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Texas, chitarre e lunghe barbe: l’esordio degli ZZ Top

Pensi al 1969, al rock e all’America e subito ti vengono in mente i figli dei fiori, i grandi raduni come Woodstock e le stagioni di amore, musica e pace.

Tutto vero, certo, ma è pure vero che, allora come oggi, la minoranza della controcultura a stelle e strisce faceva molto rumore e sfornava grandi artisti, ma era pur sempre una nicchia rispetto al tradizionalismo degli stati del sud, che sarebbe esploso col fenomeno musicale reazionario del southern rock; ebbene, proprio nella roccaforte dell’America meno progressista, quel Texas fatto di sceriffi di paese, armi e religione, un giovane chitarrista dalle mani magiche si mette in testa di fondere il blues elettrico più tradizionale e il rivoluzionario rock psichedelico; quel giovane si chiama William Frederick Gibbons e alla sua band dà il nome di Moving Sidewalks. “Flash”, il disco d’esordio di questo combo che si rifà ai Cream e alla Jimi Hendrix Experience, passa quasi del tutto inosservato negli USA. In Texas però garantisce fama a sufficienza per far sì che la band faccia da spalla a complessi come i Doors e a quello dell’idolo Jimi Hendrix.

Gli ZZ TOP al loro esordio

Narra la leggenda che proprio nel backstage di uno dei live aperti per la Experience, sia lo stesso Billy Gibbons a svelare i segreti della chitarra slide al mancino di Seattle; certo, la storia pare un po’ forzata, quello che è sicuro è che Jimi, in una puntata del “Tonight Show” di Johnny Carson, indica nello sconosciuto Gibbons uno dei suoi chitarristi di riferimento.

L’insuccesso del disco fa tuttavia la sua vittima nella band stessa, che si scioglie, ma getta i semi per una versione riveduta e corretta. Gibbons individua in Joseph Michael “Dusty” Hill e Frank Beard la sezione ritmica che ha in mente; i due suonano negli American Blues, altra band texana più ligia ai comandamenti della musica del Diavolo. Il nome ZZ Top nasce, almeno così pare, ispirato da due idoli di Gibbons, Z.Z. Hill e B.B. King; altri ipotizzano una scelta di marketing – francamente improbabile per l’epoca – per assicurarsi un posto privilegiato negli scaffali dei vinili, all’ultimo posto in ordine alfabetico. L’arrivo del capace manager Bill Ham, che rimedia un ingaggio alla London Records e un posto ai Robin Hood Studios per registrare, prelude all’esordio dell’iconica band.

Il primo lavoro degli ZZ Top si intitola semplicemente “ZZ Top’s First Album” e propone dieci pezzi che mettono da parte quasi completamente gli slanci psichedelici dei Moving Sidewalks – e del resto nel 1971 l’ondata psych è bella che andata – in favore di un sound grezzo e roccioso e di un repertorio di una compattezza granitica. Il successo non è certo di grandi proporzioni, e così sarà per il sequel “Rio Grande Mud”, ma il disco riceve un certo apprezzamento da parte di pubblico e critica; con “Tres Hombres”, trascinato dal successo di “La Grange”, un infuocato boogie dedicato a un celebre bordello e al limite del plagio di un vecchio blues di John Lee Hooker, la band spiccherà il volo. Una traiettoria, quella del power trio texano, che attirerà etichette major ma che non passerà indenne attraverso gli anni ’80. Dischi come “Eliminator” centreranno il grande successo di pubblico, tra video su MTV e milioni di copie vendute, ma la band pagherà dazio alla qualità, infarcendo gli arrangiamenti di sintetizzatori patinati e batterie elettroniche, giocandosi parte della credibilità prima di tornare al sound grezzo e fascinoso degli esordi.

Ma parliamo di “ZZ Top’s First Album”.

Si parte con “(Somebody Else Been) Shaking Your Tree” e le carte sono subito in tavola: storie di ordinari tradimenti e i temi classici del blues, abbinati a un sound da locale malfamato. La sezione ritmica è una vera e propria locomotiva, col basso di Dusty Hill in particolare evidenza a tracciare le coordinate; ma è la chitarra di Billy Gibbons la vera attrazione del luna park ZZ Top. Ogni pezzo pare studiato per portare la tensione alle stelle prima del climax decisivo dell’assolo di Billy. La vocalità di Gibbons è forzata e volutamente sporca, e ben si amalgama con gli episodi in cui Hill si prende il microfono; il lavoro di Billy alla sei corde è encomiabile, addirittura pare quasi più centrato dei successivi lavori, proponendo già in questo primo pezzo un assolo al fulmicotone ma mai eccessivamente sopra le righe, con un suono sì saturo, ma abbastanza rotondo ed efficace da deliziare i puristi blues.

