In primo piano

Hurt, quella volta in cui Jonnhy Cash ha indossato la sua corona di spine

Chiunque abbia avuto il dispiacere di imbattersi nella lettura del celeberrimo Voyage au bout de la buit di Louis-Ferdinand Céline non avrà potuto fare a meno di restare pietrificato dinanzi alla veridicità del suo “La tristezza del mondo assale gli esseri come può, e ad assalirli sembra ci riesca quasi sempre”.

USA, 1994. I Nine Inch Nails pubblicano Hurt, ultima traccia di The Dawnward Spiral, creando i prodromi di una successiva interpretazione da brividi che scriverà il capitolo definitivo della vita di Jonnhy Cash. “Oggi mi sono ferito per vedere se provo ancora qualcosa” è l’esordio del testo considerato da molti come il più triste della storia del rock, e non solo. L’immediatezza dei concetti è resa ancor più cruda dalla semplicità delle parole, mai vane, senza il rischio di dover esser parafrasate dall’ascoltatore. “Il vecchio familiare acuto dolore/ cerco di sopprimerlo definitivamente” seguito dal “ma io ricordo ogni cosa” è pressoché devastante, e sembra cogliere quelle sfumature della quotidiana sofferenza umana troppo spesso non motivata da fattori necessariamente esterni.

La volontà iniziale dei Nine Inch Nails era quella di cantare le gioie e i rimpianti della vita, con riferimento alle depressioni personali che spesso attanagliano chi ha avuto grossi successi. Jonnhy Cash, invece, ne acuì la portata con la sua notorietà artistica e cinematografica, trasformando il brano in un momento riflessivo sull’Io capace, non di rado, di far solcare il viso d’una inaspettata lacrima.

Cash non è più giovane, e tra musica e cinema ha fatto il suo tempo. “Cosa sono diventata, oh mia amica?” domanda alla moglie, June, che decederà tre mesi dopo la pubblicazione della canzone. Le sequenze videomontate raccontano perfettamente il passato e il presente del noto autore, tra personali successi cinematografici e banchetti isolati, sguardi desolati della moglie, treni in corsa, e corone di spine.

“Indosso questa corona di spine” è l’esordio scioccante della terza strofa, che va a sostituire un iniziale “corona di merda”, come segno di rispetto che Jonnhy Cash nutriva verso il cattolicesimo e la figura cristica.

Le più grandi riviste musicali continuano a ritenerla come una delle canzoni più tristi di tutti i tempi, e lo stesso Trent Reznor, produttore della Nothing Records che si occupò personalmente del restyling di Hurt per Cash, rimase sbigottito al suo primo ascolto, arrivando ad affermare che la reinterpretazione del noto autore fosse capace di far tornare a galla sentimenti, ricordi, sofferenze, come poche altre canzoni al mondo.

Forse è una della poche canzoni da guardare obbligatoriamente col video originale. Il viso scavato e triste di Cash anticipa la sua morte, che avverrà soli quattro mesi dopo quella di sua moglie, ovvero sette mesi dopo l’incisione del pezzo.

E come nelle migliori storie dei grandi eroi caduti, quella che fu la casa dei coniugi per ben trent’anni, ben visibile nel video in ripetuti spezzoni, verrà distrutta a causa di un incendio dalle cause mai chiarite.

— Onda Musicale

Tags: nine inch nails
Sponsorizzato
Leggi anche
I 5 album che resero popolari l’hard rock e l’heavy metal negli anni 90
Esce una ricca ristampa con 26 inediti di “New York”, album di Lou Reed del 1989.