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I Led Zeppelin e quella notte maledetta al Vigorelli

Nonostante vantino ancora oggi un seguito fenomenale in Italia, i Led Zeppelin hanno suonato nel nostro paese solo una volta, il 5 luglio del 1971 al velodromo Vigorelli di Milano. E fu una notte maledetta.

Prima di raccontare quella che solo per una serie di coincidenze non fu una notte tragica, tracciamo i confini della situazione del periodo in Italia. Era il 1971 e si era in piena strategia della tensione, all’alba del decennio che verrà definito di piombo; i conflitti tra giovani dei movimenti extra parlamentari e forze dell’ordine erano pane quotidiano, mentre il mondo dei concerti era infestato dagli autoriduttori, gruppi underground, connotati politicamente, che vedevano i promotori e gli organizzatori dei live come avidi capitalisti che volevano solo lucrare sulla musica, che nelle loro idee avrebbe dovuto essere sempre gratuita.

I Led Zeppelin erano allora il gruppo più popolare del mondo: “Siamo più famosi dei Beatles” – andava ripetendo Robert Plant, quasi a cercare di convincere se stesso. Più famosi dei Fab Four, appena scioltisi, forse non lo erano, ma di sicuro la band era sulla cresta dell’onda, forte di tre album dal successo crescente e di un quarto che sarebbe arrivato di lì a poco e che sarebbe stato il capolavoro. E uno dei capisaldi dell’intera discografia rock. Il loro impatto dal vivo, grazie a potentissimi impianti e a un volume mai sentito prima, era devastante.

David Zard era un giovane promoter che aveva scommesso tutto sull’impresa di portare i Led Zeppelin in Italia, e decise di farlo proprio al Vigorelli, dove sei anni prima si erano esibiti gli stessi Beatles. Zard era quasi sicuro che l’evento sarebbe stato in perdita, ma sperava di assicurarsi i Led Zeppelin anche per molte date successive e di attirare così altri grandi nomi del rock internazionale.

Per convincere il dispotico manager Peter Grant anche solo a concedergli udienza, dovette farsi avanti con un cospicuo anticipo di ben 3mila sterline, una cifra ragguardevole per l’epoca.

Ricorda Zard

Misi in vendita i biglietti a 1500 lire l’uno, dovevo assicurarmi seimila spettatori solo per ripagare il costo dei Led Zeppelin. E poi c’erano l’affitto del velodromo, i costi per l’allestimento del palco e per l’elettricità. Sapevo già che alla fine ci avrei rimesso”.

Per ammortizzare i costi, Zard e i suoi collaboratori escogitano una trovata, la stessa che probabilmente condurrà la serata al disastro: abbinare al live dei Led Zeppelin una tappa del Cantagiro.

Il Cantagiro, all’epoca, era una sorta di versione itinerante del Festival di Sanremo, o se volte, del Festivalbar. Uno stuolo di cantanti che – pur nella loro dignità – nulla avevano a che fare con la furia del martello degli dei inglese; Milva, Ricchi & Poveri, Gianni Morandi e i New Trolls.

Il risultato è che il pubblico delle due manifestazioni non potrebbe essere più diverso. Alcuni entrano già durante la parte del Cantagiro, che dovrebbe concludersi entro la mezzanotte, mentre altri – i più numerosi – decidono di aspettare all’esterno che Page e soci inizino a martellare col loro poderoso hard rock.

Gianni Morandi, che porta in scena un pezzo blandamente impegnato – Al Bar si muore – cerca di accattivarsi il pubblico più alternativo salutandoli come compagni, sortendo il risultato di venire bersagliato con pomodori, bottiglie di birra e chi più ne ha più ne metta. Solo i New Trolls, allora rispettata band di rock progressivo, vengono risparmiati dal dileggio dei fan zeppeliniani, che rendono la situazione esplosiva.

Nel frattempo, dietro le quinte del velodromo, per tutt’altri motivi la situazione sta per giungere a saturazione. Secondo alcune accreditate testimonianze, i quattro ragazzi della band la sera prima avevano conosciuto in un locale milanese alcune ragazze a cui avevano dato appuntamento alla sera successiva, dopo il concerto. Se il live fosse iniziato troppo tardi, il rendez-vous sarebbe inevitabilmente saltato. I leggendari musicisti erano pur sempre quattro ragazzi poco più che ventenni, baciati dal successo e in preda agli ormoni, perciò avevano una fretta indiavolata di iniziare a suonare. Il fatto che tutti gli artisti nazional popolari del Cantagiro fossero duramente contestati a scena aperta, finì per innescare la miccia.

