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Brian Jones: vita, morte e (pochi) miracoli

Diciamolo subito, l’unico miracolo che Brian Jones fece nella sua vita di “santo venerabile” del rock’n’roll, fu uno solo, ma micidiale: quello di creare dal nulla i Rolling Stones.

Corredato da un miracolo minore, trovare un nome altamente iconico a una delle band rock dalla più lunga e prospera vita; purtroppo questo, il buon Brian, non lo seppe mai. Prima e dopo la sua invenzione – infatti – Brian Jones visse una vita piena di avvenimenti ed ebbe una morte misteriosa che ancora oggi fa almanaccare. Tutte e due degne di essere raccontate.

Brian nacque il 28 febbraio del 1942, a Cheltenham, nel Gloucestershire in Inghilterra. La sua famiglia, di origini gallesi, faceva parte della buona borghesia della città; purtroppo, non altrettanto buona era la salute di Brian e delle sue due sorelle. Una di queste morì a soli due anni per leucemia, mentre lo stesso Brian soffrì sempre d’asma e per tutta la vita ebbe una salute piuttosto malferma.

Entrambi i genitori erano appassionati di musica e piuttosto dotati per le tastiere, tanto che la mamma dava lezioni di pianoforte a livello quasi professionale; fu proprio lei a insegnare al piccolo Brian, che apprese così già in tenera età i primi rudimenti e la lettura musicale. In breve tempo, il giovane allievo aveva superato la maestra.

Brian era però tanto portato per la musica – quasi geniale – quanto poco equilibrato nel gestire l’argento vivo che aveva addosso. Probabilmente se fosse stato un adolescente dei tempi d’oggi gli avrebbero diagnosticato qualche disturbo della personalità – magari una sindrome di iperattività – tempestivamente: nell’Inghilterra degli anni ’60 l’estrema irrequietezza del giovane Brian si tradusse in una fuga da casa alla volta di mirabolanti avventure e disastri, in qualche caso.

Dapprima Brian si innamorò del jazz di Charlie Parker, un amore che invero lo seguì per tutta la vita. Imparò a suonare il clarinetto, la chitarra, il sassofono, l’armonica e qualsiasi strumento gli si parasse a tiro; a scuola era tanto geniale come alunno quanto indisciplinato. Enfant prodige in tutto, Brian lo scavezzacollo a 17 anni aveva già messo incinta la fidanzata sedicenne, da cui venne lasciato dopo aver tentato in tutti i modi di convincerla ad abortire. Il figlio – Simon – nacque e fu presto dato in affidamento: Brian Jones non lo conobbe mai.

Deluso dalla vicenda abbandonò la scuola, gli studi e la famiglia e visse in Nord Europa per un po’ conducendo la tipica vita del bohèmien, suonando per strada per mantenersi. Al suo ritorno si era appassionato al blues, che nel frattempo era diventata la musica di tendenza e che di lì a poco avrebbe portato alla grande rivoluzione musicale britannica.

Brian continuava a imparare a suonare strumenti; fedele alla sua indole maniaco depressiva, vi si dedicava anima e corpo per poi abbandonare il suo nuovo giocattolo appena raggiunta la perfetta padronanza, in preda alla noia, e individuarne uno nuovo.

Nell’ottobre del 1961 Brian – che aveva appena diciannove anni – aveva già tre figli da tre donne diverse. Incurante della cosa, decise di trasferirsi finalmente a Londra, dove conobbe i pezzi da novanta del giro blues e si fece un nome come Elmo Lewis, suonando la chitarra slide; secondo Bill Wyman, futuro compagno nei Rolling Stones, fu il primo a suonare la slide in Inghilterra. Suonò e fece amicizia con Alexis Korner, il pioniere del British Blues, e con Jack Bruce, poi bassista dei Cream. Fondò una band tutta sua e reclutò Ian Stewart al piano e un ragazzetto magro come un’acciuga alla voce, Mick Jagger.

Quest’ultimo introdusse nel complesso l’amico Keith Richards, bravo chitarrista. Tuttavia, il fatto che Richards non fosse un purista blues e amasse alla follia Chuck Berry, portò un discreto scossone nel gruppo, tanto che alcuni rimasero e altri abbandonarono.

Ne scaturì il primo embrione dei Rolling Stones; il nome nacque proprio da una estemporanea intuizione di Brian: era al telefono e stava discutendo il primo ingaggio per la band al Marquee, quando si rese conto di non avere ancora un nome da proporre; guardando in basso scorse la copertina di un disco di Muddy Waters, “Rollin’ Stone”, et voilà, il gioco era fatto.

Dopo una serie di travagliate vicende, la band si assestò con Jagger alla voce, Richards alla chitarra, Wyman al basso, Charlie Watts – allora giovane e apprezzatissimo batterista jazz – alle pelli, Stewart al piano e Jones principalmente alla chitarra, ma dedito a qualsiasi strumento gli passasse per la testa. In quei primi tempi Brian Jones era più interessato nel proporre la band ai vari locali che a suonare, era il vero e proprio manager della band. Ed era molto bravo, soprattutto nel ritagliare per sé stesso i compensi maggiori; sul palco era un vero istrione, molto più di Jagger, ancora un po’ impacciato come frontman. Il particolare incrocio tra le chitarre di Jones e Richards era il marchio di fabbrica dei primi Rolling Stones: non si poteva dire chi dei due fosse il solista e chi si prendesse la parte ritmica, era tutto sovrapposto dando l’impressione che ci fossero 4 o 5 chitarre a suonare. Una tessitura che i due avevano ideato ascoltando le incisioni del bluesman Jimmy Reed.

