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Disintegration: croce e delizia dei Cure e di Robert Smith

Di certo quando Robert Smith iniziò la sua carriera nel lontano 1976, non pensava di arrivare un giorno ad essere menzionato come uno degli artisti punk (o post-punk?) più importanti del pianeta.

Proprio lui, irriverente, eccentrico, a volte maledettamente depresso, ma incredibilmente bravo. Ebbene sì, la musica non fa distinzioni di genere, non fa distinzione d’immagine, anzi, per certi versi i personaggi più “strani” finiscono spesso col rovinare la scena a stili e modelli banali e molto piatti.

I Cure, questi sconosciuti.

Tre ragazzi spuntati dal nulla, dal vecchio Sussex inglese, improvvisati ma centrati allo stesso tempo, classici ma rivoluzionari, capaci di miscelare benissimo diverse correnti artistiche per certi versi altamente contrastanti tra di loro. Quando dici Cure dici punk, ma anche pop ed anche gothic. Per questo definire i Cure diventa terribilmente difficile, impresa ardua, anche perché lo stesso gruppo non riesce a categorizzare con precisione il proprio stile musicale.

Siamo a fine anni settanta, nel pieno avvento della musica new wave.

Un trio pieno di verve formato da Robert Smith, Michael Dempsey e Lol Tolhurst, irrompe di brutto sulla scena musicale britannica sfornando melodie orecchiabili e molto intense, brillanti ed allo stesso tempo un po’ dark, sconvolgendo uno scenario di puro punk. Una formazione destinata poi a cambiare diverse volte con l’innesto di altri artisti, ricca di frammentazioni interne, dove la voce ed il virtuosismo di Smith rappresenteranno sempre il vero e proprio punto di riferimento della band.

I Cure, questi dannati.

Capaci di scalare le classifiche mondiali con successi del calibro di Boys Don’t Cry (ispirato ad idee tipicamente anni sessanta, dal sapore nostalgico ed anticato) per poi finire censurati dal singolo Killing An Arab, tolto addirittura dalle radio statunitensi per il suo titolo molto provocatorio. Certamente direte voi, raccontare in poche righe la grande ascesa di questo gruppo, diventa abbastanza proibitivo. Per questo vorrei porre l’accento su un album in particolare, un album non banale, un album criticato e a volte osannato: Disintegration.

“Disintegration” rappresenta lo straordinario consolidamento pop della band inglese.

L’album nasce dalla grande vena artistica maturata da Smith nel corso degli anni, una vena artistica fatta di puro perfezionismo, musicale e stilistico e a dire il vero, anche dal suo stato d’animo profondo e tenebroso. L’uso nefasto di droghe ed allucinogeni porterà Smith ad un esasperato bisogno di attenzione e considerazione. Ma questo non fu assolutamente un limite, anzi, fu il vero trampolino di lancio dell’album stesso. Un lavoro composto da paure nascoste e da influenti arie di litigiosità all’interno del gruppo, tanto da determinare ad opera in corso l’allontanamento di Tolhurst dal resto della band. Un album sempre in bilico, sempre sul filo del rasoio, teso ed intenso, messo in discussione dalla stessa Fiction, etichetta discografica dei ragazzi inglesi.

Non è raro che le opere più grandiose a questo mondo nascano proprio dalla perversione artistica dei suoi creatori.

Disintegration rappresenta la perfetta formula pop-punk, in grado di soddisfare le aspettative di critica e pubblico. Il suo spirito, vivace e allo stesso tempo intriso di sfumature gotiche, concerne le esigenze di tutti gli amanti della vera musica britannica di fine anni ottanta. Il rock astratto ma riconoscibile, adattato su basi melodiche ed estremamente piacevoli, accompagna l’intero progetto dei ragazzi guidati da Smith, che ossessivamente e disperatamente rincorre l’assoluta perfezione artistica del suo lavoro.

L’isolamento

La desolazione di Robert, la sua irreparabile paura di invecchiare, lo porta a scrivere e comporre da solo, lontano dal resto del gruppo, in una sorta di isolamento spirituale. Un album quindi influenzato da una profonda depressione morale ed esistenziale, ma in grado proprio per questo di estrarre tutto il talento innato del fuoriclasse del Sussex. La presenza di brani cupi e profondi, si alterna al sicuro successo di dischi come Lullaby e Lovesong, vere e proprie perle per le classifiche del tempo.

Disintegration rappresenta probabilmente l’apice della carriera dei Cure, a mio modesto parere il giusto traguardo di un’esistenza dedita alla maniacale cura dei particolari armonici e stilistici del genere. Vivamente consigliato dalla casa, resta indubbiamente uno dei dischi miliari della storia del punk e dintorni.

Vi lascio con delle parole molto significative dello stesso Robert Smith, volte alla corretta definizione musicale della grande band britannica:

È tristissimo quando “goth” continua a venire appiccicato al nome “The Cure”. Noi non siamo categorizzabili. Suppongo che all’epoca del nostro esordio fossimo post-punk, ma complessivamente non è una definizione possibile. Come puoi descrivere una band che ha fatto uscire un album come Pornography e anche Greatest Hits, dove ogni canzone è stata nella Top Ten in tutto il mondo? Io suono solo la musica dei Cure, qualsiasi essa sia.”

Occhio ragazzi, nel prossimo viaggio andremo ad incontrare uno degli artisti più grandi di tutti i tempi, faremo un viaggio nel mondo del mitico B.B. King, un mondo fatto di grande blues, di soul e di…electric blues.

Stay Tuned.

 

— Onda Musicale

Tags: The Cure, Robert Smith
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