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Sognare l’America in mezzo al caos: il 1968 dei Rolling Stones [Parte Seconda]

Quanto agli altri pezzi, “No Expectations” è un blues malinconico sulla solitudine che ci pervade dopo che è finito un amore.

La chitarra di Jones (una delle sue ultime partecipazioni effettive al processo creativo del gruppo), suonata con la tecnica della slide guitar, il pianoforte e l’organo suonati dal celeberrimo Nicky Hopkins (a lungo session man dei Kinks), rendono tangibile lo stato d’animo del protagonista, solo con sé stesso.

“Dear Doctor”, palese esempio di country. La scelta di questo stile – probabilmente una passione di Jagger, che egli intende omaggiare con una leggera punta di umorismo – sembra precorrere alcune delle sfumature di Let It Bleed. La canzone racconta una delle situazioni più spiacevolissime che possano capitare a un futuro sposo, cioè l’essere abbandonati dalla propria compagna poco prima di raggiungere l’altare. La nota umoristica del pezzo è il falsetto con cui Jagger riporta le parole scritte dalla donna al suo ormai ex compagno, ammettendo di non aver avuto il coraggio di dirgliele in faccia: è fuggita in Virginia con il cugino dello sposo.

“Parachute Woman”: blues dal suono grezzo e sporco, il cui testo non lascia spazio a fraintendimenti; il protagonista chiede a questa donna, evocata sin dal titolo, di paracadutarsi “atterrando su di lui” (“land on me tonight”). Sempre nel testo, il protagonista invita la donna ad unirsi a lui per una “cavalcata”. Bricconcelli!

“Prodigal Son”: uno dei pochi brani del disco ad essere blues al 200%. A lungo fu erroneamente attribuito alla penna di Jagger e Richards, nonostante fu dimostrato essere una composizione di Robert Wilkins, musicista blues diventato pastore protestante. Non a caso il titolo e il testo della canzone raccontano in musica la famosissima parabola del figliol prodigo.

“Stray Cat Blues”: all’accenno sensuale e ammiccante di Jagger segue un ritmo scandito dall’hi-hat della batteria e pianoforte (arrangiamento di un suono attualissimo), elementi su cui è costruito un altro testo non esplicito come “Parachute Woman”, ma comunque fortemente allusivo. Il protagonista si rivolge ad una quindicenne dicendole che se salirà al piano superiore ci sarà una “festa”, ma giustifica le proprie intenzioni dicendo che, in fondo, non è un “crimine capitale”. In una delle strofe conclusive invece ricorda che la ragazza una volta gli ha parlato di un’amica “più selvaggia di lei”, motivo per cui estende l’invito anche all’altra, ovviamente non per una partita a briscola.

“Factory Girl”: il violino del futuro Blind Faith Rick Grech, il mellotron di Hopkins che suona come un mandolino, le congas di Rocky Dijon e i tabla indiani (percussioni) suonati da Watts con le bacchette anziché con le mani creano una tessitura sonora peculiare e unica, in cui si intrecciano sfumature country a nuances africane. Il protagonista ce lo immaginiamo intento ad aspettare la ragazza con cui si vede. È una “factory girl”, cioè un’operaia, dal momento che i suoi vestiti hanno cerniere e sono macchiati. È un tipo originale, dal momento che ama indossare turbanti che altro non sono che sciarpe avvolte sulla testa, ed è un maschiaccio, dato che lei e il narratore amano ubriacarsi il venerdì sera, ingaggiando risse nei locali dove vanno.

“Salt Of The Earth”: esempio di soul-blues, cantato sia da Jagger che da Richards. Il “sale della Terra” – nota immagine evangelica – sono gli uomini e le donne della classe operaia, costretti a fare lavori che spaccano la schiena. Il pezzo, stando a ciò che è riportato su Internet, pare essere stata ispirata da John Lennon. Alla classe operaia “sale della Terra” brindano Jagger e Richards, ma – come ci si aspetterebbe in una canzone di protesta – non seguono denunce esplicite della sua condizione e proposte di un trattamento più umano. La cosa induce a pensare che i due musicisti osservino la massa con distacco, ma ritengo che non ci si debba far trarre in inganno. La melodia del brano, potenziata da un coro gospel, lo inquadra come un inno davvero positivo, stilisticamente anticipatore di “You Can’t Always Get What You Want”.

In conclusione, due parole sulla copertina: divenuta celeberrima grazie allo scandalo da essa suscitato, dato che lo scatto fotografico raffigura la sommità di uno sciacquone, lurido come il bagno in cui si trova, un vero cesso, dato che sulla parete non c’è un centimetro quadro che sia libero da scritte e disegni più o meno volgari (insomma, il classico gabinetto da autogrill, dove la gente – esattamente come nell’antica Roma – lascia un segno del proprio passaggio). Il tocco originale sono i titoli delle canzoni che, scritti a mano, si mimetizzano in mezzo agli altri graffiti.

La Decca Records, evidentemente turbata da simile immagine indecorosa, pubblicò l’LP con una copertina censurata: uno spazio bianco in cui vi campeggiavano solamente nome del gruppo e titolo dell’opera, scritti in un corsivo davvero educato.

La ristampa (in formato CD) diBeggars Banquet ripristinò non solamente la copertina originale, divenuta iconica e inconfondibile, ma anche la velocità corretta del disco, dato che per più di trent’anni il pubblico l’aveva ascoltato con un timbro più basso rispetto a quello “reale”.

— Onda Musicale

Tags: John Lennon, The Rolling Stones, Beggars Banquet, Nicky Hopkins
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