Peter Grant, coi modi ruvidi che lo avevano reso famigerato, intimò a David Zard di far iniziare il concerto dei suoi pupilli. Questo alle 22 e 30. Al fermo rifiuto del promotore, Grant reagì tirando fuori un coltello a serramanico e con l’aiuto del road manager Richard Cole, prese letteralmente in ostaggio Zard. A quel punto i roadie entrarono in scena e iniziarono a smontare il palco del Cantagiro per far spazio alla poderosa batteria di John Bonham.

Parla Cole

L’atmosfera era fottutamente agitata, così decidemmo: vaffanculo, non staremo qui ad aspettare tutta la notte per voi fottuti italiani in mezzo a questo fottuto casino. Noi incominciamo quando ne abbiamo voglia.”

Il martello degli dei irrompe così in scena, attaccando Black Dog. Alcuni testimoni ricordano la potenza dell’impianto della band; mai si era sentito qualcosa di così terrificante, la batteria di Bonham ha il fragore di decine di tuoni, mentre la voce di Plant è talmente potente da risuonare anche senza microfono. Il pubblico impazzisce, alcuni accendono dei pericolosissimi fuochi – il velodromo è in gran parte fatto di legno – che rischiano di trasformare il Vigorelli in una trappola per topi.

Ma il problema vero è all’esterno. L’inizio anticipato fa sì che migliaia di appassionati siano ancora fuori dalla struttura, tra l’imponente dispiego di polizia e celerini. La moltitudine – sentendo le note inconfondibili della chitarra di Page – si accalca ai cancelli e la situazione sfugge di mano.

Iniziano i disordini e, mentre gli zep fanno in tempo a mandare in porto un’affrettata versione di Dazed And Confused e attaccare Since I’ve Been Loving You, la polizia sferra l’attacco. Alcuni fumogeni vengono sparati dentro il velodromo, scatenando il panico.

Plant all’inizio cerca di prendere la situazione con ironia e grida al microfono di soffiare tutti insieme per disperdere la nebbia dei fumogeni. Ma, all’attacco di Whole Lotta Love, è chiaro che la situazione è insostenibile e Peter Grant dà lo stop. Il concerto è interrotto e solo per miracolo la calca impazzita non causa qualche morto.

Rimangono le testimonianze di presenti illustri, tra cui Roby Facchinetti dei Pooh che ricorda di essersi ritrovato a barricarsi, semi intossicato e con un fazzoletto sulla bocca, in un garage, senza sapere nemmeno come vi fosse arrivato; un giovanissimo Riccardo Bertoncelli, oggi tra i massimi storici del rock, racconta di averla scampata per un pelo e di essere poi andato a mangiare un gelato poco lontano, tra la polizia che continuava a caricare.

Chi la prese con meno filosofia fu proprio la leggendaria band, che da allora giurò – tenendo fede – che non sarebbe mai più tornata a suonare in Italia. E con loro molte grandi rock band, che per anni disertarono i maggiori appuntamenti del nostro paese.

Ripensando a quei giorni è inevitabile provare sgomento di fronte alle poche immagini sopravvissute, coi giovani arrampicati sui tralicci delle luci, a pochi metri dal gruppo, in una situazione che oggi non sarebbe tollerata nemmeno in una sagra paesana; ma è difficile anche non provare incredulità davanti agli incredibili errori organizzativi, in primis la scellerata decisione di abbinare una band come quella dei Led Zeppelin a una realtà per famiglie come il Cantagiro.

Anche il comportamento della polizia, che all’epoca costituiva la regola, fu censurabile, con testimoni che raccontano di fumogeni sparati senza problemi ad altezza uomo.

Fu quindi un disastro, a livello organizzativo e per la ricaduta sugli eventi futuri, ma fu anche un incredibile miracolo che non ci furono decine di morti.

— Onda Musicale

Tags: Led Zeppelin, Robert Plant, John Bonham, Jimmy Page
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