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“Fragile”: il magico capolavoro targato Yes

King Crimson, Genesis, Gentle Giant, Pink Floyd, Jethro Tull… Non sto facendo l’appello ragazzi, sto solo annoverando alcuni dei nomi più incredibili del rock progressivo britannico, nomi che fanno rabbrividire, nomi che fanno indubbiamente trattenere il fiato.

Il rock progressivo, il nostro amato progressive. Uno stile musicale illuminante, influenzato da musica elettronica, musica classica, folk e jazz. Uno stile tuttora impareggiabile, un tenero ricordo per gli amanti della buona musica. Un ricordo ancorato agli anni sessanta e settanta, un ricordo indelebile per tutti noi.

Sì, perché il vero rock progressivo è stato un fenomeno straordinario, in grado di trasformare anche i canoni sociali e culturali del periodo, in grado di scindere il rock psichedelico in svariate parti, partendo dallo smistamento delle sue radici blues e mirando decisamente a una nuova corrente armonica e compositiva, una corrente dalle qualità poetiche praticamente perfette.

Ma questa storia, questo viaggio, non può fare a meno di uno dei gruppi che a mio modestissimo parere ha influenzato maggiormente la scena progressive mondiale: gli Yes.

Gli Yes, nati nel 1968 e fondati da un certo Jon Anderson, sono stati, sono e saranno sempre una delle pietre miliari del movimento progressivo d’oltre manica e non solo. Il gruppo di Anderson, poliedrico e ricco di vena creativa, caratterizzato da una complessa struttura compositiva, riesce in un doppio intento. Quello di portare alla ribalta della critica album di spessore inestimabile e quello di portare davanti al grande pubblico autentiche pillole di cultura musicale, rendendo il genere apprezzabile anche a livello commerciale.

Gli Yes, ovvero il partito del “sì”. Il partito romantico del rock progressivo, il partito fondamentale di una corrente destinata a cambiare per sempre il panorama in musica del pianeta terra. Gli Yes, autentici pionieri di uno stile compositivo in grado di sfornare dischi eccezionali, ben strutturati e stilisticamente complessi, in grado di stupire anche i critici più critici con progetti come “Close To The Edge” e “Fragile”. In molti considerano “Close To The Edge” l’apice della carriera degli Yes, ma molto probabilmente il vero e proprio capolavoro artistico della band britannica è rappresentato da “Fragile”.

“Fragile”è un diamante, un lavoro immenso, un lavoro praticamente perfetto.

Gli Yes, nel 1971, vivono il loro periodo di massimo splendore, avvalendosi di una formazione tecnicamente incredibile con Jon Anderson alla voce, Bill Bruford alla batteria, Chris Squire al basso, Steve Howe alle chitarre e l’avvento alle tastiere di uno straordinario Rick Wakeman.

L’album è un connubio essenziale tra una corrente classica innovativa e un progressive più tradizionale, una corrente melodica impressa proprio dal contributo decisivo di Wakeman. Ma è l’intero gruppo di Anderson a dare il meglio di sé da un punto di vista qualitativo e tecnico. Le nove tracce contenute nell’album, trovano appoggio in assoli di chitarra assolutamente strepitosi, sfornati da uno Steve Howe in stato di grazia.

La prima composizione, Roundabout mette in evidenza il basso incisivo e penetrante di Chris Squire, mentre l’intero progetto si avvale del fantastico lavoro organistico di Rick Wakeman. Molte le tracce rappresentative di un movimento progressive in rampa di lancio, da Cans And Brahms a South Side Of The Sky, da Mood For A Day a Heart Of The Sunrise.

Ma è la bellissima Long Distance Runaround a determinare la grandezza del gruppo capitanato da Jon Anderson. Immersa in una rincorsa continua tra tastiere e chitarre, la traccia rappresenta forse uno dei capisaldi più rilevanti di sempre in ambito progressive.

“Fragile” è di fatto uno degli album prog per eccellenza, un album stilisticamente perfetto, studiato nei minimi particolari, indirizzato a smontare letteralmente il panorama musicale odierno, rendendolo inutile e tremendamente mediocre.

Una citazione particolare va al mitico Roger Dean. La copertina dell’album è infatti straordinaria, coadiuvante puro tra i testi ipnotici e sognanti di Jon Anderson e i ritratti astratti e filosofici del pittore britannico.

Insomma, “Fragile” è un disco da avere assolutamente, simbolo di una corrente progressiva andata e destinata a restare scolpita nella storia, simbolo di una creatività ormai perduta.

Vi lascio con delle parole mozzafiato di Jon Anderson, parole in grado di descrivere con grande precisione il suo essere intrigante e misterioso: 

Meditando, ho scoperto che ci sono cose che non siamo in grado di vedere. Ad esempio, esseri quadrimensionali fatti di luce, in evoluzione verso la quinta dimensione”

Stay Tuned.

— Onda Musicale

Tags: King Crimson, Jon Anderson, Rick Wakeman, Jethro Tull
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