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In The Wake Of Poseidon, il secondo capitolo dei King Crimson

King Crimson, In The Wake Of Poseidon

Quando il 15 maggio del 1970 “In The Wake Of Poseidon” arriva nei negozi di dischi inglesi, il primo lavoro dei King Crimson è uscito più o meno da sette mesi.

Siamo in un’epoca di estrema creatività, le band sono realtà vulcaniche sempre in eruzione; difficilmente passa più di un anno tra un disco e l’altro e i King Crimson del geniale Robert Fripp in questo senso non fanno eccezione. “In The Court Of The Crimson King”, l’esordio, rappresenta ancora oggi una pietra miliare del rock, non solo quello progressivo.

Anzi, pur non essendo in senso strettamente cronologico il primo disco riconducibile al genere, è quello che più di ogni altro ne ha tracciato le coordinate stilistiche: atmosfere fiabesche e fantasy, cambi di ritmo e crossover tra rock, jazz e musica classica, oltre a una trama blandamente concept.

Il disco – a sorpresa – fu da subito un successo, anche grazie all’inquietante copertina di Barry Godber, che pur scioccando il pubblico aveva quasi un potere ipnotico nello spingere ad acquistare quel disco di una band semisconosciuta, il cui nome non appariva nemmeno stampigliato.

Nonostante l’accoglienza incredibilmente positiva del disco, il ribollire magmatico della creatività di quel periodo irripetibile, fece sì che gli equilibri quasi miracolosi della formazione esordiente durino un attimo.

Il lavoro è a malapena uscito che Ian McDonald già se ne è andato, mentre Greg Lake abbandonerà durante le session del seguito per formare gli altrettanto fortunati Emerson, Lake & Palmer. Negli anni successivi i King Crimson diverranno una creatura esclusiva di Robert Fripp, che ne terrà le redini con fare quasi dittatoriale e cambiando formazione continuamente, eppure all’inizio la situazione era ben diversa. I King Crimson erano una vera band, costituita da talenti irripetibili, e la dittatura di Fripp fu all’inizio una reazione quasi dovuta alle tante defezioni.

Fatto sta che “In The Wake Of Poseidon”, registrato quasi contestualmente al primo album, risente solo in parte della situazione esplosiva del gruppo e finisce infatti per ricalcare le atmosfere dell’esordio. Solo la mancanza di McDonald si fa sentire, a tratti, piuttosto pesantemente. L’album finisce così per essere ricordato quasi come una copia sbiadita del più illustre predecessore, forse non del tutto a torto.

Se però proviamo ad avvicinarci a quest’opera senza considerare tutto ciò che ne condiziona il giudizio dall’esterno, è pur vero che ci troviamo di fronte a un disco sontuoso che ancora oggi ha molto da insegnare a chiunque si avvicini al genere progressivo.

L’album

L’apertura è affidata al malinconico canto di Lake, solitario e riverberato come se fosse dentro una cattedrale, in “Peace – A Beginning”, un tema che verrà poi ripreso due volte, a metà e alla fine del disco. Si passa, senza soluzione di continuità come usa nel prog, a “Pictures Of A City”.

Il brano, un robusto rock con tanto di riff orecchiabile, ha la stessa funzione di apertura coi fuochi d’artificio che aveva la ben più celebre “21st Century Schizoid Man”; nonostante sia un ottimo pezzo, risulta meno efficace del prototipo, sebbene una riuscita vena jazz lo renda alla lunga altrettanto interessante. La canzone è in realtà coeva di “21st Century Schizoid Man”, tanto che veniva già suonata live nel ’69, col titolo di “A Man, A City”; il testo – curato come per il precedente lavoro da Pete Sinfield – parla dell’alienazione delle grandi città e si dice fosse ispirato a New York.

Cadence And Cascade” è uno dei più bei pezzi del primo Fripp, quello ancora legato a doppio filo con la melodia e con la forma canzone; cantata da Gordon Haskell, la voce che sostituirà Lake ma che qui appare solo in questo brano, presenta atmosfere simili alla celebre “I Talk To The Wind”, a conferma di una struttura che, almeno nella prima facciata, sembra ripetere in modo quasi pedissequo quella dell’esordio.

