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Sesso, droga e Rock’n’Roll: il 1969 dei Rolling Stones [Parte Seconda]

Let It Bleed, se accostato al predecessore, ne accentua le sfumature americane, così tanto da sembrare un vero disco realizzato in patria da una vera band statunitense e non un abile tentativo – da parte un gruppo inglese al 200% – di scimmiottare stili e mode a stelle e strisce.

Notevole differenza rispetto ai Kinks, se pensiamo che il loro celeberrimo Muswell Hillibillies (1971) è l’America vista – sia in casa che all’estero – dagli occhi di un inglese che mantiene comunque la sua identità.

Tornando al disco, il timbro gospel lo troviamo anche nel brano di apertura, quell’energica “Gimme Shelter” che Richards scrisse prendendo spunto dal fatto che la gente cerca riparo quando scoppia un temporale improvviso: nel testo il temporale che si abbatte sulle persone è quello della guerra e della violenza in genere, declinate in tutte le loro sfumature (non dimentichiamoci che nell’ultimo periodo degli anni Sessanta la Guerra del Vietnam stava toccando il suo punto più basso in termini di vite spezzate. La violenza si esprimeva anche nella repressione delle manifestazioni pacifiste nonché nei disordini sociali alimentati dai disagi di ampi strati della società).

Spostandoci verso gli altri brani, notiamo come i generi predominanti siano il country, il blues, nonché il rock, variamente combinati tra di loro, tant’è che ci troviamo di fronte a stili come il country-blues (che possiamo ascoltare in“Love in Vain” – brano la cui paternità venne successivamente riconosciuta al bluesman Robert Johnson – nonché in “You Got The Silver”, prima esibizione in assoluto di Richards come unica voce del pezzo), e il country-rock (come nel caso di “Let It Bleed”, da cui il titolo dell’album, pezzo che – nonostante il titolo suoni sinistro – si ricorda come tra i più espliciti nella discografia del gruppo inglese, dati i palesi riferimenti a droga e soprattutto al sesso).

“Live With Me” e “Midnight Rambler” sono un genere a sé stante, dato che rappresentano il cosiddetto Chicago Blues, una variante del genere caratterizzata da un suono più aggressivo e corposo, costruito sul dialogo tra basso, batteria e armonica a bocca. Dei due pezzi in questione, il primo resta impresso per una sensualità incarnata da basso e sax tenore, meravigliosi nel loro suono corposo, mentre il secondo incanta l’ascoltatore per l’ipnotica spirale tra batteria e armonica.

Il suono di quest’album possiede una qualità che lo rende di un’attualità straordinaria! Due parole sui due brani restanti. “Monkey Man” è un omaggio rock all’artista italiano – esponente della pop art – Mario Schifano, personaggio abbastanza controverso per via del suo rapporto con le droghe: non a caso, il termine “monkey” si riferisce a problemi che una persona si porta appresso, una zavorra sulle spalle simile ad una scimmia, per l’appunto. Anche in questo caso, la scena tratteggiata dal testo oscilla tra l’ambiguo e lo squallido. “Country Honk” è un classicissimo esempio di genere country, per l’appunto: interessante è ricordare come il brano, pur con qualche modifica del testo, si sia trasformato nel rock di “Honky Tonk Women”, pubblicato come singolo il 4 Luglio 1969.

Anche in questo testo troviamo riferimenti più o meno velati al sesso, dato che il protagonista incontra una honky tonk woman, cioè una ballerina che si esibisce in locali poco raccomandabili e che occasionalmente esercita anche come prostituta. Tra le due versioni del pezzo, sinceramente preferisco quella del singolo.

In conclusione, non manchiamo di spendere qualche parola sull’inconfondibile copertina del disco, entrata a buon diritto nella Storia della Musica (esattamente come quelle dei Beatles): l’artista Robert Brownjohn (1925-1970) realizzò una torta surreale che – dal basso verso l’altro – era costituita da un vinile suonato dal braccetto di un vecchio fonografo, un quadrante di orologio da muro, una pizza, una ruota [di motocicletta?], e una torta di pan di Spagna e frutta candita [opera di Delia Smith] sulla cui sommità vi erano delle statuine che raffiguravano i membri del gruppo. La torta faceva una brutta fine, dato che sul retro del disco la troviamo mezza mangiata e soprattutto distrutta.

— Onda Musicale

Tags: The Rolling Stones, Robert Johnson, Kinks, Let It Bleed
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