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David Bowie e l’apocalisse del 1972

David Bowie

Ed un giorno arrivò l’apocalisse. Correva l’anno 1972 quando un certo David Bowie, per noi solo “Il Duca Bianco”, pubblicava un capolavoro assoluto, “The rise and fall of Ziggy Stardust and the spiders from Mars”, comunemente chiamato anche “Ziggy Stardust”.

Certo, il genio di Bowie era uscito anni prima, ma quest’opera ne sancisce la definitiva consacrazione in ambito glam rock. Accattivante e prepotente, “Il Duca Bianco” fa della chitarra il suo strumento di tortura teatrale, andando a conquistare ogni tipo di pubblico con look aggressivi e molto ambigui, direi ai limiti della sopportazione umana. Provocante e visionario, David stende un album dai contenuti clamorosi, intrisi di scienza e fantascienza, appena tre anni dopo lo sbarco dell’Apollo sulla luna. Cosa che all’epoca era abbastanza destabilizzante, tanto da mettere i suoi fans in una condizione di pura estasi musicale.

Successi come “Starman” e “Ziggy Stardust” non si creano per puro miracolo, sono l’espressione vivente di un’artista diventato coerente con se stesso a tutti gli effetti, con il proprio credo e la propria musica.

L’album in se stesso rappresenta una pietra miliare del genere, consacrando il Duca come maestro di vita delle future generazioni glam. Intenso ed estremamente fascinoso, questo progetto vede impegnato un giovane ragazzo superstite di un mondo sull’orlo del collasso, che con l’aiuto di un bizzarro e sconosciuto alieno, riesce a diventare una piccola rockstar. Solo per questo l’album dovrebbe essere ascoltato ed imparato a memoria, ma ci sono altri motivi che spingono alla curiosità.

Ziggy, il giovane talento umano, rappresenta un’icona a livello musicale, in grado di scombussolare i meccanismi di una frequenza sonora stereotipata e molto piatta. Lo stesso Bowie definisce il ragazzino come una specie di super-eroe in grado di comunicare con forze estranee alla conoscenza umana, attraverso una piccola radio che accendendosi, a suon di musica, trasmette sonorità percepibili anche da entità non terrestri. In realtà, come spiegò lo stesso Bowie, l’appellativo Ziggy, derivava dal nome di una fantomatica sartoria di Londra, visionata dall’artista durante un viaggio in treno.

Credo che i brani contenuti in questo album siano assolutamente i migliori che David Bowie abbia scritto, i più validi a livello musicale e stilistico. Un assaggio di futuro. Le influenze di artisti come Iggy Pop e Lou Reed sono evidenti, tuttavia la vera ispirazione del Duca fu un’artista eccentrico e “pazzo” nel vero senso della parola, tale Vince Taylor. Convinto del legame tra UFO, terra e Dio, Taylor fu una fonte di inesauribile potenza artistica per il nostro magico David, che attinse da lì preziosi elementi utili alla costruzione dell’album.

Lavoro eccezionale, “Ziggy Stardust” risulta tutt’ora un’opera esempio per gli amanti del vero rock, sofisticata ed estremamente attuale, visto anche il periodo che stiamo passando.

A mio modesto parere, “Rock’n’Roll Suicide”, costituisce la vera punta di diamante di questo album stratosferico. Il brano, di incredibile intensità, racconta gli ultimi giorni del povero Ziggy e si chiude poi con una profonda riflessione del Duca sui significati della vita e dell’esistenza, approfondendo in modo significativo la sfera della giovinezza.

Consigliandovi caldamente questo straordinario capolavoro, vi lascio con una massima di David Bowie, diventata nel corso degli anni, una vera e propria chicca di saggezza:

Ho sempre avuto un bisogno ripugnante di essere qualcosa di più che umano. Mi sono sentito insignificante come umano. Ho pensato “fanculo, voglio essere un superuomo”

Con questo è tutto ragazzi, se siete d’accordo nei prossimi giprni andremo a scoprire qualche piccolo segreto su un cantautore italiano pazzesco, poeta e musicista allo stesso tempo, un certo Ivano Fossati …

Stay tuned.

— Onda Musicale

Tags: Lou Reed, Iggy Pop, David Bowie
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