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Bob Dylan e la storia della canzone rubata

Che storia fantastica sono stati gli anni ’60, una lisergica avventura tra fiori, chitarre e droghe. L’amore unico obbiettivo, la rivoluzione l’unico scopo, perseguibile con un solo e unico mezzo: la musica.

In questo contesto di fantastici paladini musicanti colorati rientra il menestrello di Duluth, Robert Allen Zimmerman, in arte Bob Dylan, come il suo poeta preferito che di nome faceva Thomas.

Ma torniamo cinquant’anni fa indietro nel tempo. E’ il 1963. Bob Dylan ha appena 22 anni ed è solo uno dei tanti cantanti folk della scena musicale americana. Ha all’attivo solo un album omonimo composto di cover tranne due pezzi originali, registrato in soli tre pomeriggi il quale ottiene una fredda accoglienza da parte del pubblico. Il 27 maggio 1963 esce il suo secondo album in studio intitolato “The Freewheelin’ Bob Dylan” (Bob Dylan a ruota libera), che in breve tempo si impone come inno generazionale, saturo di canzoni di protesta contro il Vietnam. Canta della società che cambia troppo in fretta e il successo mondiale è assicurato.

L’album trasforma l’artista da anonimo musicista folk a profeta generazionale. Appartengono a quest’album le celebri Blowin’ in the Wind, Girl from the North Country, Masters of War.

«Quante strade deve percorrere un uomo prima di essere chiamato uomo?» cantava Dylan nella celebre Blowin’in the Wind brano da molti considerato il manifesto della generazione dei giovani statunitensi disillusi dalla politica portata avanti negli anni cinquanta e sessanta dal loro paese e sfociata dapprima nella guerra fredda e poi nella guerra del Vietnam.

La canzone viene composta nel pomeriggio del 16 aprile 1962, in circa dieci minuti, aggiungendo un testo alla melodia di una vecchia canzone canadese cantata degli schiavi dopo l’abolizione della schiavitù in Gran Bretagna nel 1883, intitolata “No More Auction Block“, del resto Dylan stesso non ne ha mai negato l’ispirazione.

Immediatamente dopo la pubblicazione comincia a circolare la voce secondo cui l’autore è in realtà Lorre Wyatt, studente del liceo di Millburn in New Jersey. Nel novembre 1963 la storia approda alle pagine del Newsweek, ma Bob Dylan smentisce: “Sono parole mie”, afferma. Ma diversi studenti raccontano di aver sentito cantare quella canzone dal loro compagno, ben prima del maggio di quell’anno.

Wyatt arriva persino a raccontare al suo insegnante di aver venduto la canzone per 1000 dollari e di aver dato il denaro in beneficenza, ma la menzogna non ha lunga vita. La verità è un’altra: Dylan affermò di aver scritto il pezzo nella primavera del 1962 e un mese dopo il testo apparve su  una rivista dedicata alla musica folk. Era una pratica comune all’epoca. Lorre Wyatt acquistò il periodico e la suonò in alcuni festival scolastici, esibendosi come autore.

All’uscita Blowin’ in the Wind divenne presto una hit e in tanti gli chiesero spiegazioni, ma Lorre Wyatt non ebbe il coraggio di ammettere che non era lui l’autore del testo.

Nel 1974 Wyatt ammise la menzogna e chiese pubblicamente scusa sulle pagine del New Times, spiegando di averlo fatto anche perché voleva entrare nel gruppo folk della scuola, i “The Millburnaires”. Una ragazzata che ha creato una leggenda metropolitana difficile da scalfire e, nonostante, siano passati più di 50 anni, c’è chi è ancora convinto che Blowin’ in the Wind sia stata composta da un oscuro ragazzo del New Jersey.

Nel 1994 la canzone viene inserita nella Grammy Hall of Fame, mentre nel 2005 la rivista Rolling Stones l’inserisce al 14° posto nella lista dei 500 migliori brani.

Anche se non propriamente di carattere religioso la canzone fu una delle tre eseguite nel 1997 da Dylan davanti a Papa Giovanni Paolo II, di fronte ad una folla di 300.000 giovani cattolici al Congresso Eucaristico Mondiale a Bologna; nel 2007 Papa Benedetto XVI (uno degli spettatori all’epoca) affermò di non aver approvato l’esibizione di una rock star come Bob Dylan durante un’assemblea ecclesiastica.

Bene signori, alzate il volume e mettetevi comodi, suona sua maestà il Premio Nobel Bob Dylan.

“Quante strade deve percorrere un uomo
prima di essere chiamato uomo?
E quanti mari deve superare una colomba bianca
prima che si addormenti sulla spiaggia?
E per quanto tempo dovranno volare le palle di cannone
prima che vengano bandite per sempre?
la risposta, amico mio, se ne va nel vento,
la risposta se ne va nel vento

Per quanto tempo un uomo deve guardare in alto
prima che riesca a vedere il cielo?
E quanti orecchie deve avere un uomo
prima che ascolti la gente piangere?
E quanti morti ci dovranno essere affinché lui sappia
che troppa gente è morta?
la risposta, amico mio, se ne va nel vento,
la risposta se ne va nel vento

Per quanti anni una montagna può esistere
prima che venga spazzata via dal mare?
E per quanti anni alcuni possono vivere
prima che sia concesso loro di essere liberi
E per quanto tempo può un uomo girare la sua testa
fingendo di non vedere
la risposta, amico mio, se ne va nel vento,
la risposta se ne va nel vento.”

— Onda Musicale

Tags: Bob Dylan, Robert Allen Zimmerman, Bologna
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