In The Wake Of Poseidon” è la title track e chiude fastosamente il primo lato del vinile originale. Seguendo il canovaccio di cui abbiamo detto, il brano ripropone le atmosfere cupe ma al tempo stesso fiabesche della bellissima “Epitaph”, e lo fa da par suo, risultando una composizione davvero perfetta. Il problema è sempre lo stesso, se non ci fosse un precedente ancor più illustre la questione sarebbe ben diversa, eppure “In The Wake Of Poseidon”, presa di per sé, è una delle più belle canzoni della storia del rock progressivo.

La seconda facciata si apre con la ripresa del tema iniziale, stavolta affidato alla maestria chitarristica di Robert Fripp: un breve strumentale dal forte impatto melodico, che ricorda certe cose future di Lake negli ELP. Il pezzo lascia spazio a “Cat Food”, un brano dove la rottura col primo disco finalmente si consuma. Su un tappeto ritmico in tutto e per tutto jazz si inserisce la parte cantata di Lake, che sta tra un pezzo cabarettistico e certi rimandi ai Beatles più rock, tanto che la voce di Greg ricorda quasi il McCartney più arrabbiato.

Ma è la suite “The Devil’s Triangle” il momento che segna il definitivo distacco dalle suggestioni dei primi King Crimson e che – non si sa quanto consapevolmente – segna la rotta per il futuro. Ispirata al “Triangolo delle Bermuda” – e tutto il disco ha come concetto portante il mare – ma giocando anche con l’uso del tritono, il celebre “diabolus in musica” medievale, la composizione va avanti per oltre undici minuti, ritmati e cupi fin quasi a risultare minacciosi, proponendo cambi di ritmo e di atmosfere.

Il pezzo è diviso in tre movimenti, “Merday Morn”, “Hand Of Sceiron” e “Garden Of Worm”. La prima parte cita in chiave elettrica il brano “Mars – The Bringer of War”, tratto dalla pièce sinfonica “I pianeti” di Gustav Holst. La seconda parte, la più cupa, introdotta dal suono del mellotron di Fripp che pare quasi una sirena, è un crescendo infernale quasi angosciante che porta a una brusca interruzione col suono violento del vento – quasi una tempesta marina – che ci traghetta verso l’ultima parte che si dipana all’insegna di un frenetico free jazz. Sicuramente la parte meno digeribile per i fan del rock, tuttavia una grande pagina di creatività, altamente propedeutica ai futuri sviluppi del progetto.

La chiusura è affidata – in una struttura a cerchio – alla terza parte di “Peace”, che stavolta unisce le due parti precedenti, col soave canto di Lake e l’ispirata chitarra di Fripp.

Le nostre conclusioni

Come per “In The Court Of The Crimson King”, anche in questo lavoro la copertina denota un grande lavoro di ricerca artistica, pur se meno impattante dell’esordio; il quadro raffigurato è un’opera del pittore Tammo De Jongh, del 1967, e si intitola “The 12 Archetypes” or “The 12 Faces of Humankind”.

Era stato commissionato all’artista da John De Monte, discusso studioso di omeopatia (per il senso che può avere la definizione), e raffigura dodici volti, ognuno dei quali rappresenta un archetipo: La bambina, La donna malinconica o L’incantatrice, Il Joker, L’attrice, Il Mago, La natura, Lo scienziato, Il clown buffone, Il guerriero, Lo schiavo, Il patriarca e La vecchia. A testimonianza di un forte legame tra musica e immagini, Sinfield dedica due versi per ogni personaggio nel brano che dà il titolo al disco.

In conclusione, qual è il giudizio che possiamo arrischiare, dopo cinquant’anni esatti, per questo “In The Wake Of Poseidon”? “Un grande disco e un disco deludente” al tempo stesso, ha detto qualcuno, e il paradosso non è poi così campato in aria. “In The Wake Of Poseidon” è un album di una bellezza cristallina e di una perfezione formale quasi assoluta.Non essere all’altezza del capolavoro precedente è il suo difetto maggiore e anche se il secondo lato ne inficia leggermente la compattezza stilistica, fa sì che anche questo disco si ritagli la sua importanza storica, proprio nel preannunciare gli sviluppi futuri del genio multiforme di Robert Fripp.

— Onda Musicale

Tags: King Crimson
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