Con l’arrivo di Andrew Loog Oldham, manager professionista, le cose cambiarono radicalmente. Oldham ideò da subito un’immagine da cattivi ragazzi – ispirata blandamente al romanzo “Arancia Meccanica” – che li smarcasse da Beatles e altri rivali, mise alla porta Stewart, il cui fisico massiccio mal si addiceva al nuovo look (leggi l’articolo), e decise che Jagger e Richards dovessero scriversi i pezzi da soli, diventando i Lennon McCartney della band. Stewart continuò a suonare come turnista, e nei Rolling Stones conservò anche un ruolo logistico come autista.

Contemopraneamente, iniziò il processo di estraniamento di Brian Jones dal contesto: Oldham lo aveva di fatto destituito dalla parte manageriale e dalla leadership della sua creatura. E allora Jones prese un ruolo sempre più defilato, quello di sperimentatore del gruppo, introducendo quel quid esotico e dando sfogo al suo genio di polistrumentista. Nei primi dischi il suo apporto fu ancora – se non decisivo – molto incisivo: sua la slide in Little Red Rooster, il sitar di Paint It Black, il dulcimer in Lady Jane, ma anche lo xilofono, il mellotron, la tromba, l’autoharp, la marimba, il sassofono, la fisarmonica e l’armonica in molti pezzi storici erano da lui suonati.

Tuttavia la sua figura si affievolì progressivamente; la salute malferma, unita all’abuso di una serie di sostanze, facevano sì che spesso Brian si trovasse in ospedale mentre la sua presenza era richiesta in scena; l’accento bipolare del suo carattere prese a peggiorare: “C’erano due Brian, uno introverso, timido, sensibile e profondo, l’altro era un pavone agghindato, gregario, artistico, sempre con il disperato bisogno di sicurezze dai suoi colleghi. Spingeva ogni amicizia al limite e oltre”dichiarò a proposito Bill Wyman.

Il suo contributo, negli ultimi lavori in cui figura, è sporadico e discontinuo; nei live Brian Jones appare quasi assente, catatonico, forse a causa dell’abuso di Mandrax Quaalude – il metaqualone – una sostanza in voga all’epoca. Dopo aver avuto un quarto figlio, si fidanza con Anita Pallenberg, che però presto si lega a Keith Richards, cosa che – comprensibilmente – il giovane Brian si legherà al dito. Gli Stones, bisognosi di una chitarra valida per proporre le loro famose tessiture sonore, arrivano all’aut aut: lasciano a Brian la possibilità di dire che è lui ad andarsene, ma in poche parole lo mettono alla porta e lo sostituiscono nel tempo di dire “oplà” con Mick Taylor.

“L’unica soluzione era quella di separarci, ma in ogni caso resteremo amici. Voglio bene a quei ragazzi” – queste sono le parole con cui la stella di Brian si separa definitivamente da quella dei Rolling Stones.

A questo punto Brian, che nel frattempo si era accompagnato ad Anna Wohlin, acquista Cotchford Farm e vi si rinchiude vagheggiando idee per nuove e più sperimentali musiche. La villa era appartenuta ad Alan Alexander Milne, creatore di Winnie The Pooh.

Fu nella piscina della villa che – intorno alla mezzanotte del 3 luglio 1969 – Brian Jones fu trovato senza vita. Alexis Korner era andato a trovarlo tempo prima, dicendo che non lo aveva mai visto così felice, eppure Brian era ben lontano dall’essere uscito dal tunnel delle sue dipendenze. La morte fu archiviata dalla polizia del Sussex come “incidentale”, eppure ancora oggi si continua a parlare di misteri, specie dopo che Frank Thorogood, un costruttore locale dalla fama non proprio cristallina, fu sospettato di essere il responsabile della sua morte. Ma questa è tutta un’altra storia, che vi racconteremo.

La storia di Brian Jones, per molti versi simile a quella dell’altro diamante impazzito Syd Barrett, si conclude quella notte. Anzi, c’è ancora spazio per un ultimo episodio controverso; i Rolling Stones – il 5 luglio, appena due giorni dopo – hanno organizzato un grande live ad Hyde Park, per presentare Mick Taylor, il nuovo chitarrista. L’occasione – nata per prendere definitivamente le distanze da Brian – si trasforma in una sorta di omaggio.

Chissà se Brian Jones avrebbe gradito? Forse gli sarebbe stato più caro il tributo dell’amico Pete Townshend, un poema intitolato: “A normal day for Brian, a man who died everyday”.

— Onda Musicale

Tags: Mick Taylor, Charlie Parker, Bill Wyman, Keith Richards, The Rolling Stones, The Beatles, Mick Jagger, Brian Jones
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