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I capolavori rock che compiono 50 anni nel 2020

Viviamo in un’epoca in cui il fattore nostalgia ha assunto proporzioni un tempo inimmaginabili. A causa dei social che ci bombardano continuamente di ricordi e di suoni e immagini di altre epoche, mai come oggi il passato è stato così presente.

Questo vale in particolare per il rock che, non c’è neanche bisogno di dirlo, ha vissuto tra gli anni sessanta e settanta l’età dell’oro, per arrivare ai gironi nostri in uno stato quasi agonizzante.

E così ogni anno viene naturale guardare al passato e alle tante ricorrenze che ci solleticano sul nostro lato più nostalgico. E tra gli album che quest’anno tagliano il traguardo dei cinquant’anni ci sono una serie impressionante di capolavori; vediamoli brevemente.

Il 1970 fu innanzitutto l’anno del canto del cigno dei Beatles; praticamente separati in casa già da tempo, licenziarono l’ultimo capitolo della loro irripetibile discografia, quel Let It Be che era stato registrato più di un anno prima, addirittura prima del capolavoro Abbey Road. Il disco, pur disorganico e opera più dei musicisti presi singolarmente che del gruppo, presenta comunque schegge preziose della grandezza dei Beatles.

I rivali Rolling Stones pubblicarono Get Yer Ya Ya’s Out, forse il loro miglior live, mentre gli Who uscivano con Live At Leeds, un altro disco registrato dal vivo che avrebbe fatto storia. L’annata fu prodigiosa per l’hard rock, un genere che pur vantando molti dischi seminali, era praticamente nato l’anno prima con i Led Zeppelin. Uscirono due vere bibbie del genere, Led Zeppelin III e In Rock dei Deep Purple. Ma non furono da meno i Black Sabbath che, mischiando hard, blues e tematiche esoteriche, usciranno col debutto eponimo e in autunno col fondamentale Paranoid, dando il la all’heavy metal. Per gli amanti del suono hard uscirono anche lo splendido Fire And Water dei Free e Fun House, il ritorno degli Stooges protopunk di Iggy Pop.

I disciolti Beatles, quasi non vedessero l’ora, uscirono ognuno col proprio progetto; agli annali sono passati solo il buon debutto di John Lennon e soprattutto il capolavoro triplo di George Harrison, All Things Must Pass, forse la miglior prova solista di un ex beatle.

Il 1970 fu però anche l’anno dei grandi mostri sacri, in primis i Pink Floyd con il leggendario disco della mucca, Atom Heart Mother. Fu forse la prima prova di maturità dopo lo shock dell’uscita di Syd Barrett, anche se di lì a poco Waters e soci avrebbero fatto ancora meglio. David Bowie uscì con The Man Who Sold The World, propedeutico al grande successo che sarebbe arrivato in seguito con l’alter ego Ziggy Stardust. L’estemporanea Band Of Gypsys si rivelò il canto del cigno per Jimi Hendrix, che lo stesso anno sarebbe morto.

Per quanto riguarda generi più soft, tra folk, country rock e pop rock l’anno sarebbe stato memorabile. Bridge Over Troubled Water di Simon & Garfunkel, uno dei loro capolavori, ma anche il perfetto Tea For The Tillerman di Cat Stevens; After The Gold Rush, grande album di Neil Young e Deja Vù, lo splendido lavoro dello stesso Young con Crosby, Stills e Nash; ma anche Starsailor di Tim Buckley, il successo di Sweet Baby James di James Taylor, Byter Layter dello sfortunato Nick Drake, il capolavoro folk rock dei Traffic, John Barleycorn Must Die. Da ricordare il passaggio dei Grateful Dead dalla psichedelia al country rock, con Workingman’s Dead e American Beauty.

Il rock progressivo, vicino al suo periodo di maggior fulgore, vide le uscite di almeno quattro capolavori: Trespass dei Genesis, l’esordio eponimo degli Emerson, Lake & Palmer, Third dei Soft Machine e In The Wake Of Poseidon dei King Crimson.

Ma il ’70 fu anche l’anno di altri grandi dischi meno ascrivibili a generi precisi. Syd Barrett per esempio avrebbe dato gli ultimi segnali di vita con The Madcap Laughs, Santana avrebbe centrato un altro colpo da maestro col celebre Abraxas e i Doors, anch’essi alle ultime battute, avrebbero parzialmente raddrizzato la barra con Morrison Hotel, dopo la sbandata del mediocre The Soft Parade. I Creedence Clearwater Revival, prodigi di prolificità, uscirono con Cosmo’s Factory, forse il loro capolavoro, e con Pendulum, un disco meno fortunato, molto raffinato ma alla base forse della rottura successiva. Loaded dei Velvet Underground rimane invece un altro capitolo fondamentale dell’annata.

Discorso a parte per Eric Clapton; prima di precipitare nel tunnel delle dipendenze, Slowhand licenziò il capolavoro Layla And Other Assorted Love Songs coi Derek & The Dominos e il suo esordio solista, un disco che portava il suo nome e che sorprese tutti per la svolta soft che avrebbe sempre caratterizzato il Clapton solista.

Cinquant’anni fa, dunque, uscirono questi capolavori, ma anche tanti altri dischi che qui non citiamo; non vi resta che seguirci e durante l’anno ve ne parleremo in modo più approfondito.

— Onda Musicale

Tags: George Harrison, The Rolling Stones, Abbey Road, The Beatles, Genesis, Led Zeppelin, Black Sabbath, David Bowie, Jimi Hendrix, Pink Floyd, Iggy Pop, The Who, Syd Barrett, John Lennon
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