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Sesso, droga e Rock’n’Roll: il 1969 dei Rolling Stones [Parte Prima]

Let It Bleed. Lascia che sanguini. Titolo abbastanza sinistro, se consideriamo che il 1969 era stato funestato da una lunga scia di sangue iniziata in Gennaio con il sacrificio di Jan Palach a Praga (fortissima protesta contro la durezza dell’intervento sovietico nel Paese l’anno precedente).

E che che aveva visto in Agosto il terribile omicidio di Sharon Tate (leggi l’articolo) ad opera della setta di Charles Manson, e che si era concluso in Dicembre con le inenarrabili violenze al concerto californiano di Altamont (il 6), nonché con l’impressionante attentato di Piazza Fontana (il 12). Era il preludio al nuovo decennio, che prometteva di essere bello tosto, diversamente dal sognante ottimismo di quello che si stava per concludere.

Anche i Rolling Stones, durante quei difficili mesi, avevano subito la loro tragedia. In un 1962 che pareva lontano anni luce, nel celeberrimo Marquee Club di Londra, Brian Jones (1942) aveva dato vita a quello che si sarebbe rivelato uno dei più grandi gruppi rock a livello mondiale (lo è tuttora, visto che a fine Aprile ha pubblicato l’ultimo singolo, “Living In A Ghost Town”, riflessione sulle nostre città colpite dalla pandemia).

Sul finire del decennio, Jones era andato a cacciarsi nella strada senza uscita della tossicodipendenza. L’abuso di droghe gli aveva non solamente compromesso irrimediabilmente la salute, ma aveva inciso in modo decisivo sul rapporto con i suoi compagni di avventure: vedendo che si era trasformato in un soggetto altamente inaffidabile, Jagger e soci l’avevano progressivamente relegato a ruoli che definire secondari è dir poco (in “Let It Bleed suona alcuni strumenti in due sole tracce del disco). La fine del rapporto tra il valente polistrumentista e i suoi ex-amici si consumò a Giugno 1969, quando gli venne comunicata l’espulsione dalle fila del gruppo. Si era giunti al culmine. Circa un mese dopo, il 3 Luglio, il musicista fu rivenuto nella piscina di casa sua, affogato in modo accidentale.

Due giorni dopo il gruppo – insieme ad altri artisti – commemorò Jones esibendosi in un concerto gratuito nell’ambientazione londinese di Hyde Park. L’apparente ritiro dalle scene degli Stones (iniziato nel 1966) si era concluso con un gruppo pronto a ritornare sulla scena delle esibizioni dal vivo, oltretutto con un nuovo chitarrista: su consiglio del grande John Mayall – fondatore dei Bluesbreakers – i quattro musicisti avevano reclutato un giovane ma promettente Mick Taylor (n. 1949), il quale sino al 1974 avrebbe contribuito in modo decisivo a dare agli Stones il classico suono che ancor oggi riconosciamo loro come marchio di fabbrica. In quei concitati giorni dell’estate 1969 Taylor non poté fare altro che limitarsi al debutto, dato che era stato assunto pochissimo tempo prima, oltre al fatto che Jagger era preoccupato circa la possibile reazione del pubblico di fronte al nuovo arrivato.

Taylor oltretutto si inseriva in un progetto discografico già in avanzata fase di lavorazione. Sicché nell’immediato non poté fare altro che effettuare delle sovraincisioni su quanto era già stato registrato.

Quello che sarebbe stato il nuovo album, originariamente (e provvisoriamente) intitolato Automatic Changer (cambio automatico) – e trasformatosi in quel “Let It Bleed che sembrava fare il verso al futuro ultimo disco dei Beatles, aveva iniziato a prendere forma a fine 1968, dato che durante il Rock and Roll Circus – carovana televisiva tra i cui ospiti vi erano anche Lennon e Clapton – gli Stones avevano eseguito “You Can’t Always Get What You Want”: nella versione finale il pezzo, con il contributo del London Bach Choir, aveva chiaramente assunto un’inconfondibile impronta gospel.

Nei suoi versi, la canzone riassumeva i principali temi del decennio nonché le sue tensioni: l’amore, la politica e le droghe. Nonostante non fosse sempre possibile ottenere ciò che si voleva, alla fine il realismo del testo si traduceva in uno spiraglio di cauto ottimismo (“but if you try sometimes […] you might find, you get what you need”).

Il gospel di “You Can’t Always Get What You Want” non era un’anomalia nella tavolozza cromatica di “Let It Bleed“: dopo l’eclettismo del biennio 1966-1967, quando la produzione musicale aveva recepito l’onnipresente moda psichedelico-orientale (pur con risultati interessanti), gli Stones avevano scelto di ritornare sulla loro strada originale, quel blues potenziato dall’incontro con il rock. Il cambio di rotta è esemplificato dall’album “Beggars Banquet (pubblicato il 6 Dicembre 1968), in cui le sonorità sono pressoché totalmente prese in prestito dall’universo musicale americano.

Una sintetica ma esaustiva analisi di “Let It Bleed” la affronteremo nella seconda ed ultima puntata. Non perdetevela!

— Onda Musicale

Tags: The Beatles, Brian Jones, Sharon Tate, Charles Manson, Mick Taylor, John Mayall, Beggars Banquet, Let It Bleed, The Rolling Stones
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