A rimpiazzarlo è il talentuoso Neil Peart, detto anche Il Professore vista la sua tecnica, che caratterizzerà il sound e la vena compositiva dei futuri Rush grazie anche alle sue abilità di paroliere.

Come il precedente album, “Rush” (1974), il disco risente ancora molto delle influenze dell’hard rock anni ’70 e sopratutto dei Led Zeppelin.

Si concede comunque una piccola suite progressiva, By – Tor & the Snow Dog è divisa in più parti e dura circa 9 minuti, come nel precedente album con la conclusiva Working Man.

Ad ogni modo è il disco che, nonostante queste influenze, li conduce sempre più vicini al sound dell’hard – prog ed alle tematiche più vicine al fantasy ed alla fantascienza che regneranno sovrane a partire dal disco successivo, “2112” del 1976, in poi.

Registrato in poche settimane questo album, ingiustamente poco citato, è importantissimo per capire gli inizi dello storico trio canadese. Un trio che ha passato, con i propri problemi, più di 30 anni di musica senza troppi passi falsi. Ma passiamo alla tracklist di “Fly by Night”:

1) Anthem: energetica intro dominata dalle corde di Lifeson e Lee sorrette dalla magistrale batteria di Peart. Stacchi e chitarre piene di chorus e delay caratterizzano il brano che contiene non pochi riferimenti alla scrittrice Ayn Rand. Scrittrice la cui Antifona sarà la base per il successivo “2112”.

2) Best I can: un altro inno in stile Led Zeppelin, già lo eseguivano nel tour del 1974, dove viene celebrato il rock per il suo messaggio di ribellione ed anti conformismo. Un brano che farà saltare tutti in piedi e che rimane perfettamente in ritmo con il pezzo precedente.

3) Beneath, Between & Behind: una dura critica al sogno americano ed alle sue contraddizioni con un Lee scatenato. In particolare alle pistole che hanno sostituito gli aratri ed i principi che sono stati traditi, così come i sogni iniziali.

“The guns replace the plow, facades are tarnished now. The principles have been betrayed, the dreams’s gone stale, but still, let hope prevail. History’s debt won’t be repaid”

4) By – Tor & the Snow Dog: tra i pezzi più interessanti del disco per le tematiche fantasy che sembrano narrare le gesta di grandi creature dimenticate nelle pieghe del tempo, ma in verità c’è una buffa storia dietro.

Sembra infatti che il loro roadie abbia avuto un incontro ravvicinato con i due cani del proprietario della Anthem Records.

Uno di questi lo aveva morso (By – Torche è la storpiatura di biter cioè che morde) mentre l’altro cane bianco (Snow Dog cioè cane di neve) continuava ad abbaiare.

Per quanto riguarda la parte prettamente strumentale, vanno assolutamente citate le chitarre distorte ed i feedback degli amplificatori che ricreano i ruggiti dei due irrequieti cani così come le atmosfere fantasy

5) Fly by Night: brano che dà il titolo all’album e che coinvolge subito l’ascoltatore grazie al riff iniziale di Lifeson.

Per la creazione del testo Peart ha pescato dalla sua vita, in particolare, dal lungo viaggio di trasferimento dal Canada a Londra.

Un viaggio che porta con sé l’angoscia per la partenza e la tristezza per l’addio all’amata, ma anche i sogni e la speranza di una nuova vita. Il tutto viene impreziosito dall’assolo di chitarra di un ispiratissimo Lifeson.

“Fly by night, away from here. Change my life again. Fly by night goodbye my dear. My ship isn’t coming and I just can’t pretend”.

In perfetta armonia con la copertina. Copertina che rappresenta una civetta con le ali spiegate in una notte nevosa, un perfetto binomio di animale notturno e paesaggi natii dei Rush

6) Making Memories: prima e breve incursione acustica dell’album, almeno all’inizio, anche se poi sfocia in una sorta di blues rock, in stile Rush però.

I ricordi del primo tour della band rivivono nella canzone, con tanto di slide e strumming pattern, così come la gioia e la spensieratezza della gioventù.

“You know we’ve havin’ good days and we hope they’re gonna last. Our future still looks brighter than our past. We feel no need to worry, no reason to be sad. Our memories remind us, maybe road life’s not so bad”

7) Rivendell: brano toccante e delicate dedicato al genio narrative dello scrittore fantasy per eccellenza, J.R.R. Tolkien.

Gli arpeggi di Lifeson e la voce di Lee si fondono alla perfezione, non c’è alcuna percussione o batteria, e narra della tranquillità che il villaggio elfico di Gran Burrone offre agli stanchi pellegrini.

Una candida atmosfera regna su tutta la canzone rendendola un gioiello acustico del gruppo. Un episodio simile è riscontrabile in Tears, sempre da quel capolavoro che è “2112”

8) In the End: degna conclusione rockeggiante del disco anche se parte con una certa tranquillità. Un ottimo brano per chiudere in bellezza l’album con un titolo più che esplicativo

Giudizio sintetico: un buon album che esplica appieno la poliedricità di sound e di stili dei Rush. Ottimo esordio per Neil Peart con il famoso trio. Inoltre è utilissimo per chiunque volesse avvicinarsi alla loro discografia

Copertina: una civetta bianca ad ali spiegate in una notte nevosa ad opera dell’artista italo – americano Eraldo Carugati

Etichetta: Mercury Records

Line up: Geddy Lee (basso, voce e chitarra), Alex Lifeson (chitarre) e Neil Peart (batteria e percussioni)

— Onda Musicale

Tags: Led Zeppelin, Rush, Alex Lifeson, Neil Peart, Fly by Night, John Rutsey
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