E proprio il blues è protagonista di “Brown Sugar”, seconda traccia e uno dei pezzi più riusciti del lavoro. Si parte con la chitarra di Gibbons che traccia nel silenzio dei bellissimi e puliti lick a note singole, alternandosi con la voce; la sensazione è quella di trovarsi nel patio di qualche ranch texano, una sorta di downhome blues elettrico. Un paio di minuti ed entrano tutti gli altri strumenti, trasformando il pezzo in un roccioso rock blues col solito solo elettrizzante di chitarra.

La successiva “Squank” è un pezzo che illustra particolarmente bene il sound dei tre texani. Il basso di Hill – che si alterna al canto con Gibbons – mena le danze con sicurezza e con un suono rotondo e pieno quasi funk; tra una strofa e l’altra, cantata sempre come se i due avessero bevuto qualche birra di troppo, si dipanano efficaci assoli di chitarra, a ricordare chi è il vero protagonista del progetto.

Goin’ Down To Mexico”, ancora cantata da Dusty Hill, è uno dei vertici dell’album. Il riff e tutta la ritmica sono magicamente sospesi tra blues e hard rock, ma non si devono prendere a pietra di paragone le raffinatezze tecniche degli albionici Led Zeppelin e Deep Purple: il suono degli ZZ Top è quanto di più americano si possa immaginare, pare quasi di sentire in gola la polvere di qualche deserto texano al confine col Messico. Il testo e la vocalità di Hill sembrano evocare una situazione da film di Quentin Tarantino, mentre un cambio di ritmo, che si fa tremendamente incalzante, introduce l’assolo di Gibbons, che si concede ad atmosfere leggermente più sperimentali che nel resto del disco.

Old Man” scompiglia un po’ le carte in tavola fino ad ora; una ballatona tipicamente southern, con la ficcante chitarra di Gibson che occupa tutti gli spazi disponibili, a volte fin troppo verrebbe da dire, anticipando le sonorità dei Lynyrd Skynyrd e di pezzi come “Simple Man”. Tuttavia è il primo momento in cui gli ZZ Top mostrano qualche cedimento: la formula ballata non dosa ancora gli ingredienti al punto giusto, ma ci sarà tempo per rimediare.

Il lato “B” si apre con “Neighbour Neighbour”, di nuovo un hard blues roccioso e grezzo al punto giusto, con un testo che non fa certo venir voglia di avere i texani come vicini di casa e il solito lavoro  di fino di Gibbons alla chitarra; tuttavia le atmosfere sono molto simili a “Goin’ Down To Mexico” e la ricetta inizia a sapere un po’ troppo dello stesso sapore. In pratica, pur rimanendo la qualità alta, gli ZZ Top non brillano certo per varietà; eppure il loro fascino è anche questo: coi texani sai già esattamente cosa aspettarti, senza rischi di grosse delusioni. Lo stesso discorso vale per la successiva “Certified Blues”, più sbilanciata verso le dodici battute, come da titolo, per “Bedroom Thang” – che anticipa certi blues futuri e il cui testo attirerebbe accuse di sessismo più che giustificate, se proposto oggi – e per la bella chiusura di “Backdoor Love Affair”, un hard blues dal forte tiro che anche qui non brilla per buon gusto nelle liriche.

In mezzo si pone “Just Back From Baby’s”, episodio particolare nel canzoniere ZZ Top; simile per certi versi a “Red House” di Jimi Hendrix, è un blues lento dove Billy Gibbons fa scintille sia alla voce, sia alla chitarra, sfoderando un suono che difficilmente da allora in poi sarà altrettanto pulito e gustoso. Un esempio di come una band bianca di giovanotti texani possa impadronirsi degli stilemi blues più classici e plasmarli creando qualcosa di nuovo. Eccellente anche il lavoro, per quanto grezzo, di Hill al basso.

ZZ Top’s First Album” è un esordio che lascia il segno, forse più a posteriori, e infatti il disco è stato molto rivalutato negli anni, proponendo tre giovanissimi musicisti forse ancora incerti sulla strada da percorrere, ma in stato di grazia; una semplicità che ancora oggi tante band che si ispirano a quel periodo faticano a ricreare.

Negli anni gli ZZ Top si trasformeranno in un carrozzone arraffa dollari, complici le trovate di Bill Ham che impone le lunghe barbe e li manda in tour con una sorta di circo che propone serpenti, cactus, cowboy e atmosfere da saloon; in poche parole, tutti i luoghi comuni del Texas, fino allo sbandamento elettronico degli anni ottanta.

Oggi i tre texani continuano a incidere, accolti in tutto il mondo come venerabili maestri, specie Gibbons che è ancora una vera superstar, con tanto di partecipazioni attoriali a serie come “Bones” e offerte milionarie per tagliare l’iconica barba.

A proposito, Frank Beard – che in inglese vuol dire “barba” – è l’unico dei tre a non sfoggiare la celebre, lunghissima zazzera; quando si dice l’ironia della sorte.

— Onda Musicale

Tags: Led Zeppelin, Jimi Hendrix, ZZ Top, Deep Purple, Lynyrd Skynyrd
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