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Rory, il vero Gallagher del rock

“Mr. Hendrix, cosa si prova a essere il più bravo chitarrista rock del mondo?”“E che ne so? Andate a chiederlo a Rory Gallagher!”

Questa conversazione – che potrebbe sembrare surreale – si svolse all’indomani del grande festival musicale di Woodstock, quando un giornalista rivolse la fantasiosa domanda a Jimi Hendrix, allora il più osannato dei chitarristi della storia del rock. La risposta di Jimi, fedele al suo personaggio tanto anfetaminico sulle scene, quanto gentile e delicato fuori, dà la misura di come l’irlandese Rory Gallagher fosse apprezzato dai suoi colleghi musicisti, sebbene allora avesse a malapena ventuno anni.

Rory era nato per l’appunto in Irlanda, a Ballyshannon, il 2 marzo del 1948; da quando – a nove anni – gli avevano messo in mano una chitarra, il ragazzino non aveva smesso di stupire. Influenzato da dischi di blues di Muddy Waters e Leadbelly, sentiti chissà dove, fin da ragazzo aveva elaborato uno stile basato su una peculiare mistura di blues, quello elettrico di Chicago ma anche quello acustico pre-guerra, folk e jazz.

Verso la seconda metà degli anni ’60 la Mecca per chi vuole suonare la chitarra e fare del rock la propria occupazione è ovviamente Londra, ed è lì che il giovanissimo Rory si trasferisce appena può.

Rory, che è nato come William – o Liam, come anni dopo uno dei due pestiferi Gallagher degli Oasis – si appassiona subito al British Blues, allora imperante, e forma un terzetto sulla scia di Cream e Jimi Hendrix Experience. Con Richard McCraken e John Wilson nascono i Taste. Il trio si fa subito una solida fama, grazie soprattutto alla chitarra indiavolata di Rory, che sfoggia anche una vocalità genuina e dall’accento pesantemente british, a rendere ancora più particolare il suo blues accelerato. La band sforna tre ottimi album, ai quali forse manca solo – come mancherà al Gallagher solista – qualche brano killer che permetta di sfondare del tutto; manca il caratteristico trenta per fare trentuno. A un certo punto, però, il bravo chitarrista si accorge che manca anche qualcos’altro: i quattrini. I due compagni di band, infatti, in combutta col dispotico manager Eddie Kennedy, stanno truffando l’ingenuo Rory, che manda all’aria tutto quanto.

Resta il tempo per una leggendaria esibizione al festival di Wight, poi Rory scioglie i Taste e inizia una carriera solista che sarà proficua ma sempre mantenendo il profilo piuttosto basso.

Ed è un po’ la cifra della carriera di Gallagher, il basso profilo

Il musicista era infatti refrattario ai compromessi, fin troppo forse. Non gradiva le lusinghe dello show business, come non sopportava – chissà perché – i 45 giri. La sua immagine era caratterizzata da camicioni a scacchi, gli stessi che faranno la fortuna del grunge vent’anni dopo, e, nonostante la stima che gli professavano colleghi come Eric Clapton, Jimmy Page e il citato Hendrix, l’unico interesse di Rory rimase sempre il palco, senza troppa attenzione al lato commerciale.

Sempre imbracciando la sua Fender Stratocaster Sunburnst del 1961 – che una volta gli fu rubata, gettandolo nella depressione finché non la ritrovò – incise undici album in studio e, soprattutto, tre incendiari live. Il suo stile, sospeso tra blues, jazz e hard rock, ricordava i coevi Johnny Winter e Alvin Lee – anche vocalmente – e la sua tecnica era sopraffina, specie nella rilettura di vecchi standard blues; la composizione era forse il suo punto debole, anche se pezzi come Million Miles Away sono rimasti giustamente nella storia.

Un’altra occasione che fa ben comprendere l’approccio di Rory allo showbiz avvenne nel 1975; Mick Taylor, che aveva sostituito Brian Jones nei Rolling Stones nel 1969, decise di abbandonare la band. Troppo poco avvezzo agli eccessi degli Stones, si disse allora, ma anche la voglia di tentare una carta solista che gli darà ben poche soddisfazioni. La caccia al posto vacante è spietata, Rory suona un po’ col gruppo, registra dei provini; piace molto a Mick Jagger, ma il periodo è assai confuso. Keith Richards non sta bene, non si sa se il gruppo andrà avanti o finirà lì, in più Ron Wood – che alla fine sarà scelto – non ha la tecnica di Rory ma è più avvezzo alla vita on the road e anfetaminica della band; Rory, inoltre, sta per partire per un lungo tour in Giappone e non se la sente di rischiare. Alla fine non se ne farà nulla.

Rory Gallagher continua così a fare quello che gli riesce meglio, incendiare i palchi di tutto il mondo con la sua fedele Stratocaster

Incide ancora dei buoni lavori, ma gli anni ’80 sono alle porte col loro carico di musica patinata che ben poco spazio lascia al sano vecchio rock’n’roll. Rory, che paradossalmente è sempre stato contrario agli eccessi della vita da rockstar, in particolare alle droghe, tenendo sempre il vessillo del proletariato irlandese, cade nel tranello dell’alcool. Beve talmente tanto che presto inizia a soffrire di fegato. Continua a suonare fino a quando non si rende necessario l’estremo rimedio, un pericoloso trapianto.

La sua morte

Siamo nel 1994 e le cose non vanno come sperato: il 14 giugno del 1995, per le complicazioni dovute all’operazione, Rory Gallagher muore a soli 47 anni.

Tutte le televisioni irlandesi e perfino la BBC inglese interrompono le trasmissioni per darne l’annuncio. In Gran Bretagna – a differenza che da noi – Rory è un personaggio leggendario, forse il solo capace di unire inglesi e irlandesi. I suoi funerali, a cui partecipa la folla delle grandi occasioni, vengono trasmessi in diretta nazionale alla televisione.

Rory Gallagher compirebbe oggi 72 anni e non ci vuole poi troppa fantasia a immaginarlo ancora sul palco, invecchiato e con la fida Stratocaster, a dispensare il suo blues d’altri tempi, con la camicia a scacchi, i lunghi capelli bianchi, la bottiglia e tutto quanto.

Non è andata così. Peccato.

— Onda Musicale

Tags: Eric Clapton, Keith Richards, Jimi Hendrix, Mick Jagger, Jimmy Page, Mick Taylor
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